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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Dicembre '94. Mille giorni di assedio
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Dicembre '94. Mille giorni di assedio

Dicembre 1994.

La controffensiva di novembre da parte delle forze serbo-bosniache e serbo-croate - sostenute da Belgrado - ha portato a una vera e propria disfatta nel campo bosgnacco [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di Le guerre in Jugoslavia].

Il 5° corpo d’armata guidato dal generale Atif Dudaković ha perso quasi la totalità del terreno conquistato in un mese senza quasi nemmeno porre resistenza.

Dopo la caduta di Velika Kladuša, l’enclave di Bihać è stata messa sotto assedio con attacchi aerei che partono da oltre il confine croato, nel cuore del territorio della Repubblica Serba di Krajina.

Ma è un altro l’evento che alla fine del 1994 entra nella storia. Il 31 dicembre Sarajevo tocca la soglia tragica dei 1000 giorni di assedio.

È il più lungo della storia contemporanea.

Il podcast ‘Le guerre in Jugoslavia’ si è rinnovato! A partire da oggi si arricchisce di una sigla originale e musiche create su misura dall’orecchio esperto di Walter Fiorini, fonico professionista e amico di lunga data di BarBalcani. Corri ad ascoltarle!

Una tregua equivoca

Prendendo atto della nuova situazione sul campo di battaglia, la diplomazia internazionale continua a cercare una soluzione per la risoluzione del conflitto.

La base di partenza è sempre il Piano del Gruppo di contatto. Ma, dopo il braccio di ferro perso con la Republika Srpska, il segretario di Stato statunitense, Warren Christopher, si arrende all’evidenza di dover riprendere i contatti con Pale.

Sono soprattutto Francia e Regno Unito a fare pressione perché il Gruppo di contatto accetti di permettere ai serbo-bosniaci di confederarsi con la Repubblica Federale di Jugoslavia in cambio di concessioni territoriali.

Alla riunione del 2 dicembre viene così dato il via libera alla cosiddetta “variante di Bruxelles”, che prevede la possibilità di «relazioni parallele» sia tra Sarajevo e Zagabria sia tra Pale e Belgrado.

La soluzione diplomatica scatena l’ira del presidente bosniaco, Alija Izetbegović, che la definisce una «tacita divisione» della Bosnia ed Erzegovina da parte della comunità internazionale.

Quella di Izetbegović è la voce istituzionale del senso di frustrazione rabbiosa provata dai bosgnacchi, che cercano sempre più nei Paesi islamici un sostegno armato per controbilanciare i «protettori dei serbi» britannici e francesi.

La divisione geografica della Bosnia ed Erzegovina secondo il Piano del Gruppo di contatto: in rosso le province serbe, in verde e blu quelle della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e in giallo il distretto di Sarajevo

È a questo punto che il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, stupisce tutti con la sua giravolta diplomatica, in gran parte motivata dalla paura per le possibili conseguenze dell’Operazione Inverno ‘94 dell’esercito croato e croato-bosniaco nella Bosnia sud-occidentale.

Rivendicando lo stesso diritto all’autodeterminazione di bosgnacchi e croato-bosniaci, in un’intervista alla CNN Karadžić ribadisce la richiesta di confederazione tra Pale e Belgrado e propone come mediatore per la pace l’ex-presidente statunitense Jimmy Carter.

Carter accetta, ma è evidente la scarsa conoscenza della regione.

Al punto da costringere Washington alla replica sdegnata quando l’ex-inquilino della Casa Bianca dichiara il 18 dicembre a Pale che è necessario «far conoscere al mondo la verità e spiegare l’impegno dei serbi per un accordo di pace», perché «gli americani finora hanno sentito una sola parte della storia».

Tra dichiarazioni e smentite, il 20 dicembre Carter riesce comunque a strappare un’intesa basata su 7 punti:

  1. Cessate il fuoco di 4 mesi su tutto il territorio bosniaco a partire dal 23 dicembre;

  2. Interposizione dei caschi blu sulla linea del fronte;

  3. Negoziati di pace sulla base del Piano del Gruppo di contatto;

  4. Libero passaggio del traffico all’aeroporto di Sarajevo;

  5. Libero passaggio dei convogli umanitari verso le enclave bosgnacche;

  6. Liberazione dei prigionieri di guerra;

  7. Rispetto dei diritti umani.

Il documento ufficiale viene firmato il 23 dicembre. Il cessate il fuoco del Natale 1994 dovrebbe costituire il preambolo per i colloqui di pace sulla base della “variante di Bruxelles”.

Ma non appena la tregua entra in vigore, si scopre che Carter ha lasciato dietro di sé un’ambiguità diplomatica enorme, che rischia di minare alla base i colloqui di pace.

Bosgnacchi e serbo-bosniaci hanno firmato due documenti diversi.

Izetbegović è convinto che si tratterà a partire dalla proposta di pace del Gruppo di contatto. Karadžić che saranno negoziabili anche le percentuali di territorio affidate alla Republika Srpska e alla Federazione tra croati-bosniaci e bosgnacchi.

Al centro, da sinistra: l’ex-presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e il presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić (19 dicembre 1994)

Più lungo di Stalingrado

Il 23 dicembre il cessate il fuoco entra in vigore in Bosnia ed Erzegovina. Anche a Sarajevo, ma la notizia è un’altra.

Il 31 dicembre si contano mille giorni di assedio.

Iniziato il 5 aprile 1992 e ancora in corso, quello di Sarajevo diventa abbondantemente il più lungo assedio di una città nella storia contemporanea, europea e non. Più lungo anche di quello di Stalingrado durante la Seconda Guerra Mondiale, che era durato circa 900 giorni.

In occasione del millesimo giorno di una tragedia che non ha pari da diversi secoli, 72 politici, intellettuali e artisti di fama internazionale pubblicano sull’International Herald Tribune una sorta di necrologio:

«In memoria dei nostri cari Principi, Valori morali e Impegni, defunti in Bosnia nel 1994».

Con un colpo di coda rispetto alla “variante di Bruxelles”, alla spinta franco-britannica all’accordo con i serbo-bosniaci, all’ambiguità di Carter e al senso di tradimento dei bosgnacchi, Washington mette in chiaro che la partita non è finita.

Il portavoce del Dipartimento di Stato, Michael McCurry, denuncia senza mezzi termini un’ondata di pulizia etnica nei territori controllati dai serbo-bosniaci, in particolare nell’area di Banja Luka.

Le forze di Ratko Mladić avrebbero imprigionato, espulso o ucciso il 90% dei quasi due milioni di bosniaci di etnia non serba che vivevano in quei territori prima della guerra.

Gli Stati Uniti annunciano in questo modo lo stanziamento complessivo di 13 milioni di dollari per finanziare il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia inaugurato nel novembre 1993.

Sarajevo (credits: Mario Boccia)

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