Febbraio 1993.
L’anno si è aperto con uno sforzo diplomatico intenso, alla ricerca di una soluzione concordata tra tutti gli attori bosniaci, balcanici e internazionali per mettere fine alla guerra in Bosnia ed Erzegovina [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].
Ma il Piano Vance-Owen non trova un appoggio trasversale, in particolare sul nuovo assetto del Paese una volta conclusa la guerra.
Mentre i combattimenti si intensificano sia in Bosnia sia in Croazia - con il presidente croato, Franjo Tuđman, costretto a fare un passo indietro di fronte alle navi da guerra francesi nell’Adriatico - la comunità internazionale cerca ancora un equilibrio sul piano della diplomazia.
Ma un nuovo attore politico di peso fa la sua comparsa sulla scena, sparigliando le carte. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, il democratico Bill Clinton.
Le promesse di rottura
I fautori dell’ultimo piano di pace per la Bosnia ed Erzegovina - il negoziatore della Comunità Europea per l’ex-Jugoslavia, David Owen, e l’inviato speciale ONU per la Bosnia, Cyrus Vance - volano a Washington per cercare l’appoggio della nuova amministrazione statunitense.
Ma la sorpresa è loro molto sgradita.
Il presidente Clinton ha deciso di sposare una linea dura sulla politica estera nei Balcani Occidentali, in rotta di collisione con i partner europei.
Sono durissime le critiche ai colloqui di Ginevra, per aver messo sullo stesso livello vittime e carnefici e per configurare una pace che legittima la politica di conquista della Serbia.
Di fronte a un’amministrazione apparentemente intransigente non sembrano sortire nessun effetto le pressioni dei due diplomatici, sicuri invece che Clinton non possa permettersi di andare contro gli alleati britannici e francesi, infastiditi e preoccupati.
E infatti, nonostante le dichiarazioni di rottura, il nuovo presidente democratico non esce dal tracciato del predecessore, George H. W. Bush. Nemmeno lui è disposto a compiere il passo ultimo: mandare i soldati statunitensi in Bosnia nell’ambito della Forza di protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR).
Eppure una sponda alle aspre critiche di Clinton contro le soluzioni diplomatiche europee di compromesso arriva con clamore da Bruxelles.
Il 1° febbraio la commissione presieduta da Ann Warburton presenta ai 12 ministri degli Esteri della Comunità Europea i risultati delle indagini sulle violenze di serbi e serbo-bosniaci sulle donne musulmane in Bosnia.
In meno di un anno di guerra almeno 20 mila donne, ragazze e bambine sono state stuprate (e in alcuni casi uccise), in un progetto di deliberata sostituzione etnica.
Di fronte a questa tragedia le eurodeputate della delegazione tedesca chiedono un intervento armato contro la Serbia, per mettere subito fine alla guerra.
Una richiesta che non ha reali speranze di ascolto tra i governi dei Dodici, ma che esprime politicamente il disagio crescente tra la popolazione europea per le palesi violazioni dei diritti umani nel Paese balcanico.
La giravolta del presidente Clinton
A minare la posizione intransigente del presidente Clinton è però il Pentagono, deciso a non farsi coinvolgere nel groviglio balcanico.
E in modo quasi inaspettato riceve un assist da Mosca.
Il presidente della Federazione Russa, Boris El’cin, deve dare una risposta decisa alle pressioni crescenti da parte dei “rosso-bruni” (i nazionalcomunisti), del clero ortodosso, dei circoli cosacchi e dell’esercito.
Dal dicembre dell’anno precedente l’accusa è quella di aver abbandonato i “fratelli ortodossi” di Serbia con una politica di disimpegno nei Balcani che metterebbe in pericolo la stessa Russia.
Ecco perché El’cin decide di invertire rotta e presenta un documento in 8 punti sul conflitto in Bosnia.
Mosca dà così ufficialmente il proprio sostegno al Piano Vance-Owen.
