XXVII. Capodanno da Tito
Feste, sombreri, maraschino e ravioli di fegato. Il Museo della Jugoslavia (Belgrado) apre i suoi archivi, per far conoscere come passava la vigilia del nuovo anno il fondatore della Federazione
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
È l’ultima tappa della vigilia dei 30 anni. Dalla prossima saremo immersi in una “nuova” esperienza, nell’anniversario dello sfaldamento della Federazione.
Per dare addio a questo primo tratto di strada e prepararci al nuovo anno, perché non farlo con chi quella Jugoslavia l’aveva creata?
Allora vestiamoci bene, tiriamo fuori dall’armadio il cappello più strano che abbiamo e portiamo una bottiglia da stappare al Capodanno con Tito!
[Grazie ad Ana Panić, curatrice delle collezioni del Museo della Yugoslavia di Belgrado, per averci aperto l’archivio storico. Tutti i credits delle foto sono del Museo della Yugoslavia].
Una nuova idea di festeggiamenti
Il Capodanno, con i suoi festeggiamenti, ha iniziato ad acquistare una particolare importanza in Jugoslavia solo dopo la seconda guerra mondiale.
Dal 1919, il Little Christmas - così era chiamato il Capodanno nel Regno dei serbi, croati e sloveni - si celebrava raramente e solo come simbolo di europeizzazione.
Ma nei primi anni del dopoguerra (1945-1947) iniziarono a comparire sulla stampa annunci di festeggiamenti in alberghi e ristoranti. Pian piano, nei luoghi pubblici (piazze, circoli militari, fabbriche), fu introdotto il modello URSS.
Fu così che vecchie e nuove feste si mescolarono in un mix di tradizione e ideologia. Il Natale era ancora festeggiato, tanto che durante le vacanze i giornali pubblicavano tre numeri con canti e auguri natalizi.
Tuttavia, già dal 1947 non c’era più nemmeno un briciolo dell’atmosfera natalizia sulla stampa. Il vecchio calendario delle festività, con le sue connotazioni religiose e pre-rivoluzionarie, doveva essere ricodificato.
Era necessaria una nuova festa socialista.
Nel processo post-rivoluzionario di trasformazione della società, la strategia di plasmare le tradizioni (feste statali, festival e riti) giocò un ruolo importante, come strumento per preservare l’ordine sociale e imporre nuovi principi.
Alla fine del 1948, il Fronte antifascista femminile (organizzazione di massa poco politicizzata) fu incaricato di promuovere il Capodanno come una “futura tradizione nazionale”. Una festa per i bambini, un giorno di gioia per tutti i lavoratori che potevano raccogliere i frutti di un anno intero.
Ded Moroz (Nonno Gelo) fu declassato a prodotto dei bolscevichi (dopo la scissione Tito-Stalin) e del clero, troppo simile a San Nicola. Le figure centrali diventarono una ragazza in costume nazionale - personificazione del nuovo anno proiettato nel futuro - e un vecchio partigiano, in continuità con la rivoluzione.
E gli alberi venivano decorati con simboli socialisti.
Non solo. Ogni anno le autorità ordinavano che dolci e giocattoli fossero ritirati dai negozi e poi rimessi in vendita subito prima del Capodanno. Non potevano essere sul mercato in occasione del Natale.
Attraverso una combinazione di propaganda e coercizione, il nuovo appuntamento nazionale prese la sua piena forma alla fine del 1949 e andò a sostituire la precedente usanza pubblica di celebrare feste religiose.
A little party never killed nobody
Il Capodanno fu proclamato festa nazionale nel 1955, con la prima legge sui giorni festivi. Doveva cancellare i confini tra vita personale e sociale.
O meglio, la funzione primaria delle celebrazioni pubbliche era quella di creare un senso di appartenenza per tutti i cittadini jugoslavi, indipendentemente dalla loro religione o nazionalità.
