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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Novembre '94. A un passo dal baratro
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Novembre '94. A un passo dal baratro

Novembre 1994.

L’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina ha lanciato la sua più grossa offensiva contro le forze serbo-bosniache dall’inizio della guerra nella primavera del 1992, con l’obiettivo di riconquistare sul campo tutto il territorio perduto [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

Seguendo due direttrici - da Sarajevo verso le enclave della Bosnia orientale, e da Bihać verso il cuore della Republika Srpska - le forze bosgnacche infliggono una serie di pesanti sconfitte agli avversari, sostenuti anche dall’offensiva a sorpresa del Consiglio di difesa croato contro le forze di Ratko Mladić.

Ma l’illusione della riscossa non dura ancora a lungo. E questa volta il baratro per i bosgnacchi dista appena qualche passo.


L’ultima spinta propulsiva

È il 3 novembre quando le offensive convergenti da nord (bosgnacchi) e da sud (croato-bosniaci) su Kupres portano al più grande successo militare congiunto dei due eserciti. Per la prima volta una città occupata dai serbo-bosniaci viene riconquistata.

Si tratta di un risultato notevole sia per i risvolti strategici - Kupres è un centro di enorme importanza per il controllo della Bosnia centrale e dell’Erzegovina occidentale - sia per le implicazioni politiche.

Perché, a poco più di sei mesi dall’Accordo di Washington, l’alleanza tra croato-bosniaci e bosgnacchi ha dimostrato di essere efficace non solo nella teoria istituzionale della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, ma anche sul campo di battaglia.

Dall’altra parte della barricata ci sono le forze serbo-bosniache, che stanno vivendo il loro momento più buio. Sottodimensionate, demoralizzate e incapaci di respingere tutte le offensive scatenate contemporaneamente dagli avversari sul campo, a inizio novembre sembrano sull’orlo del baratro.

Perché, mentre il 5° corpo d’armata dell’esercito bosniaco guidato dal generale Atif Dudaković è impegnato a spezzare l’accerchiamento serbo nella Bosnia occidentale, le forze croato-bosniache e di Zagabria sembrano pronte a scatenare una manovra a tenaglia contro i serbo-croati di Milan Martić per riconquistare Knin, la capitale della Repubblica Serba di Krajina.

Di fronte al baratro per i serbi di Bosnia e di Croazia, il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, proclama lo stato di guerra. Ma soprattutto interviene il presidente della Serbia, Slobodan Milošević, che non abbandona i “compatrioti” nonostante i duri contrasti politici degli ultimi mesi.

Kupres, Bosnia ed Erzegovina

La controffensiva serba

Il supporto di Milošević si manifesta nell’invio di oltre 9 mila soldati - tra regolari, volontari e mercenari - 42 carri armati e 32 autoblindo per rinforzare le forze serbo-bosniache guidate da Mladić.

L’Operazione Mattino ribalta completamente la situazione sul campo nel giro di pochi giorni, portando a una rovinosa ritirata per il 5° corpo d’armata di Dudaković. Senza quasi nemmeno porre resistenza, l’esercito bosniaco perde quasi la totalità del terreno conquistato nelle ultime due settimane.

A mettere ancora più in difficoltà Dudaković è l’attacco a tenaglia di ciò che è rimasto della Difesa popolare della Bosnia Occidentale dopo la caduta dell’autoproclamata Regione autonoma.

Facendo base nella Krajina croata, le bande armate di Fikret Abdić penetrano nell’enclave di Bihać e il 17 novembre marciano con successo su Velika Kladuša, roccaforte dei separatisti bosgnacchi persa ad agosto.

Il 5° corpo d’armata bosniaco è attaccato da sud/sud-est dai serbo-bosniaci e da nord/nordovest da serbo-croati e secessionisti bosgnacchi, nella situazione paradossale (ma impunita) in cui le operazioni militari serbe vengono condotte da un’area protetta in Croazia verso un’area protetta in Bosnia, peraltro violando la frontiera di Stato tra i due Paesi.

È così che i bosgnacchi non riescono quasi più a difendere le loro posizioni. E ora è la città di Bihać a trovarsi a un passo dal baratro.

Bihać, Bosnia ed Erzegovina

L’agonia di Bihać

Il 13 novembre ha inizio la campagna militare serbo-bosniaca nella sacca di Bihać, che rivela tutti i doppi standard e l’appeasement verso la parte serba da parte dei vertici della Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR).

