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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Febbraio '92. Una nuova Forza
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Febbraio 1992. 

La Bosnia ed Erzegovina è diventata il vero fulcro delle tensioni etniche nell’ex-Jugoslavia [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

La Republika Sprska ha tratteggiato i confini delle sei province autonome serbe (SAO), annunciando la fine della Bosnia unita.

L’Europa chiede a Sarajevo di organizzare un referendum d’indipendenza per accettare la richiesta di riconoscimento internazionale.

E così la situazione precipita.

Ma l’Occidente continua a non capire la gravità della situazione e decide di non dispiegare in Bosnia la nuova Forza di protezione delle Nazioni Unite.


Una Lega per la Bosnia

Fino al 1992 la Bosnia ed Erzegovina è una Repubblica Socialista composta da tre gruppi etnici principali: i serbo-bosniaci, i croato-bosniaci e i bosniaci musulmani, anche chiamati bosgnacchi.

Dall’ottobre del 1991 le tensioni crescenti tra questi gruppi sono sfociate in minacce di genocidio e dichiarazioni di secessione. Grande protagonista, il leader dei serbo-bosniaci, Radovan Karadžić.

Nonostante all’apparenza si stiano formando due fronti contrapposti - serbo-bosniaci contro tutti - la verità è che ognuno fa per sé.

I croato-bosniaci stanno facendo i loro piani per gravitare attorno alla “madrepatria” nel caso di un conflitto nella Repubblica e tengono contatti costanti con il presidente della Croazia, Franjo Tuđman.

I bosgnacchi credono ancora nella collaborazione con le autorità federali e nel progetto di una Bosnia unita. Ma intanto devono guardarsi le spalle.

Lo stemma della Lega Patriottica

Ancora prima dello scoppio delle guerre nell’ex-Jugoslavia, nel giugno del 1991 il presidente della Bosnia, Alija Izetbegović, ha convocato segretamente a Sarajevo oltre 350 rappresentanti del suo Partito di azione democratica (SDA).

Nella riunione viene decisa la nascita di una Lega patriottica, incaricata di prepararsi per la difesa della Repubblica, in caso di necessità.

Nel corso dei sette mesi successivi la Lega arriva a contare circa 30 mila effettivi.

Con il rischio reale di scoppio di una guerra - a causa del secessionismo dei serbo-bosniaci e dell’occupazione della Bosnia da parte della JNA - la Lega patriottica inizia a distribuire le armi clandestinamente.

Nella località di Mehuriči, in Bosnia centrale, si svolge un incontro dei comandi provinciali, per discutere delle modalità di dispiegamento delle forze e della lotta armata.

A leggere la relazione è Sefer Halilović, ex-ufficiale della JNA e ormai chiaro predestinato a comandare l’Esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina.

Il 25 febbraio le direttive ufficiali per la difesa della sovranità della Repubblica, vengono approvate dal comando centrale a Hrasnica, nella periferia di Sarajevo.

Nel frattempo, il 14 febbraio si tiene proprio nella capitale la Conferenza internazionale sulla Bosnia ed Erzegovina, per cercare una soluzione pacifica (e ancora basata sulle divisioni etniche).

Ma né l’Europa né le Nazioni Unite si rendono davvero conto di quanto la situazione sia sfuggita dalle loro mani.

Sefer Halilović

Nasce l’UNPROFOR

Lo dimostra il fatto che nel frattempo l’attenzione è ancora tutta sui resti della guerra in Croazia.

Tutto ormai è pronto per l’arrivo dei caschi blu delle Nazioni Unite nelle tre aree protette (UNPA) in Krajina, Banija e Slavonia.

Per Belgrado è il momento giusto per accettare i soldati ONU, dal momento in cui le operazioni militari serbe del 1991 sono state un successo e ora è necessario difendersi dalla reazione croata.

Tuttavia, il presidente della Repubblica serba di Krajina, Milan Babić, continua ad opporsi con forza alla decisione di Slobodan Milošević di allinearsi al Piano del generale Cyrus Vance sul dispiegamento delle forze ONU.

Ma i rapporti di forza sono troppo sbilanciati e Milošević ha la meglio.

Il 9 febbraio viene convocato nella cittadina di Glina il Parlamento della Krajina. Babić boicotta la sessione in cui viene votato il via libera all’arrivo dei caschi blu.

Il 26 febbraio arriva al punto più basso la parabola di Babić, deposto da presidente della Krajina e declassato a ministro degli Esteri.

Al suo posto viene nominato Goran Hadžić, magazziniere, ex-assessore ed esponente del Partito Democratico Serbo (SDS) di quella Vukovar capitolata dopo 90 giorni di assedio.

Milan Babić

È del 15 febbraio la proposta ufficiale del segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, al Consiglio di Sicurezza sull’invio nei Balcani di 14 mila soldati ONU.

Sei giorni più tardi i 15 Stati membri votano in seduta solenne a favore della Risoluzione 743, che prevede l’invio dei caschi blu per «creare le condizioni di pace e sicurezza necessarie per raggiungere una soluzione della crisi jugoslava».

Inizia così la missione dell’UNPROFOR - United Nations Protection Force. La nuova Forza di protezione delle Nazioni Unite.

Una missione la cui durata prevista è di un anno, con un budget di 250 milioni di dollari (non sarà così: aumenterà negli anni fino a due miliardi di dollari e 45 mila soldati).

Sarajevo viene scelta come sede centrale dell’UNPROFOR, nella speranza che la presenza diplomatica dell’Occidente possa essere un deterrente per l’escalation di tensioni etniche in Bosnia.

La situazione sul terreno dimostra però tutto il contrario.

Soldati della Forza di protezione delle Nazioni Unite nel 1992

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A questo link puoi trovare il riassunto del 1991.

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