S5E21. Era davvero l'auto peggiore al mondo?
Grazie al progetto Yugoverse, la leggendaria Yugo sfida ancora oggi un appellativo immeritato. Ma soprattutto simboleggia il legame tra i valori del passato e il presente di lotta per un bene comune
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L’hanno definita “l’auto peggiore al mondo”. L’hanno derisa, soprattutto per le sue caratteristiche di economicità e accessibilità. L’hanno paragonata al fallimento dello Stato socialista, come se uno fosse la metafora dell’altra.
Eppure la Yugo è ancora qui. A quasi 50 anni dalla produzione del primo modello, circola ancora sulle strade tra la Serbia e la Croazia, sulle mulattiere delle montagne bosniache o nelle vie di Mitrovica, Skopje, Banja Luka, Podgorica, Novi Sad.
La Yugo è un pezzo centrale della storia della Jugoslavia, ma non solo. Negli ultimi anni è diventata sempre più il simbolo del recupero di una memoria collettiva che l’establishment politico dei Paesi post-jugoslavi ha voluto dimenticare o eradicare, per questioni di nazionalismo o di rimozione di un trauma.
Insomma, la Yugo è molto più del socialismo jugoslavo. A partire dal nome. Sì, perché “Yugo” non è l’abbreviazione di “Jugoslavia” (che in inglese si scrive Yugoslavia).
A spiegare tutto questo oggi a BarBalcani è Jovana Ninković, fondatrice di Yugoverse, impresa di Belgrado specializzata nei tour guidati a bordo delle auto d’epoca jugoslave.
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L’auto del vento
«La Yugo è una leggenda», spiega senza troppi giri di parole Ninković, descrivendo l’auto prodotta dal 1981 nella fabbrica di auto Zastava a Kragujevac (Serbia), grazie alla stretta collaborazione con l’italiana Fiat dal 1953.
«Zastava e Fiat sono state partner sin dall’inizio della produzione di veicoli a Kragujevac», tanto che oggi nello stabilimento serbo (non più della Zastava, chiusa nel 2008) si produce ancora la Fiat 500L.
Se i primi modelli erano «copie quasi perfette dei loro ‘fratelli italiani’» grazie alla licenza garantita dalla Fiat alla controparte serba - per esempio la Zastava 750 della Fiat 600, o la Zastava 101/128 della Fiat 128 - per la Yugo era diverso.
In primis, «la Yugo non era una “copia carbone” dei modelli italiani come le precedenti auto, ma era stata progettata in Serbia», precisa Ninković.
A questo si aggiunge il fatto che «tutte le componenti erano prodotte in Jugoslavia», nelle diverse Repubbliche che la componevano: allestimenti interni e freni in Croazia, cinture di sicurezza, serrature e specchietti in Macedonia, componenti elettrici in Slovenia, motore in Bosnia ed Erzegovina, assemblaggio in Serbia.
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E poi c’è una curiosità che in pochi conoscono, come rivela la fondatrice di Yugoverse.
«“Yugo” non deriva da “Jugoslavia”, come molti credono erroneamente. Come si può ancora vedere su alcune delle prime serie dell’auto, il suo nome originale è “Jugo”, come il vento caldo e secco che soffia dall’Africa e poi diventa umido sul Mar Mediterraneo e sul Mare Adriatico».
Negli anni Settanta e Ottanta «era comune dare ai nuovi modelli di auto nomi ispirati a diversi tipi di venti». Uno su tutti lo scirocco: oltre alla Volkswagen Scirocco, la Maserati Ghibli (nome libico dello stesso vento) e la Zastava Jugo - poi diventata Yugo - «che significa proprio scirocco» in serbo-croato.
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Il primo prototipo della Yugo fu prodotto il 2 ottobre 1978, mentre la produzione iniziò ufficialmente il 28 novembre 1980, con la commercializzazione a partire dall’anno successivo.
Come spiega Ninković, una delle sue caratteristiche principali è l’essere sempre stata economica, ma anche compatta - «offrendo comunque molto spazio per quattro passeggeri» - e non molto facile da guidare: «In Serbia abbiamo un detto che dice che se hai imparato a guidare una Yugo, puoi guidare qualsiasi cosa!»
