S2E20. Lo spirito del 1991 passato, presente e futuro
Nel pieno del clima natalizio, un riassunto del primo anno che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, esattamente 30 anni fa. Mese dopo mese, il racconto di BarBalcani - Podcast
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Visto che questa è l’ultima tappa del 2021, vorrei approfittarne per fare un riassunto di quest’anno passato insieme.
Ma in un modo un po’ particolare.
Ormai saprai che, affianco alla newsletter settimanale BarBalcani, si sta sviluppando un percorso parallelo che segue la dissoluzione della Jugoslavia di 30 anni fa.
Mese dopo mese, la macchina del tempo BarBalcani - Podcast ci ha riportato indietro in quel 1991 che ha segnato le sorti della storia europea.
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Oggi vorrei ripercorrere con te cosa è successo quest’anno.
Nel 1991.
Per ogni mese troverai il link all’episodio specifico. La lettura è riservata agli abbonati, ma da questa newsletter potrai comunque avere una panoramica degli eventi, mentre su Spreaker e Spotify potrai ascoltare liberamente tutti i podcast introduttivi.
La Jugoslavia delle violenze etniche
A gennaio il preambolo delle guerre sui Balcani ha un sottotitolo ben preciso: “Soldi”.
L’economia della Jugoslavia è al collasso e il meccanismo di socializzazione dei debiti (le Repubbliche più ricche devono contribuire a compensare le storture di quelle più povere) non regge più. Slovenia e Croazia vogliono una vera economia di mercato.
Ma è anche il mese della “rapina del secolo” nella Serbia di Slobodan Milošević: metà dell’emissione di denaro dell’intera Jugoslavia va a finanziare la campagna elettorale per le elezioni presidenziali nella Repubblica.
A vederla così potrebbe non sembrare niente di irrisolvibile, ma a febbraio si iniziano a intravedere le dinamiche di una guerra che si giocherà sul piano etnico.
Nelle regioni croate della Krajina, Banija e Slavonia la minoranza serba teme che l’indipendenza di Zagabria possa recidere i suoi legami con Belgrado.
Ecco perché elaborano un piano di secessione: è il Piano Ram, che prevede il supporto dell’Armata Popolare Jugoslava e dei sanguinari paramilitari ai ribelli locali.
È a marzo nei pressi di Titova Korenica che si contano le prime vittime di una guerra che ancora non è iniziata. Anche nelle piazze di Belgrado rimangono a terra corpi senza vita negli scontri causati dalle manifestazioni anti-governative.
Questo clima è reso ancora più esplosivo dall’atteggiamento passivo dell’Occidente.
A partire da aprile la diplomazia europea è paralizzata dalle divisioni nella lettura degli eventi, mentre gli Stati Uniti sperano nello status quo senza impegnarsi troppo.
Intanto però gli scontri in Croazia diventano sempre più violenti e galoppa il progetto della creazione della Grande Serbia (tutti i territori dove c’è presenza etnica serba in un’unica nazione).
Mentre nel maggio zagrabese si svolge il referendum sull’indipendenza dalla Jugoslavia, estremisti croati e serbo-croati si scontrano a Borovo Selo (nella Slavonia orientale). Qui un agguato alla polizia croata causa 15 morti.
Ma ormai è arrivato il tempo per la guerra. Per davvero.
I primi mesi di guerra sui Balcani
Giugno porta con sé la parola che sarà più ripetuta per i 10 anni a venire: guerra.
Il 26 giugno la Slovenia dichiara la propria indipendenza. La reazione dell’Armata Popolare Jugoslava è durissima: i tank federali compaiono anche sulla frontiera con l’Italia e l’Austria e inizia così la guerra dei 10 giorni.
Tra scontri armati e bombardamenti, la propaganda slovena riesce a convincere l’opinione pubblica occidentale di essere vittima di un attacco in piena regola.
Viene accordata una moratoria di tre mesi sull’indipendenza e una serie di tregue (quasi sempre violate), che portano agli Accordi di Brioni del 7 luglio.
Di fatto la Jugoslavia dice addio alla Slovenia, anche se ancora non formalmente.
Ma luglio non è il mese che chiude i conflitti. Anzi, tutto il contrario.
Quando anche la Croazia proclama l’indipendenza, si apre un nuovo fronte di guerra destinato a durare anni.
La differenza con la Slovenia è la presenza di una minoranza etnica serba in Croazia, che permette a Milošević di dichiarare che «dove c’è una tomba serba, là è Serbia».
Ecco la guerra che spiana la strada alla pulizia etnica dall’Adriatico a Vukovar.
L’avanzata serba (ormai così si può definire l’Armata Popolare Jugoslava, supportata dai paramilitari cetnici) in Croazia è inarrestabile e ad agosto la tattica difensiva del presidente Franjo Tuđman si rivela disastrosa.
Il 19 agosto inizia l’assedio di Vukovar (Vuk vár, la Fortezza del Lupo), sulle sponde del Danubio.
