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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Giugno '93. Tutto sta cambiando
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Giugno '93. Tutto sta cambiando

Giugno 1993.

Il conflitto in Bosnia ed Erzegovina si sta in un certo senso complicando. Tutto quello che poteva essere vero solo qualche mese fa è improvvisamente superato, sia sul terreno di guerra sia a livello diplomatico [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

La violenza è diventata ingestibile tra croati-bosniaci e bosgnacchi nella Bosnia centrale, con la città di Mostar al centro degli scontri armati.

Mentre i serbo-bosniaci continuano il loro assedio alle città della Bosnia orientale, è emerso un contrasto con Belgrado a causa dell’opposizione della Republika Srpska alla firma sul Piano Vance-Owen.

Piano di pace che però è ormai accantonato anche dalla comunità internazionale, a favore di un Piano d’azione che privilegia la fine della guerra all’integrità territoriale della Bosnia.

È così che il presidente della Serbia, Slobodan Milošević, si rafforza sia sulla scena diplomatica internazionale sia nell’arena politica interna, dove inizia la purga degli oppositori.


Il pugno duro di Milošević

Dopo aver costretto alle dimissioni il presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia, Dobrica Ćosić, alla fine di maggio, Milošević continua la repressione del dissenso interno a Belgrado.

Il 1° giugno il Movimento serbo per il rinnovamento (SPO) capeggiato dal suo leader, Vuk Drašković, organizza una manifestazione contro il presidente serbo, dimostrando che l’opposizione monarchica e democratica è ancora attiva.

La reazione non è solo una brutale repressione da parte della polizia, ma anche un’operazione delle forze speciali nella sede del Movimento per arrestare Drašković e la moglie Danica.

I due vengono pesantemente pestati e condannati al carcere con l’accusa di attività sovversiva. È un messaggio di Milošević alla popolazione: il pugno di ferro non si è ammorbidito ed è sempre pronto in caso di necessità.

Solo lo sciopero della fame e della sete di Vuk e Danica Drašković e un viaggio della first lady francese, Danielle Mitterand, a Belgrado garantisce loro la grazia.

Ma il clima di repressione rimane intatto.

Il leader del Movimento serbo per il rinnovamento (SPO), Vuk Drašković

Le offensive in Bosnia centrale e orientale

Intanto nella Bosnia orientale i serbo-bosniaci continuano l’avanzata sulle città lungo il fiume Drina, concentrando l’assalto su Goražde prima dell’entrata in vigore della Risoluzione 836 (approvata il 4 giugno) che ha ufficializzato l’istituzione delle «aree protette».

La città sulla Drina viene circondata dalle truppe dell’Esercito della Republika Srpska, comandate da Ratko Mladić, con rinforzi anche dai nazionalisti russi e da Belgrado. Una dimostrazione che nella pratica le sanzioni di maggio contro la Republika Sprska da parte di Serbia e Montenegro non hanno alcun valore.

Nella città che conta quasi 80 mila persone - tra cittadini e profughi - i corpi dei caduti rimangono a terra tra residui di artiglieria e resti di edifici.

Le 5 “aree protette” in Bosnia ed Erzegovina

Nella Bosnia centrale, dove i croato-bosniaci hanno scatenato una violenta offensiva negli ultimi due mesi, i bosgnacchi (i bosniaci musulmani) si riorganizzano e fanno pesare la propria forza.

Dalla loro hanno sia i numeri - l’Esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina è dieci volte più consistente di quello della Repubblica croata dell’Erzeg-Bosnia - sia la motivazione del “combattere o morire”.

Dopo aver occupato Travnik, estendono le operazioni a Gornji Vakuf, Bugojno e Prozor e consolidano il controllo sulla sponda sinistra del fiume Neretva a Mostar.

La controffensiva è accompagnata da un rigurgito di odio etnico, con esecuzioni sommarie e distruzione di edifici sacri cattolici, come il monastero francescano ottocentesco di Guča Gora (presso Travnik).

A macchiarsi degli episodi più atroci sono i membri della 7ª brigata del 3° corpo d’armata dell’Esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, con sede a Zenica. Ne fanno parte fanatici, sopravvissuti dei lager serbi e mercenari di Paesi islamici.

Da Sarajevo si cerca di mettere una pezza, con la destituzione del capo di stato maggiore dell’esercito, Šefer Halilović, inviso al presidente bosniaco, Alija Izetbegović, e conosciuto come comandante particolarmente duro.

L’8 giugno viene sostituito dal generale Rasim Delić, affiancato dal colonnello serbo-bosniaco Jovo Divjak e da quello croato-bosniaco Stjepan Šiber. Un tentativo di mostrare che la Repubblica non è l’espressione di una sola etnia, esercito compreso.


