BarBalkans
The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Novembre '92. La tensione corre sul filo
0:00
-3:25

Novembre '92. La tensione corre sul filo

Novembre 1992.

L’accordo tra serbi e croati ha aperto un nuovo fronte di guerra in Bosnia ed Erzegovina, quello tra croato-bosniaci e bosgnacchi [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

Mentre le forze della Repubblica croata dell’Erzeg-Bosnia avanzano nell’Erzegovina Occidentale, l’esercito del presidente serbo, Slobodan Milošević, riesce a mettere le mani su tutta la regione attraversata dal fiume Sava, tra Bosnia e Croazia.

Viene così proclamata l’unione tra la Republika Sprska e la Repubblica Serba di Krajina, il primo passo del progetto della Grande Serbia.

Con la conquista di Jajce sembra andare tutto a gonfie vele per Milošević.

Ma i Balcani Occidentali sono ormai diventati un focolaio di instabilità. Che oltrepassa i confini della Bosnia.


L’isolamento della Federazione jugoslava

Novembre si apre con un’assemblea della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE) a Praga che rimescola le carte sullo scena della diplomazia internazionale.

La relazione presentata tra il 5 e il 6 novembre ha un impatto paragonabile solo al reportage di Roy Gutman sui campi di concentramento serbi nelle zone occupate in Bosnia ed Erzegovina in luglio.

Le atrocità e la pulizia etnica messa in campo in Bosnia e in Croazia dall’esercito di Milošević vengono scritte nero su bianco. La conclusione è una: la costituzione di un tribunale internazionale per giudicare i crimini di guerra.

Il relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nel territorio dell’ex-Jugoslavia, Tadeusz Mazowiecki, getta la luce anche sulle «sistematiche violazioni» delle minoranze in Kosovo, Vojvodina e nel Sangiaccato.

Se si considera l’allarme sul rischio che nell’inverno del 1992 solo in Bosnia potrebbero morire di fame, freddo e malattie più di 400 mila persone, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non può più temporeggiare.

Il 16 novembre viene adottata la Risoluzione 787 con cui si potenziano le risorse della Forza di protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR) e inasprite le sanzioni economiche contro la Repubblica Federale di Jugoslavia.

Ma non solo. La comunità internazionale viene invitata ad adottare «tutte le misure necessarie» per bloccare il transito navale della Jugoslavia.

La flotta congiunta NATO e UEO (Unione Europea Occidentale) decide così di consolidare la propria presenza non solo nell’Adriatico, ma anche sul Danubio.

Non vengono invece inviati osservatori sul confine della Bosnia per impedire il traffico di armi di contrabbando, mentre nove giorni più tardi la Risoluzione 795 accoglie la richiesta del presidente della Macedonia, Kiro Gligorov.

Circa 900 caschi blu dell’ONU vengono dispiegati lungo il confine con Albania e Serbia, per mandare un segnale preciso a Belgrado.

La comunità internazionale non è più disposta a tollerare le minacce di un possibile allargamento del conflitto in Kosovo e in Macedonia contro la penetrazione dell’Islam nella regione balcanica.

La Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1992

Dal Kosovo alla Macedonia

A innescare le crescenti tensioni a Belgrado è il contrasto aperto tra Milošević e il premier federale, Milan Panić (voluto a giugno proprio dal presidente serbo), in vista delle elezioni parlamentari e presidenziali del 20 dicembre.

La candidatura di Panić arriva solo alla fine del mese, ma in tutte le settimane precedenti si attrezza per creare una fronda interna contro Milošević, cercando di convincere anche gli elettori di etnia albanese a non boicottare il voto.

Questa tattica si rende evidente con la visita al leader della Lega Democratica del Kosovo, Ibrahim Rugova, che gli costa il marchio di “traditore” dai nazionalisti serbi.

È proprio la cerchia di Milošević che inizia a parlare di una possibile guerra civile tra i sostenitori dei due contendenti alla presidenza della Serbia. Guerra civile che, inevitabilmente, avrebbe una connotazione etnica e religiosa (albanesi contro serbi, musulmani contro ortodossi).

In altre parole, si tratterebbe della miccia per far esplodere definitivamente la regione, oltre i confini della Bosnia e della Krajina croata.

Senza contare il fatto che Turchia, Iran, Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi potrebbero non farsi troppi problemi a intervenire militarmente nei Balcani Occidentali, in caso di estensione del conflitto al Kosovo.

Mai come a novembre sembra concreta la possibilità di un crollo degli equilibri geopolitici nella penisola, con imprevedibili conseguenze per l’Europa e gli Stati Uniti.

I finanziatori in denaro e armi della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, tra Paesi (in verde) e organizzazioni estremiste (in nero) dell’area islamica

Quello che ne risulta al momento è invece un aumento delle tensioni in Macedonia, anche in questo caso per questioni etniche.

Nella Repubblica divenuta indipendente il 25 settembre del 1991 si è aperta una faglia tra macedoni e albanesi, con questi ultimi che rivendicano l’autonomia nelle regioni a maggioranza musulmana.

Il 6 novembre una serie di incidenti a Skopje provocano la morte di tre cittadini di etnia albanese e di un poliziotto di etnia macedone.

È un altro campanello d’allarme per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che la situazione in tutta la regione - e non solo in Bosnia - deve essere tenuta sotto controllo.

Il presidente della Macedonia, Kiro Gligorov

Se pensi di conoscere qualcuno interessato a questa newsletter, perché non regalargli un abbonamento?

Give a gift subscription

Qui l’archivio di BarBalcani - Podcast:

A questo link puoi trovare il riassunto del 1991.

Discussion about this episode