S4E10. Lo spirito del 1993 passato, presente e futuro
Un riassunto del terzo anno di dissoluzione della Jugoslavia, esattamente 30 anni fa. Mese dopo mese il racconto degli eventi con il podcast di BarBalcani, per scoprire il destino della storia europea
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Mese dopo mese, il podcast Le guerre in Jugoslavia ci riporta indietro nel tempo, in quel decennio che ha segnato le sorti della storia recente dei Balcani e dell’Europa.
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Oggi riavvolgiamo il nastro e scopriamo gli eventi salienti di quest’anno.
Il 1993.
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Il terzo anno di guerra
Il 1992 si è chiuso con la vittoria alle elezioni in Serbia del presidente Slobodan Milošević e “l’avvertimento di Natale” di Washington sull’eventuale sconfinamento del conflitto in Kosovo. Ma è sempre la Bosnia ed Erzegovina il centro della guerra.
A gennaio i combattimenti si inaspriscono lungo la Drina (il fiume che a est divide il Paese dalla Serbia) tra l’esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina e quello della Republika Srpska, con ripercussioni a Sarajevo. Il vicepremier bosniaco, Hakija Turajlić, viene ucciso a sangue freddo dai paramilitari serbo-bosniaci mentre si trova su un mezzo blindato della Forza di protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR).
L’attenzione della diplomazia è però tutta sul piano di pace per la Bosnia ed Erzegovina, il Piano Vance-Owen che riconosce l’esistenza di 3 popoli costitutivi (serbi, croati e bosgnacchi) e un complesso sistema tra province a maggioranza etnica e un governo centrale.
Mentre a febbraio fa la sua comparsa sulla scena internazionale con una buona dose di giravolte (tra promesse di rottura e continuità) il nuovo presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, passa quasi inosservato un evento storico.
Il 22 febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione che sancisce la nascita del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, per perseguire i responsabili di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dal 1991.
La situazione si fa sempre più drammatica per la popolazione civile bosniaca. A marzo cade la città di Cerska e, tra i massacri, i profughi si riversano a Srebrenica, dove la tensione diventa insostenibile.
Al punto che il presidente della Bosnia, Alija Izetbegović, è costretto a firmare il Piano Vance-Owen per tentare di impedire la scomparsa dei bosgnacchi, dopo il tradimento delle promesse dell’Occidente sul mantenimento di un Paese unito, sovrano e democratico.
Lo accetta anche il presidente della Repubblica croata dell’Erzeg-Bosnia, Mate Boban, visto che le province assegnate ai croato-bosniaci - due nell’Erzegovina Occidentale e una in Posavina - hanno tutte frontiere comuni con la Croazia.
Non è lo stesso per il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, che sta vendendo sfumare il sogno della Grande Serbia: due delle tre province assegnate ai serbo-bosniaci sarebbero scollegate da Belgrado.
È così che ad aprile si apre il contrasto tra serbi e serbo-bosniaci. Il rifiuto di Karadžić al piano di pace sta costando pesanti sanzioni internazionali alla Repubblica Federale di Jugoslavia, in un contesto economico già critico.
Per non perdere l’ultimo barlume di speranza per il via libera al Piano Vance-Owen, l’ONU classifica di Srebrenica «area protetta». Si tenta di evitare così la resa della città nella Bosnia orientale, che potrebbe determinare un disinteresse serbo ad attuare la mappa sul nuovo assetto del Paese.
A maggio la definizione di «area protetta» viene estesa a Goražde, Sarajevo, Tuzla e Žepa, ma il piano di pace per la Bosnia ed Erzegovina è sempre più agonizzante. L’incrollabile opposizione serbo-bosniaca è confermata da un plebiscito popolare.
Il presidente serbo Milošević è furente e decide per rappresaglia di imporre sanzioni contro la Republika Sprska: la frontiera lungo la Drina viene chiusa a tutti gli approvvigionamenti in arrivo da Serbia e Montenegro.
Nel frattempo lungo le valli dei fiumi Neretva (Erzegovina) e Lašva (Bosnia centrale) va crescendo l’odio etnico tra bosgnacchi e croato-bosniaci. La città di Mostar - che fino allo scoppio della guerra contava 130 mila abitanti e una composizione tra etnie maggioritarie armonica - diventa l’epicentro dei massacri e degli scontri armati.
Da un piano di pace all’altro
Con l’inizio dell’estate si intensificano i combattimenti sia nella Bosnia centrale, dove i bosgnacchi si riorganizzano e fanno pesare la propria forza sui croato-bosniaci, sia attorno alla città di Goražde, dove i serbo-bosniaci concentrano gli assalti prima dell’entrata in vigore della risoluzione che istituisce le «aree protette».
Nel frattempo a giugno il presidente serbo Milošević riattiva i contatti con l’omologo croato, Franjo Tuđman, con una proposta: la ‘restituzione’ a Zagabria della regione della Krajina in cambio dell’appoggio al progetto di divisione etnica della Bosnia.
L’iniziativa dei due presidenti viene presentata ufficialmente alla Conferenza per l’ex-Jugoslavia. Tre Stati etnicamente omogenei legati da un patto confederale e da un’autorità centrale solo simbolica: una Republika Srpska, una Repubblica Croata dell'Erzeg-Bosnia e una Repubblica musulmana.
La cooperazione sul campo tra le truppe serbo-bosniache e croato-bosniache nella Bosnia centrale costringe il presidente bosniaco Izetbegović ad accettare quello che a luglio sta diventando un nuovo piano di pace.
