S3E10. Lo spirito del 1992 passato, presente e futuro
Un riassunto del secondo anno di dissoluzione della Jugoslavia, esattamente 30 anni fa. Mese dopo mese il racconto degli eventi con BarBalcani - Podcast, per scoprire il destino della storia europea
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
In occasione dell’ultima tappa del 2022, è ormai diventata tradizione ripercorrere insieme l’anno trascorso in compagnia della macchina del tempo BarBalcani - Podcast.
Se hai dimestichezza con BarBalcani lo saprai già, se ti fossi aggiunto di recente scoprirai invece ora che affianco alla newsletter bisettimale c’è un percorso parallelo che segue la dissoluzione della Jugoslavia.
Mese dopo mese, gli articoli-podcast di BarBalcani ci riportano indietro nel tempo, in quel decennio che ha segnato le sorti della storia recente dei Balcani e dell’Europa.
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Oggi riavvolgiamo il nastro e scopriamo gli eventi salienti di quest’anno.
Il 1992.
Per ogni mese troverai il link all’episodio specifico. La lettura è riservata agli abbonati, ma da questa newsletter potrai avere una panoramica degli eventi. Su Spreaker e Spotify potrai ascoltare liberamente tutti i podcast introduttivi.
Il secondo anno di guerra
Dopo la tregua di fine 1991 tra Croazia e Serbia, un nuovo anno di violenze si profila all’orizzonte.
A gennaio, mentre Slovenia e Croazia vengono riconosciute come Stati sovrani dalla comunità internazionale e la Macedonia inizia il suo percorso travagliato, la Bosnia ed Erzegovina cerca di seguire la stessa strada di indipendenza.
Le tensioni tra le diverse componenti etniche - in particolare tra bosgnacchi e serbo-bosniaci - sono sempre più evidenti, mentre l’esercito federale inizia a dislocare un’enorme quantità di forze sul territorio bosniaco e nella capitale Sarajevo.
La situazione è così tesa che a febbraio le Nazioni Unite mettono in piedi la missione UNPROFOR (United Nations Protection Force). I caschi blu dell’ONU hanno il compito di «creare le condizioni di pace e sicurezza necessarie per raggiungere una soluzione della crisi jugoslava», tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina.
Proprio a Sarajevo a inizio marzo viene dichiarata l’indipendenza della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina con il 99,43% dei voti a favore (ma si esprime solo il 63,4% degli aventi diritto al voto).
Su tutto il territorio bosniaco iniziano a confrontarsi gli squadroni paramilitari dei due schieramenti - serbo-bosniaci fedeli a Belgrado e bosniaci musulmani fautori della nuova Repubblica - in un crescendo di violenze etniche inarrestabile.
La guerra in Bosnia ed Erzegovina
La guerra in Bosnia ed Erzegovina scoppia ad aprile con il bombardamento di Mostar e Banja Luka da parte dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA) e gli attacchi dei paramilitari serbi nell’Erzegovina orientale e nella Bosnia settentrionale.
Il 5 aprile inizia l’assedio di Sarajevo, con i tentativi dei serbo-bosniaci di occupare i centri del potere della neonata Repubblica. Dalle colline che sovrastano la città i cecchini sparano sulla folla che chiede la pace.
Già dalla fine della prima settimana di aprile la capitale bosniaca è una città-ghetto e la strada principale che collega la città vecchia con la zona industriale si trasforma nel tristemente famoso viale dei cecchini.
I cittadini resistono all’assalto e non permettono l’isolamento totale del centro città. Tramonta così il progetto di una guerra-lampo in Bosnia ed Erzegovina per l’esercito di Belgrado.
Ma anche fuori da Sarajevo la guerra continua, mostrando tutta la ferocia della pulizia etnica dei serbo-bosniaci sostenuti dall’Armata federale.
A maggio nella Krajina bosniaca si registra un’ondata di eccidi e di espulsioni di massa della popolazione non-serba. I bosniaci di etnia “sbagliata” finiscono nei campi di concentramento.
Mentre il presidente serbo, Slobodan Milošević, smantella formalmente l’Armata Popolare Jugoslava, lasciando quasi tutte le armi al comandante dell’esercito serbo della Bosnia, Ratko Mladić, si intensificano gli attacchi su Sarajevo.
Dopo il massacro al mercato coperto di Markale - trasmesso in tutto il mondo grazie alle riprese delle troupe televisive - per la prima volta il Consiglio di Sicurezza dell’ONU introduce sanzioni contro la Repubblica Federale di Jugoslavia e viene istituita una zona di sicurezza attorno all’aeroporto di Sarajevo per far affluire gli aiuti umanitari.
Nonostante le violenze etniche dei serbo-bosniaci, l’Occidente si dimostra diviso su un possibile intervento militare in Bosnia ed Erzegovina.
È soprattutto il presidente francese, François Mitterrand, a sparigliare le carte a giugno, volando a Sarajevo per dimostrare la tesi secondo cui in Bosnia è in atto una guerra civile, non un’aggressione militare.
