Agosto 1993.
Il presidente della Bosnia ed Erzegovina, Alija Izetbegović, ha dovuto accettare il compromesso di spartizione del Paese alla sessione del 27-30 luglio della Conferenza per l’ex-Jugoslavia [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].
Un compromesso che mette le basi per un nuovo piano di pace per la Bosnia, ma che presenta già notevoli debolezze e che lascia ai bosgnacchi - i bosniaci musulmani - solo le briciole della Repubblica.
Izetbegović è costretto ad accettarlo per la situazione drammatica che sta vivendo il Paese in generale e Sarajevo in particolare.
Dopo più di un anno di assedio la capitale bosniaca è quasi in ginocchio.
Lo strangolamento di Sarajevo
A inizio agosto l’Esercito della Republika Srpska guidato da Ratko Mladić sferra l’attacco più pesante contro Sarajevo di tutti i quindici mesi di assedio.
In soli quattro giorni i serbo-bosniaci conquistano i monti Igman e Bjelašnica nella zona sud-occidentale della città, assestando un colpo psicologico e tattico devastante per i difensori. Per la prima volta il cerchio su Sarajevo viene chiuso degli assedianti.
A tenere in piedi i cittadini della capitale bosniaca è un tunnel costruito in primavera per collegare Sarajevo con il mondo esterno, ovvero quello in cui i bosgnacchi riescono a ricevere cibo e armi.
Il tunnel parte dal villaggio di Hrasnica, alle pendici del monte Igman e - dopo 675 metri al di sotto dell’aeroporto di Sarajevo - sbuca nella cantina di una casa diroccata.
La violenza dell’assedio di Sarajevo crea enorme e sincero turbamento nella comunità internazionale, in particolare a Washington.
Nella riunione dell’Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord del 2 agosto a Bruxelles viene deciso che saranno inviati aerei NATO per bombardare le postazioni serbo-bosniache sui monti attorno a Sarajevo, se Mladić non porrà fine allo «strangolamento» della città.
Una decisione che però accentua il contrasto tra il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, sulle possibilità di azione della NATO secondo la Risoluzione 836 approvata a giugno.
Per Washington l’azione degli Alleati può essere messa in atto «in tempi e luoghi scelti dalla NATO». Boutros-Ghali esige di essere lui ad approvare ogni richiesta inoltrata prima al suo rappresentante speciale, Thorvald Stoltenberg.
In una nuova riunione d’emergenza del Consiglio della NATO una settimana più tardi viene messa a punto una complessa procedura d’intervento in Bosnia ed Erzegovina.
La soluzione di compromesso viene definita «doppia chiave» (lo stesso termine usato per la procedura di attivazione degli ordigni nucleari).
Ogni attacco aereo in Bosnia deve passare dal via libera congiunto sia della NATO sia dell’ONU. L’assenso operativo del comandante delle forze NATO-Sud di stanza a Napoli e di quello della Forza di Protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR) è vincolato dall’approvazione politica di ciascuna organizzazione.
Il 18 agosto gli aerei dell’Alleanza Atlantica eseguono una prima esercitazione sopra i monti Igman e Bjelašnica.
L’eventualità concreta di un attacco aereo alle proprie postazioni induce l’esercito serbo-bosniaco a cessare immediatamente l’offensiva da sud-ovest, abbandonando l’area ai caschi blu francesi.
Non prima di aver bruciato tutti i villaggi sulle pendici dei due monti.
Il Piano Owen-Stoltenberg
A Ginevra intanto riprendono il 18 agosto i negoziati di pace mediati da Stoltenberg e dal negoziatore della Comunità Europea per l’ex-Jugoslavia, David Owen.
I negoziati continuano a dimostrarsi difficilissimi, nonostante la rassegnazione del presidente bosniaco Izetbegović. Se da una parte accetta la smilitarizzazione di Sarajevo e l’amministrazione temporanea ONU, dall’altra pretende un accesso sul fiume Sava presso Brčko e sul Mar Adriatico presso Neum.
Richieste respinte in toto dalle controparti serba e croata, con l’unica concessione dei collegamenti stradali fra le quattro aree controllate dai bosgnacchi secondo il nuovo piano di pace.
È il 20 agosto che a Ginevra viene presentato il Piano Owen-Stoltenberg per la pace in Bosnia ed Erzegovina.
Il Piano si basa sul progetto costituzionale della “Unione delle Repubbliche di Bosnia ed Erzegovina”, ovvero uno smembramento del Paese in tre repubbliche etnicamente omogenee. Una Republika Srpska, una Repubblica Croata dell'Erzeg-Bosnia e una Repubblica musulmana.
Le tre Repubbliche avranno una propria Costituzione, un proprio governo e una propria forza di polizia. Sarajevo sarà provvisoriamente amministrata dall’ONU, Mostar dalla Comunità Europea.
Per quanto riguarda la spartizione territoriale, i veri vincitori sono i serbo-bosniaci, che vedono tutti i propri territori collegati l’uno con l’altro, dalla Bosnia occidentale all’Erzegovina orientale. Si tratta del 52% dell’intero territorio bosniaco.
Ai croato-bosniaci viene garantito un 18% strategico in due zone, entrambe confinanti con la Croazia: la Posavina a nord-est e l’Erzegovina occidentale.
I bosgnacchi invece controlleranno il 30% del territorio, in una posizione particolarmente svantaggiata. Privati di Sarajevo e Mostar, con quattro aree tutte scollegate l’una dall’altra (Bosnia centrale, Srebrenica, Goražde e Bosnia occidentale), senza sbocchi sul fiume Sava o sull’Adriatico.

È l’ennesimo piano di pace, l’ennesima soluzione di compromesso che non ha alcuna speranza di trovare un riscontro sul terreno, come il precedente Piano Vance-Owen. È il solito film già visto.
Il Parlamento della Republika Srpska accetta immediatamente il Piano Owen-Stoltenberg, visto che ne riconosce le occupazioni militari e di fatto abolisce le sanzioni internazionali contro la Jugoslavia.
Il Parlamento della Comunità Croata dell’Erzeg-Bosnia vota a favore, ma con l’apertura a ritocchi delle frontiere della neo-nata Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia.
Il 28 agosto a Grude ne viene celebrata la fondazione: viene scelta come capitale Mostar e come presidente viene eletto Mate Boban, leader dei croato-bosniaci dal gennaio 1992.
Il Parlamento di Sarajevo boccia definitivamente la proposta di pace il 29 agosto, mettendo già la parola fine a un Piano nato storto e durato nemmeno lo spazio di un’estate. Gli ultimi disperati negoziati di Owen e Stoltenberg ripresi il 31 agosto durano appena una giornata.
Perché nel frattempo a Zenica i comandanti dell’Esercito della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina danno l’approvazione al piano operativo “Neretva 93”. L’obiettivo dichiarato è quello di penetrare verso sud lungo la valle del fiume Neretva, per sconfiggere le truppe del Consiglio di difesa croato.
Il nuovo piano di pace per la Bosnia è fallito. La guerra nel Paese continua.

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