Spiazzato dalla mossa del presidente russo - e pressato dal Pentagono a non fornire pretesti ai nazionalcomunisti per organizzare un colpo di Stato in Russia - Clinton decide di moderare le proprie posizioni anti-serbe.
La giravolta è praticamente a 360 gradi, con l’adozione di fatto dei punti principali del Piano Vance-Owen.
Il 10 febbraio il segretario di Stato, Warren Christopher, presenta un programma in 6 punti che impegna «attivamente e direttamente» l’amministrazione statunitense nel processo di pace.
Senza abbandonare l’idealismo che lo aveva inizialmente spinto a criticare i partner europei, l’obiettivo del presidente Clinton diventa quello di convincere serbi, croati e bosgnacchi a dialogare, senza però costringere nessuno ad accettare misure sgradite.
E nel frattempo evitare il dilagare del conflitto anche in Kosovo e in Macedonia, minacciando nuove sanzioni economiche contro Belgrado.
Provide Promise e tribunali internazionali
In mezzo alle giravolte diplomatiche statunitensi il conflitto in Bosnia ed Erzegovina continua, in particolare con la violenta controffensiva serba nella valle della Drina.
Sarajevo cerca di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale con un gesto estremo: il 12 febbraio annuncia il boicottaggio della distribuzione degli aiuti umanitari dell’ONU.
Ne scaturisce un violento scontro con l’alta commissaria delle Nazioni Unite per i rifugiati, Sadako Ogata, che cinque giorni più tardi ordina di sospendere le operazioni sul territorio bosniaco e il ritiro del personale UNHCR dalla capitale.
Il peggio viene scongiurato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, che annulla l’ordine di Ogata, anche considerata l’impopolarità della stessa misura del governo bosniaco tra i cittadini di Sarajevo.
In verità la settimana tesissima tra l’ONU e le autorità bosniache ha come conseguenza diretta la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare il 22 febbraio la Risoluzione 808.
Quella che sancisce la nascita (sulla carta) di un Tribunale internazionale per perseguire i responsabili delle violazioni dei diritti umani sul territorio dell’ex-Jugoslavia a partire dal 1991.
Un tribunale penale (sul modello di quelli di Norimberga e Tokyo) per giudicare i colpevoli di crimini di guerra in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina, che dovrà affiancare la Corte internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aia, responsabile invece per le controversie tra Stati sovrani.
Non ancora istituito, il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia parte già con una stortura. Non si capisce come ci si dovrebbe comportare con imputati certi - come il presidente serbo, Slobodan Milošević, o quello della Republika Srpska, Radovan Karadžić - con cui il Piano Vance-Owen prevede di trattare per la pace.
Il presidente Clinton - per chiudere in bellezza il suo mese da protagonista indiscusso sulla scena diplomatica internazionale - decide di mettere il cappello sulle trattative con Sarajevo per arrivare a una pace concordata con Belgrado.
Il 23 febbraio annuncia la volontà di soccorrere gli assediati di Sarajevo con un forte supporto all’Operazione Provide Promise, che inizia l’ultimo giorno del mese.
Vengono impiegati non solo gli aerei da trasporto tattico militare Hercules C-120 dalla base statunitense di Francoforte sul Meno, ma anche mezzi militari tedeschi. La Bundeswehr fa così ritorno fuori dalle frontiere della Germania.
Il vincolo è quello di volare ad alta quota (tra i 3 e i 4 mila metri), per sganciare i contenitori pieni di viveri e medicinali su tutto il territorio di Sarajevo, e senza la scorta di caccia da combattimento.
L’assicurazione per i serbo-bosniaci che gli Stati Uniti non sono intenzionati a mettere piede - o meglio, gli anfibi militari - nel conflitto etnico bosniaco.
Se pensi di conoscere qualcuno interessato a questa newsletter, perché non regalare un abbonamento?
Qui l’archivio di BarBalcani - Podcast:
A questi link puoi trovare il riassunto degli anni già trascorsi:
Share this post