Già durante l’offensiva dell’esercito bosniaco nei primi giorni del mese, Parigi ha ordinato ai suoi 400 caschi blu di ritirarsi da Bihać dopo due anni di servizio. A protezione dell’enclave bosgnacca nel momento più disperato sono rimasti 1200 caschi blu del Bangladesh, totalmente impreparati e a corto di armi.

Lo stesso comandante dell’UNPROFOR in Bosnia ed Erzegovina, Michael Rose, fa naufragare l’attacco NATO sulle postazioni serbo-bosniache, ordinando ai suoi osservatori di terra di non segnalare agli aerei dell’Alleanza Atlantica alcun obiettivo da colpire.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, impedisce addirittura alla stampa di recarsi a Bihać per informare l’opinione pubblica internazionale su quanto sta accadendo nell’enclave della Bosnia occidentale.

La passività - se non proprio connivenza - dell’UNPROFOR nei confronti della violenta offensiva serba su Bihać viene messa a nudo quando l’enclave, dove ha sede il quartier generale del 5° corpo d’armata bosniaco, viene bombardata con bombe al napalm e a frammentazione.

Gli aerei che colpiscono Bihać decollano dall’aeroporto di Udbina, appena oltre il confine croato, nel cuore del territorio della Repubblica Serba di Krajina.

Udbina, Croazia

È così che il 19 novembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approva la Risoluzione 958, che autorizza la NATO a intervenire sul territorio della Krajina croata in caso di necessità per difendere le zone di sicurezza in Bosnia ed Erzegovina.

Per incassare il sostegno della Federazione Russa, però, ne viene approvata subito anche un’altra. La Risoluzione 959 autorizza la NATO a colpire anche l’esercito bosniaco in caso di operazioni belliche condotte a partire dalle aree protette, che coincidono con le loro maggiori enclave.

In altre parole, i bosgnacchi non possono fare altro che difendersi dagli accerchiamenti serbo-bosniaci, senza poter provare a riconquistare militarmente il territorio perso dopo l’inizio della guerra nell’aprile 1992.

Intanto il 21 novembre, mentre i combattimenti stanno già insanguinando i sobborghi di Bihać, una squadriglia di 36 aerei NATO attacca l’aeroporto di Udbina, colpendo la pista d’atterraggio e due batterie antiaeree, ma non l’hangar in cui si trovano 15 aerei, 10 elicotteri e i depositi di carburante.

Si tratta solo di un’azione di ammonimento alle forze armate serbe, che però nasconde ancora una volta il pesante scontro in atto tra NATO e UNPROFOR. Mentre i vertici dell’Alleanza Atlantica avrebbero voluto scatenare un attacco più massiccio, il margine di manovra è stato loro ristretto dall’opposizione dei comandanti dei caschi blu proprio in virtù della politica di appeasement ormai dilagante.

Serbo-bosniaci e serbo-croati lo capiscono perfettamente e non indietreggiano. La pista dell’aeroporto di Udbina viene riparata in un paio di settimane e, in aperta violazione della Risoluzione 958, tornano a decollare gli aerei che sganciano le bombe su Bihać.

Il territorio controllato dalla Regione autonoma della Bosnia Occidentale (in azzurro), dalla Repubblica di Bosnia ed Erzegovina (in verde), dalla Republika Srpska (in rosa), dalla Repubblica Serba di Krajina (in giallo) e dalla Croazia (in arancio)

Sul campo di battaglia i carri armati continuano ad avanzare verso il cuore di Bihać, ormai allo stremo. Il copione è lo stesso di quello già visto a Srebrenica nel marzo 1993 e a Goražde nell’aprile 1994.

L’esercito serbo-bosniaco chiude la morsa su un’enclave bosgnacca. La NATO colpisce alcune postazioni come azione dimostrativa, quando ormai gli assedianti sono troppo vicini ai difensori per poter usare efficacemente l’apporto aereo. I carri armati si fermano appena prima di violare l’area protetta e non rischiare di scatenare una reazione internazionale inevitabile. Una proposta di smilitarizzazione congela lo status quo, che però è completamente a favore delle forze di Mladić.

L’unica differenza nel caso di Bihać è la possibilità agli sconfitti di consegnarsi agli uomini di Abdić, l’alleato bosgnacco dei serbi. Con il segretario generale dell’ONU Boutros-Ghali che scarica la colpa dell’assedio di Bihać sui bosgnacchi e sulla loro unica vera offensiva militare, finita già sul nascere.

Le “aree protette” in Bosnia ed Erzegovina

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