Tra le altre curiosità della Yugo, si può ricordare la ruota di scorta nel vano motore, le versioni con aria condizionata o i circa 500 esemplari di Yugo Cabrio progettate a Detroit dalla General Motors «principalmente per i giovani statunitensi che desideravano un’auto convertibile piccola ed economica, ma dall’aspetto sportivo».
La Yugo in fondo era «estremamente comoda da guidare e il consumo poteva essere ridotto in modo significativo se trattata nel modo giusto». Ma era anche capace di adattarsi a ogni esigenza - grazie a un motore «molto semplice, compatibile con molti tipi diversi di aggiornamenti e sostituzioni» - caratteristica che l’ha resa «la più popolare tra chi voleva costruirsi la propria auto da corsa».
L’auto peggiore, l’auto migliore
«La Yugo ne ha passate tante per essere un’auto così piccola, proveniente dalla Jugoslavia», racconta la fondatrice di Yugoverse.
È stata definita «affidabile, comoda e sicura», ma anche la peggiore al mondo. «Entrambe le cose possono essere vere a seconda del metro di paragone e della provenienza, ma nessuno può negare che la Yugo abbia sfidato ogni pronostico». Come dimostrato dalle 140 mila unità vendute dal 1984 negli Stati Uniti.
Anche con più di 40 anni nel motore, le Yugo - come quelle messe a disposizione dai tour guidati di Yugoverse - «funzionano ancora perfettamente», mette in chiaro Ninković, che ricorda come «con una cifra modesta si poteva acquistare un’auto nuova dal concessionario», che avrebbe funzionato a lungo, fino a quando non si fosse rotta. «I ricambi erano sempre economici, era semplice da mantenere e aggiustare».
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Eppure il marchio di “peggiore auto al mondo” è rimasto impresso a fuoco sulla Yugo, a causa della cattiva reputazione fattasi negli Stati Uniti.
«Lì la Yugo non ha mai avuto la possibilità di essere aggiornata e migliorata a causa della situazione politica in Jugoslavia», è quanto spiega Ninković, facendo riferimento alla dissoluzione della Federazione e alle guerre degli anni Novanta.
Di conseguenza «non c’erano abbastanza officine autorizzate e pezzi di ricambio, o erano di qualità scadente, e chi voleva mantenere e riparare la propria auto non sapeva a chi rivolgersi». In altre parole, «la Yugo è stata semplicemente “scaricata” negli Stati Uniti e poi tutto si è fermato».
Nonostante anche Oltreoceano avesse fatto ciò che doveva - «era economica e accessibile, solitamente la seconda auto della famiglia» - è facile immaginare il senso di frustrazione nel momento in cui era necessaria della manutenzione ma non c’era un meccanico a cui potersi rivolgere.
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A questo si aggiunge un’altra questione, a proposito delle guerre degli anni Novanta. Dopo il bombardamento nel 1999 da parte della Nato della fabbrica di Kragujevac (Zastava è un’azienda attiva anche nel settore delle armi), «queste auto non hanno mai avuto la possibilità di essere aggiornate, sono rimaste bloccate nel tempo».
Di conseguenza le auto Zastava sono state prodotte così com’erano fino al 2008. Per motivi anagrafici e di obsolescenza, è evidente che - al confronto con le concorrenti di 20 o 30 anni più moderne - «la Yugo non poteva competere in alcun modo», ricorda Ninković.
Tutte queste queste circostanze non giustificano quindi la nomea di “peggiore auto del mondo”. E poi, «quante auto degli anni Ottanta si vedono ancora circolare ogni giorno in città?»
Molto più di una piccola auto
Alla luce di questo passato da riscoprire e rivalutare, nel 2019 Ninković ha deciso di lanciare Yugoverse, un progetto di turismo locale che permette alle persone di conoscere Belgrado e la storia jugoslava a bordo di una Yugo (o di altre auto d’epoca Zastava).
«L’idea che mi ha spinto a fondare l’impresa era che nessuno che possiede una Zastava deve essere costretto a venderla per mancanza di fondi per mantenerla o restaurarla», spiega l’imprenditrice serba.
