S4E17. Sombreri balcanici
Sotto l'influenza dei film importati dal Messico, nella Jugoslavia di Tito esplose il fenomeno musicale Yu-Mex. Fernando Martín Velazco ripercorre il viaggio alle origini di questi insoliti mariachi
Caro lettore, cara lettrice,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Mariachi, sombreri, ¡Que viva México!
Cosa ci fanno tutti i più classici stereotipi messicani nel bel mezzo dei Balcani? Perché tra Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Croazia e gli altri Paesi dell’ex-Jugoslavia c’è stato un tempo in cui hanno spopolato le note e le melodie delle più profonde aree rurali del Messico occidentale.
Si chiamava Yu-Mex (da Yugoslavia e Mexico) ed è stato - seppur per un periodo limitato di tempo - uno dei più importanti fenomeni musicali e culturali della Yugoslavia.
Un genere nato dall’incontro di due Paesi geograficamente lontani, ma accumunati dalla stessa necessità di costruire un mito di unità e di identità nazionale basato su una rivoluzione sociale.
E che in un modo del tutto inaspettato portò diversi musicisti jugoslavi a trasformarsi in perfetti mariachi. A cantare la ranchera in serbo-croato, con tanto di sombreri e abiti da charro.
A spiegare le origini di questo fenomeno tanto dimenticato quanto singolare è lo scrittore e ricercatore multidisciplinare Fernando Martín Velazco, capitano della piattaforma di ricerca basata sul metodo delle spedizioni creative Stultifera Navis Institutom.
Una di queste spedizioni si è incentrata proprio sulla riscoperta della storia e delle caratteristiche del Yu-Mex. Alla ricerca degli insoliti mariachi nell’utopico paese di ‘Kamarones, Jugoslavija’.
Il Messico in Jugoslavia
Per capire il perché della nascita del Yu-Mex e dell’enorme influenza messicana in Jugoslavia, bisogna tornare indietro al secondo dopoguerra. «Il Messico ebbe un grosso impulso economico, perché gli Stati Uniti avevano bisogno di manodopera e di influenza ideologica», spiega Velazco, parlando dei finanziamenti di Washington che portarono l’industria cinematografica messicana a crescere con «una generazione di cineasti straordinari ed esportazione delle pellicole».
Nello stesso periodo in Jugoslavia, con la rottura tra Tito e Stalin nel 1948, «non c’erano più le condizioni per importare cinema sovietico, ma nemmeno quello statunitense». Rimanevano perciò pochi mercati disponibili in termini di produzione cinematografica, oltre a quello europeo.
Leggi anche: S3E9. La leggenda degli Spomenik fraterni
Ma dall’altra parte dell’Atlantico c’era un Paese che produceva da anni buon cinema, con una musica riconoscibile e che aveva vissuto una rivoluzione negli anni Dieci. «Anche se non fu una rivoluzione socialista come quella jugoslava e ciò che ne emerse fu uno Stato capitalista, molti elementi del discorso rivoluzionario messicano erano sociali», sottolinea l’ideatore del progetto ‘Kamarones, Jugoslavija’.
Tutto ciò rese possibile nel 1952 lo sbarco del primo film messicano in Jugoslavia, Un día de vida di Emilio ‘El Indio’ Fernández. Velazco ricorda che «mentre in Messico non ebbe granché fortuna, in Jugoslavia fu un successo assoluto», al punto che Jedan dan života (in serbo-croato) «divenne la pellicola più proiettata».
La trama di Un día de vida/Jedan dan života nasconde il motivo stesso del boom della musica messicana in Jugoslavia. Due fratelli - generali durante la Rivoluzione messicana - si ritrovano divisi al termine della guerra civile: uno viene condannato a morte per alto tradimento e l’altro deve catturarlo per farlo giustiziare.
L’ultimo desiderio è un altro giorno di vita per andare a trovare la madre per il suo compleanno e cantare insieme Las mañanitas, «una canzone che tutti conoscono in Messico».
Il successo del film nei teatri jugoslavi fu legato probabilmente ai temi riconoscibili della rivoluzione, della guerra civile, dei tradimenti, dell’attaccamento per la famiglia. E fu così che «alcuni musicisti iniziarono a suonare questa canzone, scrivendo nuovi testi in serbo-croato», racconta Velazco.
In altre parole ne nacquero versioni con la stessa melodia, ma con testi diversi e diverse intenzioni. «Se in Messico è di per sé allegra, nei Paesi dell’ex-Jugoslavia è una canzone triste dedicata alle madri che hanno perso i loro figli».
