S4E15. Il femminismo della Gen Z serba
Nel 1953 Robert Capa ritraeva una ragazza jugoslava «realista, risoluta e tenace» nel suo reportage 'Generation X'. Settant'anni dopo a Belgrado Jelena Riznić combatte una nuova lotta generazionale
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Era il 1953 quando uno dei più grandi fotografi di tutti i tempi, l’ungherese naturalizzato statunitense Robert Capa, pubblicava sulla rivista Holiday il suo reportage dal titolo Generation X.
Con le storie di 23 ragazzi e ragazze di 14 Paesi di tutto il mondo veniva coniato per la prima volta il termine ‘Generazione X’ per descrivere quei 20/25enni che avevano conosciuto la Seconda Guerra Mondiale. Inclusa Nada Zivkovic, un’universitaria che allora viveva a Belgrado, capitale della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Capa la descrive come realista, risoluta e tenace. La rappresentazione della Generazione X in Jugoslavia.
Più di 70 anni dopo c’è un’altra generazione - nata tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemiladieci - che risponde ancora a queste caratteristiche, ma in un contesto cambiato. Nella Belgrado del presente l’attivista di Ženska solidarnost e accademica 26enne Jelena Riznić è diventata l’emblema di una rottura generazionale.
Realista, risoluta e tenace. La rappresentazione della Gen Z femminista in Serbia, che lotta per un futuro libero dalle catene del patriarcato.
“Ragazza con un obiettivo”. La Gen X jugoslava
‘Generation X’
Robert Capa per ‘Holiday’ (Gennaio 1953)
“È un collettivista di ferro, che vive la vita di una comunista titina a Belgrado, con una spinta positiva. Lei è Nada Zivkovic, studentessa sovvenzionata dallo Stato alla Facoltà Tecnologica della Scuola Superiore di Ingegneria. Studia ingegneria e chimica perché vuole contribuire all’industrializzazione del suo Paese.
La sua storia di guerra è dura, ma non l’ha amareggiata. A 12 anni portava cibo ai partigiani: è stata imprigionata, picchiata e, dopo il rilascio, ha combattuto con i partigiani per due anni. È ancora ufficiale riservista dell’esercito.
Vive con i suoi genitori in un appartamento condiviso con gli zii e i loro due figli piccoli. Non ha una stanza propria e deve studiare in una piccola alcova in cucina, l’unica stanza riscaldata. Non hanno un telefono, ma tiene corrispondenze costanti con studenti britannici e statunitensi.
La maggior parte dell’indennità per gli studenti finisce nelle spese della famiglia. Ha pochi soldi da spendere in vestiti. Ha molti amici e sono tutti comunisti. Le piacciono i film americani, in particolare Stirpe di Drago di Pearl Buck, e si dice influenzata da Engels e dai seguaci del materialismo dialettico.
Seria, risoluta, è la segretaria del Comitato del Partito Comunista in Facoltà e passa tre notti alla settimana a lavorare per il partito. Non è fragile, né mascolina. Non usa cosmetici, ma indossa calze di nylon. Pratica il tiro al poligono, va a feste o balli una volta a settimana. Ha un compagno fisso, spera di avere una famiglia con due figli. Di più, pensa, interferirebbero con il suo lavoro. È battezzata, ma non pratica alcuna religione.
Ha idee precise sugli affari internazionali e crede che un’altra guerra nella sua vita sia possibile, anche imminente. Le Nazioni Unite potrebbero essere una grande forza per il bene, se prendessero in considerazione le nazioni più piccole come la sua. Nada è una tipica ragazza jugoslava: realista, risoluta e tenace. Appartiene sicuramente alla Belgrado del dopoguerra”.
“Ragazza con una missione”. La Gen Z serba
«Se pensassi che le cose non possono cambiare, perché dovrei spendere la mia vita a lottare?»
Jelena Riznić, dottoranda 26enne all’Istituto di Scienze Sociali di Belgrado e attivista di Ženska solidarnost (“solidarietà femminile” in serbo), spiega così la sua missione sul piano personale e accademico nella Serbia di 70 anni dopo.
Anche lei realista, risoluta e tenace. Come emerge chiaramente dalle sue parole: «Per me il femminismo è quasi un dovere».
Il 2023 per la società serba è stato un anno durissimo, con due sparatorie di massa (che hanno causato 19 morti, di cui 10 in una scuola elementare) e «almeno 27 femminicidi, ma sono solo quelli di cui siamo conoscenza, perché il governo non vuole istituire un registro ufficiale», spiega Riznić.
La causa è chiara: «Il patriarcato è all’origine sia dei femminicidi sia delle sparatorie di massa, ne è il collegamento».
E le femministe «da tempo avvertivano che quando parliamo di violenza maschile, quando parliamo di politiche sul controllo delle armi, parliamo di patriarcato». Lo facevano in particolare mettendo in guardia «non solo dalle armi, ma anche dal modo in cui il patriarcato socializza i ragazzi e le ragazze».
Per esempio, la prima sparatoria del 3 maggio è stata compiuta da un ragazzino di 13 anni, a cui il padre ha insegnato a sparare: «Lo stesso non succederebbe mai con una figlia femmina. E considerando la quantità di armi in circolazione, tutti sanno che c’è una possibilità reale che questa socializzazione possa avere conseguenze».