Permettere un guadagno economico «guidando la propria auto» e mettere in contatto persone con interessi comuni è stata la ricetta del successo: «È stata una fusione del nostro amore per le auto, per la storia e per la nostra città e della capacità di presentare tutto questo ai turisti che visitano la Serbia».
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In un momento storico in cui il governo serbo sta attivamente cancellando le tracce del passato jugoslavo, la Yugo può diventare il simbolo di qualcosa di superiore.
«Qualcuno la vede come il simbolo di un periodo difficile e buio e, come tale, un’ombra che vorrebbe non aver mai posseduto o guidato», racconta Ninković. Ma la verità è spesso l’opposto: «Sono nati in una Yugo, hanno imparato a guidare su una Yugo o ne hanno posseduta una, e hanno dimenticato cosa significa amare un’auto come un membro della famiglia».
Quello che Yugoverse insegna è «rispettare e amare la propria storia», in modo critico ma anche con un pizzico di idealismo.
Tutto questo si riassume in una parola - ‘jugonostalgia’ - che negli ultimi anni sta evolvendo in qualcosa di più di un semplice ricordo dei tempi andati. Una sorta di resistenza a un modello di società che ha perso alcuni dei valori progressisti dell’epoca jugoslava.
«La jugonostalgia è spesso vista come una “malattia” di alcune parti della società moderna, o un passo indietro di un secolo», ma la verità per Ninković è che «siamo nostalgici di alcuni valori fondamentali che sono scomparsi».
Non solo la famosa unità jugoslava - «che era in parte sincera e in parte imposta politicamente» - ma soprattutto il fatto che «la gente lavorava davvero per il proprio Paese e il proprio futuro».
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“Pianta un albero affinché i tuoi figli e i tuoi nipoti possano sedersi sotto di esso, anche se tu non potrai mai farlo” «Era questo il tipo di filosofia che spingeva i giovani di allora a costruire strade, scuole, palazzi, parchi, intere città. Molto di ciò che abbiamo oggi a Belgrado lo dobbiamo a loro».
Come ricorda Ninković, chi nel 2025 è “affetto” dalla jugonostalgia si ispira «all’impegno, allo sforzo e alla convinzione che stiamo costruendo qualcosa di buono e utile» non solo per noi stessi, «ma anche per i nostri vicini, i nostri figli e i nostri nipoti».
Questa consapevolezza oggi in Serbia sta ritrovando forza in una nuova generazione che «lotta con tutte le proprie forze per una società migliore». In particolare gli studenti «stanno dando l’esempio», unendo persone «che sono state a lungo separate, ma da nessun motivo irrisolvibile».
È in questo nuovo spirito che Ninković ritrova i valori fondamentali del passato, «una scintilla che illumina la possibilità che tutti noi possiamo lavorare insieme per un bene comune» nel presente e nel futuro.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi al bancone di BarBalcani troviamo un drink adatto anche a chi si deve mettere alla guida, di una Yugo o di qualsiasi altra auto. «Per chi non beve alcolici, sicuramente Cockta», è il consiglio di Ninković.
Cockta fu inventata nel 1952 nella Repubblica Socialista di Slovenia. Una bevanda analcolica in grado di competere con i marchi stranieri e di compensare la loro assenza in Jugoslavia (a causa del divieto governativo).
Il direttore della società statale Slovenijavino, Ivan Deu, ebbe l’idea di produrre una nuova bevanda, che fu realizzata dall’ingegnere chimico Emerik Zelinka, dipendente dei laboratori di ricerca Slovenijavino.
Il nome deriva dalla parola ‘cocktail’, e il nuovo prodotto fu presentato per la prima volta l’8 marzo 1953 a Planica, in occasione di una gara di salto con gli sci. Quello stesso anno furono riempite 4,5 milioni di bottiglie con un milione di litri di Cockta.
La Cockta è ancora oggi realizzata con una miscela di undici erbe e spezie diverse, tra cui la rosa canina, l’aroma principale della bevanda.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la ventiduesima e ultima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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