XLIII. La fabbrica del basket
Sono passati 30 anni dall'ultimo trionfo della KK Jugoplastika, una delle squadre più dominanti della storia europea. Ma dentro a un paio di scarpe Adidas si nasconde una vera filosofia industriale
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali nel 30° anniversario dalle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Quante storie possono nascondersi dentro un paio di scarpe? Poche o molte, di solito dipende da chi le indossa e da quanto sono usurate.
Qualche volta però capita che anche delle scarpe mai utilizzate abbiano un passato incredibile da raccontare.
È il caso della collezione speciale di Adidas “Ćevape & Fries”. Solo 150 paia (in edizione limitata) messe in palio lo scorso novembre in beneficienza sul sito tedesco BSTN Store.
La collezione è dedicata alla Jugoplastika, “l’oro di Spalato”.
La Jugoplastika era la leggendaria squadra di basket di Spalato, ma anche il fiore all’occhiello dell’industria jugoslava.
E il rapporto con l’Adidas ha una grande storia da raccontare.
Jugotime
È il 1948 l’anno che segna l’inizio della storia della KK Jugoplastika, una delle squadre più dominanti che la pallacanestro europea abbia mai conosciuto.
Fino al 1967 la squadra mantenne il nome della città di provenienza, KK Spalato.
Ma con la stagione 1967-1968 cambiarono molte cose. In primis, l’ingresso in società dello sponsor Jugoplastika, azienda produttrice di beni in plastica.
Iniziarono allora gli investimenti nel team sportivo, che aveva conquistato la massima serie del campionato jugoslavo (YUBA Liga) solo 4 anni prima.
Il primo periodo di gloria fu negli anni Settanta.
Tra il 1971 e il 1977 la bacheca dei trofei si riempì con tre coppe di Jugoslavia, due titoli federali e due coppe Korać, vincendo in entrambi i casi contro squadre italiane: nel 1976 contro la Chinamartini Torino e nel 1977 contro la Alco Fortitudo Bologna.
Quando la nazionale jugoslava si laureò campione del mondo nel 1970, sconfiggendo anche gli Stati Uniti, un quarto della squadra proveniva dalla Jugoplastika: Ratomir Tvrdić, Damir Šolman e Petar Skansi.
Nel 1972 lo squadrone di Spalato andò a un soffio dalla vittoria dell’EuroLega. La Jugoplastika fu sconfitta 70-69 dalla Ignis Varese.
Un solo punto la separò dal fare la storia e diventare la prima squadra della Federazione a conquistare il massimo torneo europeo per squadre.
Ma la vera consacrazione arrivò nella metà degli anni Ottanta.
Anche grazie alla Jugoplastika, fu siglato il trionfo del basket jugoslavo in Europa e nel mondo. Tanto da sancire un nuovo modo di dire nel mondo della palla a spicchi:
“Gli americani hanno inventato la pallacanestro, gli jugoslavi l’hanno perfezionata”.
Un gruppo di ragazzini terribili portò una ventata di Showtime - o meglio, di Jugotime - sulla costa della Dalmazia.
Erano l’ala-centro Dino Rađa, l’ala Toni Kukoć, il centro Goran Sobin, il playmaker Duško Ivanović. Tutti alla corte di coach Božidar Boža Maljković.
Si creò lo scheletro di una squadra inarrestabile in patria, che arrivò a vincere 4 titoli YUBA Liga consecutivi e 2 coppe di Jugoslavia tra il 1987 e il 1991.
Ma grazie all’energia travolgente dei giocatori di Spalato, la Jugoslavia era pronta a mettere di nuovo le mani sull’EuroLega, la massima competizione europea a squadre.
Dopo il Bosna Sarajevo di Bogdan Tanjević e Mirza Delibašić nel 1978-79 e il Cibona Zagabria di Dražen Petrović nel 1984-85 e 1985-86, era arrivato il turno della Jugoplastika di Kukoč e Rađa.
Titolo, repeat e threepeat. Tra la stagione 1988-1989 e la stagione 1990-1991 gli žuti (“i gialli”, come erano soprannominati) portarono a Spalato tre coppe EuroLega consecutive.
Un record tutt’ora non raggiunto da nessun’altra squadra, fatta eccezione per l’ASK Riga nelle prime tre edizioni della competizione (1958-1960).
In sequenza, capitolarono prima il Maccabi Elite Tel Aviv e due volte il Barcellona. Gli spagnoli furono sconfitti in entrambi i casi con uno scarto di 5 punti.