Mentre tramonta l’opzione di un intervento militare internazionale, viene stabilito sulla capitale bosniaca un ponte aereo per gli aiuti umanitari.
Luglio porta con sé due eventi che cambiano gli equilibri. Il primo è la frattura tra bosgnacchi e croato-bosniaci, dopo che questi ultimi hanno costituito a Mostar il potere esecutivo provvisorio della Repubblica croata dell’Erzeg-Bosnia.
Ma è il reportage del giornalista statunitense Roy Gutman a sconvolgere l’opinione pubblica internazionale, con la prima mappa e stima del numero di internati nei campi di prigionia serbi in Bosnia: 94 campi di concentramento per eliminare una specifica componente etnica.
Il reportage non riesce però a spezzare l’inerzia dell’Occidente, in particolare sull’ipocrisia dell’embargo su tutte le forniture di armi e materiale bellico sul territorio jugoslavo (che colpisce in modo diverso Sarajevo e Belgrado).
Ad agosto riprende però vigore lo sforzo diplomatico per mettere fine alle guerre nei Balcani: a Londra viene convocata la Conferenza allargata sull’ex-Jugoslavia, con i suoi 13 principi per la costruzione della pace.
Nel frattempo, nella notte tra il 25 e il 26 agosto, le forze serbo-bosniache prendono deliberatamente la mira sullo Vijećnica, la Biblioteca Nazionale della Bosnia ed Erzegovina che incarna le diverse anime intrecciate di Sarajevo. E la distruggono, mandando in fumo oltre un milione e mezzo di volumi antichi.
Tra armi e diplomazia
Con il proseguire della guerra in Bosnia ed Erzegovina aumentano anche le tensioni tra la popolazione di Sarajevo e l’UNPROFOR, che secondo il suo mandato è limitata nell’utilizzo della forza esclusivamente all’autodifesa.
La politica dell’acquiescenza dei caschi blu (non prendere posizione a favore di nessuna delle parti in lotta per salvare più vite possibile) porta le tre componenti etniche ad armarsi sempre più, rivolgendosi a diversi attori internazionali.
A settembre la Jugoslavia viene espulsa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ha cessato di esistere e la Repubblica Federale di Jugoslavia non può ereditarne il seggio.
Viene anche presa la decisione di imporre una no-fly zone sulla Bosnia ed Erzegovina, mentre a ottobre il groviglio armato diventa sempre più inestricabile.
Dopo l’intesa tra Serbia e Croazia per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, a farne le spese sono i musulmani di Bosnia. Ed è così che si apre un nuovo fronte di guerra tra gli ex-alleati bosgnacchi e croato-bosniaci a Prozor, Novi Travnik, Vitez e Mostar.
Intanto i serbo-bosniaci ne approfittano per conquistare tutti i ponti tra le due sponde del fiume Sava e viene proclamata l’unione due Repubbliche serbe in Croazia e in Bosnia, tappa intermedia per la creazione della Grande Serbia.
La fine dell’anno è caratterizzata dal conflitto politico tra Milošević e il premier federale, Milan Panić, in vista delle elezioni presidenziali. Con conseguenze anche sul campo.
A novembre Panić cerca di convincere gli elettori di etnia albanese del Kosovo a sostenerlo e, per questo motivo, la cerchia di Milošević minaccia una possibile guerra civile e religiosa (albanesi contro serbi, musulmani contro ortodossi).
In questo scenario sarebbero pronti a intervenire in difesa dei musulmani del Kosovo diversi Paesi dell’area islamica (che già supportano finanziariamente quelli di Bosnia), con il rischio di crollo degli equilibri geopolitici nella penisola.
Dall’altra parte, i nazionalisti serbi guardano ai “rosso-bruni” russi - le forze comuniste e imperialiste - come alleati contro il mondo intero.
Gli Stati Uniti non possono permettere tutto questo, anche alla luce dei risultati delle elezioni di dicembre in Serbia. Oltre alla riconferma di Milošević come presidente, al Parlamento di Belgrado si impone un nazionalismo militarista e criminale, violento e analfabeta.
Ecco perché da Washington arriva “l’avvertimento di Natale”:
«In caso di di conflitto nel Kosovo provocato dall’azione serba, gli Stati Uniti saranno pronti a impiegare la forza militare contro i serbi nel Kosovo e contro la stessa Serbia».
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio e del nostro anno insieme.
Per riscaldare questa giornata invernale, l’oste di BarBalcani ci propone due specialità.
Sul bancone troviamo un bicchierino di rakija bollente, una delle più tipiche bevande natalizie dei Balcani, facilissima da preparare.
E poi c’è una tazza di kuhano vino, il vin brulé balcanico. Il vino cotto con combinazioni a piacimento di noce moscata, chiodi di garofano, cannella, zucchero di canna, succo e scorza d’arancia.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per l’undicesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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