Allo stesso modo, Riznić ricorda che «più della metà dei femminicidi sono causati da ex-partner, fidanzati, mariti senza permesso per possedere un’arma», o avvenuti dopo una denuncia di violenza a cui non è seguita «nessuna indagine sul rischio che potessero detenere un’arma». E anche di questo avevano avvertito attiviste, professioniste che lavorano con donne che hanno subito violenza e movimenti come Ženska solidarnost.
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Attivista dalla nascita di Ženska solidarnost nel 2021 - «Il 1° febbraio è stato il nostro terzo compleanno» - Riznić mette in luce la principale caratteristica di questo collettivo informale: «Per la prima volta ho capito che possiamo fare qualcosa anche se non abbiamo molti mezzi, quasi senza nulla, solo con la solidarietà di chi decide di donare».
Sul piano politico «siamo qualcosa di nuovo», anche se in linea di continuità con le «voci femminili e l’attivismo in Serbia, e grazie alle donne che sono arrivate prima di noi». Qualcosa di nuovo in quanto Ženska solidarnost «dimostra che tutti possono fare qualcosa per un cambiamento positivo, può davvero ispirare le persone ad attivarsi».
Perché il rischio di una società organizzata solo attraverso le Ong è quello di una «dispersione delle responsabilità». Non si tratta di una critica al settore civile - che «può fare miracoli» - ma una presa di consapevolezza che molto spesso quando una certa Ong si occupa di una specifica questione «i cittadini possono pensare di non avere responsabilità nel risolvere i problemi».
Ed è qui che si innesta la missione della Gen Z serba.
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“Crepe nel patriarcato”. La generazione che verrà
Parlando con BarBalcani, Riznić ci tiene a ricordare che «il tema più importante per me è sicuramente quello della violenza sulle ragazze e sulle donne», che affronta collegando le due sfere della sua vita, «come attivista e come ricercatrice».
Violenza non è solo quella di genere, «ma significa anche sessualità femminile e il modo in cui il corpo delle donne viene percepito nel sistema patriarcale». È così che tra i temi «che mi stanno particolarmente a cuore» ci sono anche maternità surrogata, prostituzione e pornografia, «perché sono legati alla teoria femminista e hanno una grande importanza nella società serba».
Coniugare attivismo e mondo accademico è quella «sorta di dovere» che Riznić sente per «restituire qualcosa a tutte quelle donne che negli ultimi tre anni mi hanno fatto sentire tanto amore, sostegno e protezione mentre combattevo le mie lotte».
In termini pratici la ricercatrice e attivista serba sta oggi collegando «il metodo scientifico con nuovi modi per sostenere le donne che subiscono violenza, per far capire loro che possono andare avanti». A partire dall’argomento di dottorato: la violenza sessuale contro le studentesse nelle facoltà di Belgrado. «Penso sia davvero importante per descrivere la violenza in atto, ma soprattutto per sostenere le vittime».
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È proprio Riznić a definire se stessa «realista», quando si discute di crollo del patriarcato: «Non credo che lo vedrò nel corso della mia vita, anche se ho solo 26 anni». Eppure «quello che sento davvero è che vedremo tante crepe diverse nel patriarcato».
Nonostante «ciascuno di noi vive in una piccola bolla con persone che hanno le stesse opinioni» - e questo rende difficile percepire ciò che sta accadendo al di fuori - Riznić sottolinea che «in Serbia negli ultimi anni abbiamo visto le donne alzare la voce anche quando era molto difficile, per parlare di violenza e di violenza sessuale». Anche se non dimentica che «ogni volta che le donne alzano la voce, il patriarcato trova sempre nuovi modi per adattare il sistema di oppressione».
Essere «realista» non significa però affrontare le questioni più difficili con pessimismo. E «non perché io sia una persona fortemente ottimista», confessa Riznić: «Ma se sei pessimista, perché lo fai?»
Anche quando i tempi sono più bui, «quando penso che sto spendendo la mia vita, la mia giovinezza e le mie migliori energie per qualcosa che non cambierà», tutto può d’improvviso può ritornare ad avere un senso. Come quando incontra ragazze «che conoscono le mie battaglie con Ženska solidarnost e mi dicono “grazie, sei importante per me”».
È per questo che «scelgo di continuare, anche se è difficile». Ed è proprio questa «la più grande crepa nel patriarcato: credere fermamente che le cose cambino, anche se probabilmente non vedrò il cambiamento nel corso di tutta la mia vita».
Realista, risoluta e tenace.
Era Nada Zivkovic della Gen X jugoslava. È Jelena Riznić della Gen Z(enska) serba.
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Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Nel pieno della lotta femminista della Gen Z serba, ci fermiamo un istante al bancone di BarBalcani con la nostra ospite prima di riprendere il cammino.
«Raccomando sempre della rakija fatta in casa», ci confessa di Riznić.
E consiglio migliore non potrebbe arrivare, considerato il dono inaspettato e altrettanto gradito appena ricevuto da un’altra recente ospite di BarBalcani, la fondatrice del progetto The Balkan Kitchen, Irina Janakievska.
Una boccetta di lozova, la rakija di uva, lasciata in infusione con i ribes rossi. Per brindare tutti e tutte insieme alle nuove battaglie fino alla definitiva sconfitta del nazionalismo, della violenza e del patriarcato.
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la sedicesima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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