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The Yugoslav Wars // Le guerre in Jugoslavia
Luglio '91. Un fronte si chiude, un fronte si apre
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Luglio '91. Un fronte si chiude, un fronte si apre

Luglio 1991.

Da una settimana la Slovenia ha dichiarato l’indipendenza (26 giugno) e l’Armata Popolare Jugoslava (JNA) ha sferrato il suo primo attacco [puoi recuperare qui l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast].

I primi quattro giorni di guerra si sono chiusi con un cessate il fuoco. Ma la situazione sembra più instabile che mai.

Intanto, mentre Lubiana si appresta a chiudere rapidamente il conflitto e la sua appartenenza alla Repubblica Socialista Federale, un altro attore torna sulla scena.

È la Croazia, già teatro di un’escalation di tensione nei mesi precedenti.

A luglio, però, i freni inibitori sono venuti meno e non c’è più nulla che possa bloccare la guerra.

Inizia così il primo vero e proprio conflitto etnico dei Balcani.


Addio Lubiana

Il cessate il fuoco del 30 giugno è la calma prima della tempesta.

Due giorni più tardi l’esercito federale rompe la tregua. Il 2 luglio è il giorno più lungo della guerra di Slovenia.

La colonna bloccata nella foresta del Krakovski gozd (al confine sudorientale con la Croazia) cerca di forzare il blocco. Gli sloveni rispondono.

Arriva l’appoggio dell’aviazione federale, che colpisce anche i ripetitori del castello di Lubiana. I tank si rimettono in marcia verso i valichi di frontiera.

La JNA mostra i muscoli e si registrano gli scontri più duri dall’inizio del conflitto.

La presidenza slovena si riunisce e propone la tregua. Ma il generale Blagoje Adžić rifiuta e rilancia: «Gli sloveni sono ipocriti e senza scrupoli, usano i trucchi più vili».

Lubiana però incassa la solidarietà mondiale. Dalla Germania al Regno Unito, dagli Stati Uniti all’Italia, l’Occidente vede la Slovenia come Davide contro un Golia comunista.

Si moltiplicano gli appelli perché venga riconosciuta l’indipendenza della Repubblica secessionista e si fermino gli attacchi dell’Armata. Che intanto tace.

È il 6 luglio quando il ministro della Difesa, Veljko Kadijević, spazza via ogni dubbio.

L’Armata è pronta a rispettare le richieste della presidenza slovena.

Il giorno dopo, il 7 luglio, la pace in Slovenia viene ratificata sull’isola di Brioni, in quella che fu la residenza del maresciallo Tito.

Ufficialmente, gli Accordi di Brioni sanciscono una moratoria di 3 mesi sull’indipendenza. Ma di fatto riconoscono l’avvenuta secessione.

E l’inizio della guerra in Croazia.

I generali dell’esercito federale, ormai impresentabili sulla scena internazionale, hanno aderito al progetto panserbo del presidente Slobodan Milošević.

La ratifica degli Accordi di Brioni (fonte: Museo Nazionale di Storia Contemporanea di Croazia)

Le porte dell’inferno

È da mesi che la Croazia vive una tensione etnica che sta sfociando sempre più in violenze fisiche: agguati, sparatorie, scontri a sangue tra le autorità croate e le minoranze serbe della Slavonia e della Krajina.

Da Pakrac a Titova Korenica, fino a Borovo Selo.

Ma quando il 26 giugno il Parlamento di Zagabria proclama l’indipendenza - come Lubiana - si aprono le porte dell’inferno.

L’inferno del conflitto etnico che vede contrapposti la Guardia Nazionale Croata e i ribelli della Repubblica serba di Krajina.

All’inizio di luglio la situazione diventa irrecuperabile.

Josip Reihl-Kir, capo della polizia di Osijek e ultimo croato che ancora credeva di poter trovare un compromesso [Maggio '91. Agguato alla pace], viene assassinato con 28 proiettili da Ante Gudelj. Croato, anche lui, ma ultranazionalista.

Con l’omicidio di Reihl-Kir viene sepolta la pace in Croazia.

Mentre gli occhi degli osservatori internazionali sono puntati sulla Slovenia, le milizie cetniche di Mile Martić attaccano il paese di Glina.

I martičevci usano mortai dell’esercito federale e, prima che i croati possano rispondere, le truppe della JNA guidate dal colonnello Slobodan Tarbuk creano un cuscinetto di protezione.

È il Piano Ram, per creare la cornice della Grande Serbia [Febbraio ‘91. Una guerra senza inizio].

La guerriglia si allarga a macchia d’olio, in 8 regioni: Slavonia occidentale e orientale, Banija, Kordun, Lika, Dalmazia settentrionale, Dubrovnik e alcune isole.

Le regioni coinvolte negli scontri etnici in Croazia

Sono zone molto diverse tra loro anche per composizione etnica. La presa di potere è più veloce là dove maggiore è la concentrazione di popolazione serba (Knin, Kordun, Lipa e Dalmazia).

Dove invece c’è una forte resistenza croata, come in Slavonia, l’Armata Popolare interviene con attacchi di artiglieria e bombardamenti aerei. In particolare contro le città di Vukovar, Dalj, Osijek ed Erdut.

Per “bonificare” i territori dalla presenza croata, i serbi fanno ricorso ai gruppi paramilitari e ai loro metodi macabri. Organizzati in unità tra i 15 e i 40 uomini armati, si abbandonano a violenze disumane contro la popolazione civile.

Ci sono i martičevci - detti anche knjindje (ibridazione tra la città di Knin e i ninja) - i militi della Difesa territoriale, le Tigri di Arkan, la Guardia nazionale di Vuk Drašković, il Corpo d’armata di Avala, le Aquile bianche e le Aquile azzurre, le unità di Dušan il Forte.

Dall’altra parte, oltre all’esercito di Zagabria, compaiono le unità ultranazionaliste dell’Unione Democratica Croata (HDZ). Anche loro si macchiano di azioni cruente nei confronti di ribelli serbo-croati catturati.

Intanto, l’offensiva congiunta dei cetcici e dei federali si abbatte sulla Banija. Resistono solo Petrinja e Kostajnica.

Il presidente croato, Franjo Tuđman, invoca l’invio di caschi blu delle Nazioni Unite e di osservatori internazionali. Ma l’Occidente non risponde, come in primavera.

Si aprono tre fronti di guerra:

  1. A Nord-Est, nel triangolo Vukovar-Osijek-Vinkovci

  2. Al centro, lungo il fiume Sava e l’autostrada Zagabria-Belgrado

  3. Nel settore adriatico, tra Zara e Spalato

Ma a fine luglio l’inerzia è tutta nelle mani dei serbi, che conquistano anche Kostanjica.

Ora l’attenzione dell’Armata è tutta puntata sulla Slavonia.

La città di Vukovar è il pesce grosso da catturare.

Vukovar, Croazia

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