La proposta Milošević-Tuđman

La situazione è però cambiata completamente rispetto a pochi mesi fa. L’offensiva bosgnacca si scontra con un’iniziativa diplomatica internazionale che ha nuovi interessi rispetto alla situazione nei Balcani in generale e in Bosnia in particolare.

Lo dimostra il vertice della NATO del 10-12 giugno ad Atene. Anche per l’Alleanza Atlantica non è più una priorità contrastare le conquiste serbe.

Milošević sta vincendo su tutti i fronti. E ne approfitta per dare il colpo di grazia a livello diplomatico.

Il presidente serbo riattiva i contatti con l’omologo croato, Franjo Tuđman, per una proposta irrinunciabile.

L’appoggio al progetto di divisione etnica in Bosnia in cambio della ‘restituzione’ a Zagabria della Krajina (anche se i serbo-croati della regione ribadiscono la loro volontà di unione alla Republika Srpska).

Il nuovo accordo segreto si basa su quelli del marzo 1991 a Karađorđevo e il presupposto è rimasto sempre lo stesso: la creazione della Grande Serbia e della Grande Croazia.

Da sinistra, il presidente della Croazia, Franjo Tuđman, e l’omologo serbo, Slobodan Milošević (Karađorđevo, 25 marzo 1991)

Gli effetti si fanno vedere in Bosnia centrale, dove le truppe serbo-bosniache e croato-bosniache passano dalla de-escalation alla cooperazione palese sul campo.

Ma il risultato principale è quello a cui si assiste a Ginevra il 16 giugno.

Alla Conferenza per l’ex-Jugoslavia Milošević e Tuđman presentano ufficialmente la proposta di dividere la Bosnia ed Erzegovina in tre Stati etnicamente omogenei.

Una Republika Srpska, una Repubblica Croata dell'Erzeg-Bosnia e una Repubblica musulmana.

Legate da un patto confederale e da un’autorità centrale simbolica, le tre Repubbliche avranno una propria Costituzione, un proprio governo e una propria forza di polizia (ma nessun esercito, a causa della smilitarizzazione prevista dalla proposta).

Alla Repubblica musulmana viene assegnato meno del 20% del territorio bosniaco, diviso in due isole separate: una in Bosnia centrale (attorno a Sarajevo, Tuzla e Zenica) e una in Bosnia nord-occidentale (nella zona di Bihać).

Le viene concesso sì un accesso al mare, nel porto franco di Ploče (in Dalmazia), ma in cambio è richiesto lo sgombero delle città lungo la Drina (Goražde, Žepa, Srebrenica e Zvornik.

La divisione della Bosnia ed Erzegovina secondo la proposta Milošević-Tuđman

Una stentata Realpolitik

La diplomazia internazionale accoglie la proposta di buon grado, definendola il risultato della Realpolitik ricercata dopo il fallimento del Piano Vance-Owen.

Il via libera di Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Francia mette l’ultima pietra tombale al piano di pace presentato il 2 gennaio.

Le maggiori potenze internazionali sono apertamente a favore di una soluzione che metta fine alla guerra, anche a costo di sacrificare l’integrità della Bosnia ed Erzegovina e ‘legalizzare’ i territori strappati dai serbi con la forza e la pulizia etnica.

Nella Comunità Europea si crea però uno strappo tra il presidente francese, François Mitterrand - convinto che ormai i bosniaci siano esausti e perciò disposti a trattare - e il cancelliere tedesco, Helmut Kohl - che cerca di convincere gli altri 11 capi di Stato a eliminare l’embargo sulle armi per permettere ai musulmani di non farsi schiacciare.

Ma la situazione in Bosnia si è completamente ribaltata rispetto alla prima metà dell’anno.

Se fino a maggio bosgnacchi e croato-bosniaci erano favorevoli al Piano Vance-Owen, mentre i serbo-bosniaci si opponevano duramente, ora è tutto l’opposto. La proposta Milošević-Tuđman trova contrari solo i bosgnacchi.

La spartizione del territorio bosniaco discrimina i musulmani e formalizza la pulizia etnica. Ma soprattutto arriva in un momento favorevole per le forze bosgnacche: vittorie significative sono arrivate sui serbi a Bričko e Goražde e sui croati a Busovača e Vitez.

Ecco perché il 20 giugno il presidente bosniaco Izetbegović se ne va da Ginevra contrariato dalla proposta avvallata dalla comunità internazionale, riservandosi di dare l’ultima parola dopo una consultazione a Sarajevo con la Presidenza collettiva.

Da sinistra: il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, Alija Izetbegović, e della Repubblica croata dell’Erzeg-Bosnia, Mate Boban

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