Las mañanitas - o Mama Huanita come è altrimenti conosciuta - «divenne una canzone di grande successo e popolarità», che aprì la strada da quel momento in poi a cinema e musica messicana in Jugoslavia.
Sotto questa influenza i musicisti locali iniziarono a utilizzare melodie messicane per scrivere i propri testi. E i sombreri si imposero definitivamente in Jugoslavia, come puntualizza Velazco: «Lo Yu-Mex divenne un genere musicale a sé stante».
Leggi anche: S4E8. È il caso che tu sappia chi è Valter
Un fascino idealizzato di unità
Lo Yu-Mex divenne un fenomeno musicale talmente strutturato che «anche in un film di Emir Kusturica si dice che è “una cosa sicura da ascoltare”», continua Velazco. Perché, come sempre accade nella storia, «la musica rifletteva ciò che stava accadendo in Jugoslavia» tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta.
«Se si ascoltava musica folk si poteva essere sospettati di nazionalismo, se si ascoltava musica occidentale o sovietica poteva essere altrettanto pericoloso», ed è per questo che «la musica messicana era qualcosa di totalmente sicuro».
I musicisti jugoslavi «ne hanno fatto ottimi adattamenti, rendendo lo Yu-Mex un buon movimento», seppur limitato allo spazio di una decina d’anni. Dopodiché la Jugoslavia formò una propria industria musicale e cinematografica più strutturata.
Leggi anche: XXVII. Capodanno da Tito
Non c’è dubbio che ad aver favorito l’ascesa della cultura messicana in Jugoslavia fu lo stesso fondatore della Repubblica Federale, Josip ‘Tito’ Broz. «Era un fan della musica messicana e dei mariachi», rivela Velazco, citando le fotografie del Capodanno del 1956 a Luxor (Egitto) mentre indossa un sombrero. Tito era anche molto amico del presidente messicano Luis Echeverría, che - secondo le leggende metropolitane - «gli regalò la pistola di Emiliano Zapata, uno dei leader rivoluzionari».
Ma non è solo questo ad affascinare chi studia da vicino il fenomeno Yu-Mex.
«L’immagine del Messico che emerge dalle pellicole cinematografiche è una completa invenzione», spiega Velazco: «Sono stati presi solo alcuni elementi specifici di qualche regione». L’iconografia mariachi è poi diventata un simbolo nazionale, quando in realtà «lo era solo di una piccola parte del Messico».
Lo sforzo del governo di creare un’immagine di unità per un Paese che usciva da una guerra civile ebbe successo soprattutto in Jugoslavia, perché «l’immagine del Messico in quei film era fittizia, ma funzionava molto bene per quel pubblico».
Insomma, quando i musicisti jugoslavi si riallacciarono a quelle melodie e tematiche - cantando addirittura ¡Quo viva México! - «stavano parlando di un Messico che non esisteva davvero e che non potevano conoscere».
Eppure, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quell’immagine di unità e di rivoluzione sociale esercitò quasi inevitabilmente una grande forza attrattiva in Jugoslavia. Un Paese appena nato e non-allineato, che «aveva bisogno di una narrazione nuova e che doveva fare i conti con le sue diverse identità interne».
Leggi anche: S3E19. Perché i Balcani si chiamano Balcani
Alla ricerca di Kamarones
Perso tra le pieghe della storia - in decenni che hanno visto la dissoluzione della Jugoslavia e la trasformazione del Messico in una delle potenze dell’America Latina - lo Yu-Mex è riemerso di recente grazie a un progetto culturale di Stultifera Navis Institutom.
«Si è trattato di una spedizione di ricerca realizzata nell’estate del 2018 in Croazia, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina, un’avventura nei Paesi dell’ex-Jugoslavia per scoprire di più sui mariachi in questa regione», spiega Velazco a BarBalcani.
‘Kamarones, Jugoslavija’ è andato alla ricerca di un utopico paese messicano nel mezzo dei Balcani, una finzione narrativa utilizzata in modo sapiente per far scattare una memoria collettiva.
Leggi anche: S4E11. Due ruote, otto Paesi. Una strada unica
Il nome ‘Kamarones’ non è legato alla storia jugoslava, ma a quella messicana: «A metà dell’Ottocento la Francia invase il Messico e mise sul trono l’imperatore austriaco, Massimiliano I». Nei pressi del paese di Camarón l’esercito messicano e la Legione straniera francese combatterono una grande battaglia: «Gli invasori furono sconfitti, ma combatterono con così grande valore che i sopravvissuti furono lasciati vivere dai generali messicani».
