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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Marzo '92. "Assaliamo le città"
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Marzo '92. "Assaliamo le città"

Marzo 1992. 

Nell’ex-Jugoslavia è scattata la missione dell’UNPROFOR, la nuova Forza di protezione delle Nazioni Unite [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

L’8 marzo arrivano in Croazia i caschi blu messi a disposizione da Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Paesi scandinavi, Canada, Argentina, Cecoslovacchia, Polonia e altri Paesi da tutto il mondo.

Il quartier generale è posto a Sarajevo. Una presenza simbolica, nella speranza che si possa così evitare l’escalation di violenza tra etnie in Bosnia ed Erzegovina.

Non è sufficiente.

La situazione si fa sempre più ingestibile, lo spazio per il dialogo più sottile. Fino a sparire del tutto.

La guerra in Bosnia ormai è apparecchiata.


È indipendenza

La decisione di svolgere un referendum sull’indipendenza in Bosnia ed Erzegovina è stata presa a gennaio

A dire il vero, Sarajevo ha obbedito alla volontà della Comunità Europea, che ha posto il referendum come condizione per accettare la richiesta di riconoscimento internazionale della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina.

Per essere considerato valido, deve partecipare almeno il 50% degli aventi diritto al voto, con una maggioranza dei due terzi dei voti validi.

Il referendum del 29 febbraio/1° marzo causa gravi tensioni nella Repubblica, in particolare per l’opposizione delle frange estremiste della componente etnica serba.

«Si sentiva l’inesorabile avvicinarsi della guerra», diranno alcuni giornalisti stranieri.

Che vinca il sì è scontato, ma non il raggiungimento del quorum. A Sarajevo i militanti del Partito Democratico Serbo (SDS) cercano anche di impedire la raccolta delle schede elettorali.

La scheda elettorale del referendum sull’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina

«Siete favorevoli a una Bosnia ed Erzegovina indipendente, una comunità statale di nazioni sovrane e costitutive - musulmani, serbi, croati - che ci vivono?»

Il 99,43% vota sì. Ma del 63,4% degli aventi diritto al voto. Troppo poco perché possa considerarsi una solida entità statale.

I risultati vengono resi noti il 3 marzo e l’indipendenza diventa reale.

Ma diventano reali anche le violenze, le aggressioni e le sparatorie. 

Il Comitato di crisi del popolo serbo decide di erigere barricate per dividere Sarajevo secondo linee etniche.

Ne scaturisce una sparatoria in cui si contrappongono miliziani serbo-bosniaci e i Berretti verdi, unità paramilitari bosgnacche create dal criminale Jusuf-Juka Prazina.

Muoiono in dieci e sulla capitale scende una cappa di paura. È chiaro che la pace o la guerra è in mano ai paramilitari dei due schieramenti, mentre i croati di Bosnia si chiudono in un silenzio ambiguo.

Si spara nei villaggi attorno a Sarajevo, mentre l’8 marzo l’Armata Popolare Jugoslava (JNA) invia reparti di artiglieria da Tuzla verso il fiume Sava.

Il 13 marzo il governo bosniaco decide di estendere l’obbligo di prestare servizio militare a tutti i giovani in età di leva. 

Jusuf-Juka Prazina

“Più storia di quanta se ne possa consumare”

Nonostante le violenze in costante aumento, la Comunità Europea non rinuncia alla volontà di forgiare la nuova Bosnia ed Erzegovina, come dimostrato durante la Conferenza internazionale a Sarajevo di febbraio.

José Cutileiro, inviato speciale di Bruxelles per la Bosnia, propone la Dichiarazione sui principi del nuovo assetto costituzionale al croato-bosniaco Mate Boban, al bosgnacco Alija Izetbegović e al serbo-bosniaco Radovan Karadžić.

Al rispetto dei confini fa da contraltare un assetto interno decentrato, in cui compare per la prima volta il concetto di «maggioranza etnica» per le unità amministrative.

Il 18 marzo si legittimano le tre componenti etniche della Repubblica, come «unità costituenti» basate su criteri nazionali, economici e geografici.

Si crea una “mappa quadro dei comuni”:

  • Bosgnacchi: 52 comuni (44% del territorio)

  • Serbi: 35 comuni (44% del territorio)

  • Croati: 20 comuni (12% del territorio)

Nessuno in verità è soddisfatto. Non a caso la dichiarazione viene approvata ma non firmata.

Il 24 marzo l’assemblea del popolo serbo in Bosnia ed Erzegovina rigetta la dichiarazione di uno Stato sovrano e indipendente. 

Come diceva Winston Chruchill: «I Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare».

La “mappa-quadro dei comuni” in Bosnia ed Erzegovina secondo il Piano Cutileiro (verde: bosgnacchi; rosso: serbi; blu: croati)

Sostenuti dai vertici della JNA e dai soldati sul campo, i serbo-bosniaci dell’SDS iniziano a diffondere la voce che i musulmani si stanno rapidamente armando per attaccare anche i civili.

Il 25 marzo viene attaccata pesantemente Bosanski Brod. L’obiettivo è la conquista della città sul fiume Sava per controllare la Bosnia nord-orientale e scendere verso la Bosnia occidentale (regioni a maggioranza croata).

Ottenendo il controllo della città di Neum, unico porto sull’Adriatico, si interromperebbero i contatti dei croato-bosniaci con Dubrovnik (e quindi Zagabria), per poi stringere i bosgnacchi in una morsa.

Ormai è diventato di dominio pubblico il Piano Ram per la creazione della Grande Serbia.

Questo non evita l’irrompere nell’Erzegovina orientale e nella Bosnia settentrionale (regioni a maggioranza serba) delle unità paramilitari serbe e montenegrine - tra cui le sanguinarie Tigri di Arkan - per iniziare le operazioni di pulizia etnica.

Intanto il 30 marzo riprendono a Bruxelles i colloqui del Piano Cutileiro.

Ma è chiaro che la parte serba non è più disposta al compromesso e ha accettato pienamente il ricorso alle armi.

Lo afferma chiaramente il suo leader, Radovan Karadžić: «Assaliamo le città per ammazzare le vipere». Il paradigma dell’approccio al conflitto etnico: il villaggio povero e patriarcale contro i centri urbani multiculturali

Questi uomini - se tali possono ancora essere definiti - dimostrano di aver rifiutato ogni presupposto della convivenza civile.

La guerra in Bosnia non può più essere fermata.

Neum (Bosnia ed Erzegovina)

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A questo link puoi trovare il riassunto del 1991.

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