Ma è un piano nato storto. A partire dal nome - “Unione delle Repubbliche di Bosnia ed Erzegovina” non risolve la questione se il Paese dovrà diventare una federazione o una confederazione - dallo status di Sarajevo e dall’ampiezza del territorio controllato dai bosgnacchi.
Eppure il Piano Owen-Stoltenberg diventa realtà ad agosto, sancendo la vittoria diplomatica di Belgrado. I serbo-bosniaci controlleranno il 52% del territorio, con tutte le province collegate tra loro dalla Bosnia occidentale all’Erzegovina orientale. I croato-bosniaci il 18%, con Posavina a nord-est ed Erzegovina occidentale confinanti con la Croazia. I bosgnacchi il 30%, ma senza Sarajevo e Mostar (amministrate da ONU e Comunità Europa), con quattro aree tutte scollegate l’una dall’altra (Bosnia centrale, Srebrenica, Goražde e Bosnia occidentale) e senza sbocco sull’Adriatico.
A Sarajevo la proposta di pace viene bocciata. E l’esercito bosniaco lancia il piano operativo “Neretva 93”, per penetrare verso sud lungo la valle del fiume Neretva e sconfiggere le truppe della neo-nata Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia.
Mentre il cerchio dell’assedio su Sarajevo viene chiuso dalle truppe serbo-bosniache guidate da Ratko Mladić, per la Repubblica di Bosnia ed Erzegovina a settembre è in arrivo un nuovo grosso problema.
Contro l’intransigenza del presidente Izetbegović e l’estasi nazionalista dell’establishment bošnjak a Sarajevo - che fa naufragare definitivamente il Piano Owen-Stoltenberg - il leader della fazione “moderata”, Fikret Abdić, fonda la Regione autonoma della Bosnia Occidentale.
Si tratta di un’entità che comprende Velika Kladuša e Bihać ed è abitata al 90% da bosniaci musulmani. Il politico e imprenditore - fondatore di uno dei conglomerati agricolo-industriali più importanti della Jugoslavia degli anni Ottanta, la Agrokomerc - apre così il quarto fronte di guerra sul suolo bosniaco.
A partire da ottobre la nuova entità viene sostenuta finanziariamente da Milošević e Tuđman, e la sua Difesa popolare riceve rifornimenti di armi da Belgrado e di petrolio da Zagabria. Trattati di amicizia vengono firmati con la Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia e con la Republika Srpska, nella logica di una divisione in quattro del Paese.
Sarajevo è sotto assedio dall’interno e dall’esterno. Dentro la città è necessaria un’operazione militare di 20 ore per catturare i due signori della guerra Musan ‘Caco’ Topalović e Ramiz ‘Ćelo’ Delalić. Le loro bande hanno sì contribuito alla difesa armata della città, ma anche imposto traffici di droga, armi e beni di prima necessità.
Fuori da Sarajevo scatta un blocco degli approvvigionamenti congiunto da parte di serbo-bosniaci e croato-bosniaci, mentre il Consiglio di difesa croato (l’esercito della Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia) aumenta il livello di ferocia in Bosnia centrale e in Erzegovina.
Sempre più in crisi sul piano militare, a novembre le truppe croato-bosniache si scagliano contro il simbolo della Bosnia ed Erzegovina unita e multiculturale: a colpi di mortaio viene abbattuto lo Stari Most, il Ponte Vecchio di Mostar costruito nel 1566 sul fiume Neretva per ordine del sultano ottomano Solimano il Magnifico.
Sul piano della diplomazia internazionale si continua a cercare una via d’uscita. Questa volta è l’Unione Europea a presentarsi ai tavoli negoziali con l’ennesimo piano di pace. Il Piano Juppé-Kinkel non si discosta granché dal precedente, fatta eccezione per una quota maggiore di territorio per i bosgnacchi e soprattutto per l’abolizione delle sanzioni internazionali contro la Jugoslavia.
Il vero cambio di passo avviene con la seduta inaugurale del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia. Il suo compito è quello di giudicare tutti coloro che sono accusati dal pubblico ministero di aver «organizzato, istigato, ordinato, o altrimenti aiutato o favorito l’organizzazione, la preparazione o l’esecuzione» di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dal 1991.
La fine dell’anno corre via con l’attenzione rivolta alle elezioni parlamentari in Serbia, che si intersecano con quelle in Russia. La vittoria a dicembre dei nazionalisti a Belgrado e Mosca riaccende il fuoco della “fratellanza ortodossa” in particolare nella propaganda serbo-bosniaca.
Niente cambia a Sarajevo, assediata anche nel giorno di Natale, in violazione della tregua concordata tra le parti in guerra alla Conferenza per l’ex-Jugoslavia.
Il Piano Juppé-Kinkel marcia così verso il fallimento. Anche per i timori del presidente statunitense Clinton sul rischio che la divisione della Bosnia ed Erzegovina in tre entità possa portare nei Balcani alla creazione di una Grande Serbia, una Grande Croazia e una Grande Albania contro il volere di Washington.
‘Le guerre in Jugoslavia’ continua ora, mese dopo mese, con il racconto del 1994. A partire dal secondo mercoledì di gennaio. Iscriviti al podcast di BarBalcani per seguire la storia.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio e del nostro anno insieme.
E come ogni dicembre, l’oste di BarBalcani ci propone due specialità per riscaldare le nostre giornate invernali.
Sul bancone troviamo un bicchierino di rakija bollente, una delle più tipiche bevande natalizie dei Balcani, facilissima da preparare.
E poi c’è una tazza di kuhano vino, il vin brulé balcanico. Il vino cotto con combinazioni a piacimento di noce moscata, chiodi di garofano, cannella, zucchero di canna, succo e scorza d’arancia.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per l’undicesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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