Questo era il clima generale quando il presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Josip “Tito” Broz, iniziò a partecipare a celebrazioni pubbliche, facendo giri sui tram e camminando lungo strade affollate per consentire ai cittadini comuni di augurargli il meglio per il nuovo anno.
Ma più di ogni altra cosa, Tito organizzò celebri feste di Capodanno insieme alla moglie Jovanka. Si univano a loro gli alleati politici più stretti, mentre i numerosi membri della famiglia si presentarono solo alcuni anni prima della morte di Tito (1980).
Di solito le feste si tenevano nella residenza presidenziale di Belgrado o nelle altre grandi città jugoslave. Ma il posto preferito da Tito era l’isola semi-privata di Brioni Maggiore (la più grande di un arcipelago di 14 piccole isole nel Mare Adriatico settentrionale). Lì trascorse 7 Capodanni.
Tito non si faceva mancare nulla, ogni anno invitava le star jugoslave più popolari. Ed era facile capire chi fossero le sue celebrità preferite: bastava contare quante volte erano chiamate a intrattenere i suoi Capodanni.
Anche se il dipartimento del protocollo presidenziale era incaricato di pianificare il Capodanno, Tito aveva sempre l’ultima parola.
Una delle tradizioni immancabili era un gioco di società chiamato “posta divertente”. Alle ragazze venivano dati dei biglietti, per commentare le diverse esibizioni musicali: a fine serata gli attori sul palco li leggevano a voce alta, tra le risate generali.
Un’altra caratteristica di queste feste era il dress-code. Gli abiti e vestiti di tutti gli/le ospiti erano accompagnati con accessori fantasiosi, come eccentrici berretti, cappelli e sombreri messicani… Una volta il sindaco di Sarajevo indossò un berretto a forma di tram, in omaggio al servizio pubblico messo in piedi nella sua città in un solo anno.
Negli anni accaddero anche episodi curiosi. Per esempio, il Capodanno del 1956 in Egitto. Tito e il suo entourage erano stati alloggiati in un albergo antico: ma se ci fossero state più di una trentina di persone, la stanza preposta per i festeggiamenti avrebbe rischiato di crollare.
Fine anno. Sul bancone di BarBalcani
E ora, per concludere in bellezza questa tappa e questo anno, sul bancone del nostro BarBalcani abbiamo il privilegio di ospitare alcuni menù del cenone di Capodanno di Tito.
I documenti degli Archivi della Jugoslavia ci mostrano il protocollo, le liste degli invitati con posti a sedere e spettacoli, l’organizzazione dettagliata di queste feste.
E in alcuni casi anche le proposte di menù. Come il Capodanno del 1978 all’Hotel Neptune sulle isole di Brioni. Piatti e vini locali imbandivano la tavola:
Antipasto: Overture Brioni + ricco consommé con frutti di mare
Piatto principale: Stufato di carne delle feste + maiale di Capodanno su letto di insalata
Dessert: Torta My dream + mandarini di Vanga
Oppure quello del Capodanno del 1977 al Park Hotel di Novi Sad:
Antipasto: Vojvodina snack (prosciutto affumicato, Kulen slovacco e formaggio Sombor)
Primo: Zuppa di carote con tagliatelle e ravioli di fegato + pesce persico cotto in salsa olandese
Secondo: Arrosto di tacchino, maiale e vitello
Contorno: cavolo cappuccio, patate al forno e insalata mista
Dessert: Strudel di Bačka + zucca, ciliegie, noci e mele
Dulcis in fundo, Tito e i suoi ospiti bevevano un bianco Riesling Sremski Karlovci e Kutjevo nero di Borgogna. E come digestivi, maraschino, Cointreau e Grand-Marnier!
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la ventottesima tappa!
Un abbraccio, buon cammino… e felice anno nuovo!
Ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio, iniziato ormai sei mesi fa. Qui puoi trovare tutte le tappe del 2020.
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