Era il 18 aprile 1991 quando arrivò il terzo trionfo in Europa.
Sono passati 30 anni da quella notte di Jugotime a Parigi.
Per la Jugoplastika - che aveva appena cambiato il nome in POP 84 Spalato - la magia sembrava non dover finire più.
Erano però gli ultimi mesi della Jugoslavia unita.
E fu quello anche l’ultimo acuto di una delle squadre più complete, divertenti e dominanti che abbia mai calcato un campo da basket in Europa.
In quegli anni, i giocatori di basket vestivano Converse ai piedi. E la Jugoslavia non faceva eccezione.
Ma con la Jugoplastika anche l’Adidas riuscì a ritagliarsi il suo spazio - se non dentro - almeno fuori dal parquet.
La filosofia dell’autonomia
A una sessantina di chilometri da Spalato, nel piccolo centro di Brodarica, nel 1952 fu fondata dalle autorità comuniste una fabbrica di manufatti in plastica.
A quell’azienda - non a caso - fu dato il nome di Jugoplastika.
Giocattoli, borse, materassini da spiaggia, cinture di sicurezza e inserti per l’industria automobilistica e tutti i generi di beni in plastica.
Il cittadino medio della Federazione usava e consumava ogni giorno prodotti della Jugoplastika.
L’azienda si distinse in particolare per la creazione di posti di lavoro per le donne. All’apice della sua attività, erano impiegati 13 mila dipendenti: due su tre erano lavoratrici.
Fu anche grazie al lavoro delle operaie e degli operai della Jugoplastika che negli anni Settanta e Ottanta milioni di prodotti Adidas invasero il mercato jugoslavo.
Dai borsoni alle scarpe, fino ad abbigliamento e accessori sportivi.
Tutto ciò accadde grazie alla manodopera locale, come voleva la politica industriale della Federazione.
Il modello jugoslavo imponeva infatti una scelta ai marchi stranieri che avessero voluto vendere i propri prodotti sul suo territorio.
O costruire un impianto di produzione in una delle sei Repubbliche Socialiste. Oppure concedere una licenza a una o più aziende jugoslave.
L’Adidas decise per la seconda opzione.
E la Jugoplastika - oltre ad altre aziende, come la croata Borovo, la slovena Sanino e la serba Jugotekstil - si trovò al centro di un boom di vendite senza precedenti.
Quello jugoslavo era un mercato da 23 milioni di consumatori, che il marchio tedesco riuscì a conquistare.
Dai 15 impianti industriali che siglarono un accordo con l’Adidas uscivano ogni anno oltre 4,5 milioni di prodotti con le tre strisce.
E nel frattempo, senza nemmeno saperlo, la maggior parte degli sportivi occidentali indossava scarpe, magliette e pantaloni cuciti e confezionati in Slovenia, Croazia e Serbia dalle aziende che resero imponente la produzione industriale della Federazione.
Fu proprio la Jugoplastika a sintetizzare al meglio la filosofia economica e culturale della Jugoslavia.
Una società che aveva come priorità la piena occupazione e l’autonomia strategica, coinvolgendo tutti i suoi segmenti, incluso quello femminile.
Una società in cui il concetto di “collettivo” era una pietra miliare. E che dal livello industriale si riversava a quello sportivo.
Per questo l’oro di Spalato è ancora una storia da raccontare.
Anche attraverso un paio di scarpe da basket.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Dopo aver ammirato l’oro di Spalato, è giusto rimanere ancora un po’ nella città dalmata, per sorseggiare una birra del posto.
Una birra che incarni lo spirito autoctono, magari. Una birra che ci faccia stare incollati al bancone di BarBalcani.
Ecco allora che ci ritroviamo in mano una bottiglia del birrificio artigianale Barba. Con un nome del genere, è destino…
La tradizione del birrificio è quasi casalinga e ha conquistato la città al punto da spingere l’idea di aprire il primo Split Craft Brewery.
Utilizzando solo ingredienti base come luppolo, orzo, lievito e acqua, Barba rispetta fedelmente il Reinheitsgebot, la legge bavarese sulla purezza della birra del 1516.
Barba è una ALE leggera e beverina, dalla gradazione alcolica di 5,4%.
L’amaro combinato con un aroma quasi fruttato lascia al palato una piacevole sensazione.
Come il ricordo di Spalato. Una città dalle mille storie da raccontare, a partire dagli oggetti più comuni della vita di tutti i giorni.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarantaquattresima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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