Se l’inno della Legione straniera francese parla ancora della battaglia avvenuta a Camarón - “Héros de Camerone et frères modèles, dormez en paix dans vos tombeaux” - per l’ideatore di ‘Kamarones, Jugoslavija’ è stato ancora più sorprendente sentire questo racconto da un ragazzo in una kafana di Belgrado: «Così ho pensato che poteva essere un bel nome per una città utopica nell’ex-Jugoslavia da andare a ricercare».
Nel corso della spedizione alla ricerca di Kamarones Velazco ha scoperto che oggi «c’è una sorta di legame emotivo» con lo Yu-Mex, «più intimo che storico-sociale». Anche se non necessariamente legato alla storia della Jugoslavia, «alcune persone ricordano la musica messicana come un qualcosa legato ai propri nonni». Ecco perché «credo che sia un argomento potente per riportare alla memoria le storie familiari».
Oltre alla ricerca documentaria, «un aspetto interessante di questo progetto è stato quello di “mettere in scena” la messicanità negli spazi pubblici dei territori dell’ex-Jugoslavia». Ovvero partecipare a una performance messicana, cantando una vecchia canzone Yu-Mex (in spagnolo e serbo-croato) e indossando un sombrero: «La reazione delle persone è stata gentile, entusiasta e persino teatrale».
Proprio come accadeva più di mezzo secolo fa ai musicisti jugoslavi che fingevano di essere mariachi. «Sugli LP venivano utilizzate iconografie messicane o fotografie di cantanti jugoslavi vestiti da messicani», qualcosa di decisamente inaspettato per il pubblico messicano di oggi. «È molto strano vedere un messicano che indossa un vestito mariachi nella quotidianità, ancora di più addosso a persone jugoslave degli anni Cinquanta», confessa Velazco.
Per tutte queste ragioni ‘Kamarones, Jugoslavija’ «è stata una ricerca interessante su entrambe le regioni, sulle loro identità, sul loro senso di unità e sulla loro musica». Perché, se un tempo erano i Balcani a suonare e cantare il Messico, «per ironia della sorte oggi la musica balcanica comincia a essere molto popolare in Messico!»
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Guidati dal nostro ospite che ha ripercorso l’influenza della cultura messicana in quella che fu la Jugoslavia di Tito, oggi il bancone di BarBalcani fa inevitabilmente tappa nell’utopica città balcanico-messicana di Kamarones.
«Mi chiedo che sapore avrebbe un margarita preparato con slatko [conserva sciroppata a base di prugne, ndr] o žižula [giuggiola, ndr]», sorride Velazco.
«Ma credo che per lo spirito Yu-Mex andrebbero bene shot di rakija e tequila, ascoltando musica mariachi». Perché, come confessa lo stesso ideatore del progetto ‘Kamarones, Jugoslavija’, «le storie più sorprendenti sono nate dalla condivisione di questi drink con diverse persone provenienti dai territori dell’ex-Jugoslavia».
Leggi anche: S4E13. Il gastronazionalismo non sa di niente
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la diciottesima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
Se hai una proposta per scrivere un articolo, un’intervista o un reportage a tema balcanico, puoi inviarla a redazione@barbalcani.eu. I contributi esterni saranno pubblicati nella sezione dedicata Open Bar.
Il sostegno di chi ogni giorno - leggendo e condividendo - dà forza a questo progetto è fondamentale anche per mantenere gratuita e per tutti la newsletter BarBalcani.
Perché dietro un prodotto sempre più originale c’è un sacco di lavoro nascosto, per sviluppare nuove idee, interviste e collaborazioni. Che può essere reso possibile anche grazie al tuo supporto.
Ogni secondo mercoledì del mese riceverai un articolo-podcast mensile sulle guerre nell’ex-Jugoslavia, per ripercorrere cosa stava accadendo nei Balcani di 30 anni fa, proprio in quel mese.
Puoi ascoltare l’anteprima di Le guerre in Jugoslavia ogni mese su Spreaker e Spotify.
Se non vuoi più ricevere qualcuna tra le newsletter di BarBalcani (quella bisettimanale in italiano e inglese, i contributi esterni di Open Bar, il podcast mensile Le guerre in Jugoslavia per gli abbonati), puoi gestire le tue preferenze su Account settings.
Non c’è più bisogno di disiscriversi da tutto, se pensi di ricevere troppe mail da BarBalcani. Scegli i prodotti che preferisci!