Una città in posizione strategica, cosmopolita, ma circondata da un reticolo di villaggi a maggioranza serbo-croata.
La popolazione civile deve rifugiarsi nelle cantine e nei bunker per 90 giorni, mentre il bastione difensivo cerca di resistere ai bombardamenti costanti, giorno dopo giorno.
Intanto il 7 settembre si apre all’Aja la Conferenza sul futuro della Jugoslavia e dei suoi popoli. Un ambizioso tentativo dell’Occidente di garantire la pace entro due mesi.
A settembre ancora si cerca una mediazione tra le diverse Repubbliche, che una dopo l’altra proclamano la secessione, a partire dalla Macedonia.
Ecco perché, mentre le operazioni militari serbe si estendono anche alla Bosnia ed Erzegovina, Belgrado accoglie con favore la Risoluzione 713 delle Nazioni Unite che impone l’embargo delle armi nei Balcani.
La Serbia non poteva sperare di meglio: al momento è militarmente nella posizione di forza su tutte le altre Repubbliche.
La guerra può continuare, con tutti i vantaggi dalla parte serba, e arriva a toccare anche Zara, Spalato e Dubrovnik sulla costa dalmata, in Croazia.
In ottobre perfino il palazzo presidenziale a Zagabria viene colpito da due missili, in un attentato (fallito) a Tuđman.
È la risposta di Milošević all’atteggiamento di sfida della Croazia, nel giorno in cui scade la moratoria sull’indipendenza (slovena e croata) degli Accordi di Brioni.
A Vukovar la situazione è disperata: senz’acqua ed energia elettrica, la città viene colpita da oltre 5 mila proiettili al giorno e si regge solo sugli approvvigionamenti lanciati dagli aerei militari croati.
Nel frattempo nasce la Repubblica del Kosovo e nel Sangiaccato (regione storica a maggioranza musulmana) si svolge il referendum sull’indipendenza. Tutto illegale per Belgrado.
Quando però le stesse decisioni vengono prese in Bosnia, la situazione precipita.
Il leader dei serbo-bosniaci, Radovan Karadžić, lancia un anatema genocida su Sarajevo: «I musulmani non potranno difendersi se faranno la guerra. Periranno sull’autostrada dell’inferno».
È evidente che Karadžić fa sul serio. A novembre il suo partito crea il Parlamento del popolo serbo in Bosnia ed Erzegovina e poche settimane dopo proclama la nascita della Republika Srpska (lui ne è ovviamente presidente).
Ma, come dicevamo, dopo 90 giorni di assedio è Vukovar l’epicentro delle violenze. Il 18 novembre la Fortezza del Lupo capitola, in uno scenario macabro e costellato da episodi di pulizia etnica.
Nonostante la Croazia rischi la disfatta totale, da Belgrado arriva l’ordine di fermare l’avanzata dell’Armata Popolare Jugoslava: l’obiettivo di difendere le aree popolate dai serbi è stato raggiunto.
La Comunità Europea deve fare i conti con il proprio fallimento e lascia campo libero alle Nazioni Unite. Iniziano i preparativi per l’invio di un contingente di truppe ONU.
A inizio dicembre il Piano Vance (dell’inviato speciale per la Croazia, Cyrus Vance) è pronto: l’Armata si ritirerà in Serbia, i paramilitari consegneranno le armi e saranno create tre aree protette dalle Nazioni Unite (UNPA) in Krajina, Banija e Slavonia.
In segno di reazione, il leader dei serbo-croati, Milan Babić, proclama l’indipendenza della Repubblica serba di Krajina, sulle orme di quella in Bosnia ed Erzegovina.
Mentre la Comunità Europea è pronta a riconoscere ufficialmente la sovranità di Slovenia e Croazia e aprire i negoziati per quella di tutte le altre Repubbliche, la Bosnia diventa l’attenzionata speciale.
In una situazione quasi paradossale - mentre si fanno la guerra dalla Slavonia alla Krajina - i presidenti di Serbia e Croazia si incontrano segretamente per mettere a punto un piano di smembramento di quella che definiscono «un’entità fasulla».
Dopo un primo incontro a Karađorđevo a marzo, cercano un accordo sui confini della Grande Serbia e della Grande Croazia, con uno Stato-cuscinetto musulmano in mezzo.
La vigilia del 1992 è tutt’altro che rassicurante.
A metà gennaio continueremo il nostro viaggio parallelo, nella Jugoslavia in guerra di 30 anni fa.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Visto che siamo in spirito di ricordi (complice anche l’atmosfera natalizia), BarBalcani ci ripropone due specialità per riscaldare questa giornata invernale.
Sul bancone troviamo un bicchierino di rakija bollente, una delle più tipiche bevande natalizie dei Balcani, facilissima da preparare.
E poi c’è una bella tazza di kuhano vino, il vin brulé balcanico. Il vino cotto con combinazioni a piacimento di noce moscata, chiodi di garofano, cannella, zucchero di canna, succo e scorza d’arancia.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la ventunesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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