S5E7. Cosa significa la vittoria di Trump per i Balcani
Il ritorno alla Casa Bianca dell'ex-presidente statunitense porterà al rafforzamento di leader nazionalisti nella regione, e a rischi per una nuova ondata di instabilità e di interessi non trasparenti
Caro lettore, cara lettrice,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Donald Trump ha vinto.
È il caso di ripeterlo anche a più di una settimana di distanza dalle elezioni più decisive per il destino del mondo. Per ricordarci che, sì, è tutto reale. Presto sarà lui il nuovo presidente degli Stati Uniti, ancora una volta, a quattro anni dalla fine del suo primo mandato.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca crea un livello di imprevedibilità sul posizionamento strategico della prima potenza al mondo che non ha pari nella storia.
La sua tendenza all’isolazionismo anticipa i rischi di una guerra commerciale con la Cina e tensioni con l’Europa. Il suo amore per l’autoritarismo lo spinge a favorire figure politiche a lui affini.
La pace che promette è tutt’altro che disinteressata. Il disimpegno dall’Ucraina non allenta l’odio tra Washington e Mosca, mentre nulla indica la fine del sostegno armato a Israele e del genocidio in Palestina.
La verità è che Trump è animato dal perseguimento di interessi personali e di una ristretta cerchia di fedelissimi. Incluso quello che ormai può essere considerato il primo vero oligarca statunitense: Elon Musk.
Che ce ne rendiamo conto o meno, tutto questo rende il mondo un posto meno sicuro. E i Balcani non fanno eccezione.
Una miccia per i nazionalisti
In queste settimane si è scritto e parlato molto di cosa significa il ritorno di Trump alla Casa Bianca (alcune delle migliori analisi le trovi su Il Post). Oggi a BarBalcani proveremo a tracciare le implicazioni per la regione balcanica, tra nazionalismi e interessi privati.
Prima di tutto vale la pena concentrarsi sul nuovo vigore che il prossimo presidente statunitense infonderà ai leader nazionalisti nei Paesi della regione, in diversi modi.
Nonostante sia quasi impossibile prevedere le sue strategie future, Trump verosimilmente darà priorità allo scontro politico/commerciale con la Cina, a un’intesa con la Russia di Putin sull’Ucraina e all’alleanza con Israele.
L’Europa sarà la vittima sacrificale di questa politica. Un’intesa allentata tra Washington e Bruxelles lascerà nei Balcani Occidentali più margine di manovra ad agende nazionaliste, secessioniste ed espansionistiche, con il rischio di accendere nuove tensioni etniche.
È il caso del presidente della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), Milorad Dodik. Celebrando la vittoria di Trump, il leader serbo-bosniaco ha dichiarato che grazie a lui riuscirà a portare avanti i suoi piani separatisti.
La vera speranza di Dodik è che Trump elimini le sanzioni statunitensi che lo colpiscono. Una decisione che aprirebbe in Bosnia ed Erzegovina una crisi potenzialmente irreversibile, visto che il presidente serbo-bosniaco vuole ritirarsi dalle istituzioni centrali e unire la Republika Srpska alla Serbia.
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Se il disimpegno di Washington dai Balcani sembra quasi scontato, questo non significa che l’amministrazione Trump non si affiderà ad alcuni interlocutori più affini nella regione. E qui stiamo parlando della Serbia di Aleksandar Vučić.
Molto dipenderà dalle scelte del presidente eletto per i ruoli chiave all’interno della sua amministrazione. Perché se l’ex-inviato speciale per i negoziati Serbia-Kosovo tra il 2019 e il 2021, Richard Grenell, sarà confermato in una posizione di rilievo, con tutta probabilità Washington inizierà a favorire apertamente Belgrado.
Anche dopo la sconfitta di Trump alle elezioni del 2020 Grenell ha continuato ad approfondire i rapporti con il presidente serbo Vučić. Negli ultimi mesi gli ha fornito garanzie sull’appoggio diplomatico nonostante una politica meno interventista nella regione.
La più pesante conseguenza di questo cambio di rotta in politica estera potrebbe essere il sostegno alla prospettiva dello scambio di terre tra Belgrado e Pristina: la valle di Preševo (a maggioranza albanese) al Kosovo e la regione del Kosovo del Nord (a maggioranza serba) alla Serbia.
Grenell è un sostenitore del piano già ventilato durante il primo mandato di Trump e abbandonato solo per la netta opposizione della Germania (attore molto influente nei Balcani Occidentali).
Questo scenario potrebbe spingere Vučić a congelare i negoziati di normalizzazione dei rapporti con Pristina mediati dall’Unione Europea, per aumentare il controllo sulle aree rivendicate. La sovranità del Kosovo sarebbe così minata, con il rischio di una nuova ondata di tensione e scontri lungo uno dei confini più caldi della regione.
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Una mina vagante
L’esperienza del primo mandato di Trump non fa stare molto tranquilli soprattutto i partner dell’Unione Europea.
Dopo il buon equilibrio trovato con l’amministrazione democratica di Joe Biden per la gestione delle situazioni più delicate - dalla Bosnia ed Erzegovina al Kosovo - tutto potrebbe cambiare con il probabile disimpegno del prossimo presidente repubblicano e il sostegno al nazionalismo serbo.
Nel 2020 Trump e Grenell avevano siglato un «accordo storico» di «pace economica» tra Serbia e Kosovo, non concordato con Bruxelles e che non risolveva i problemi alla radice. Quattro anni più tardi si prospetta un quadro ancora più fosco.
È per questo che la commissaria europea designata per l’Allargamento, la slovena Marta Kos, nella sua audizione di conferma al Parlamento Ue ha messo in chiaro che «non prenderemo mai in considerazione uno scambio di territori» tra Serbia e Kosovo, nonostante saranno necessarie «nuove modalità» nel dialogo «se le cose non funzionano».
Un messaggio molto chiaro indirizzato non solo a Belgrado, ma anche all’altra sponda dell’Atlantico.
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Le difficoltà per l’Unione arriveranno però anche dalle conseguenze interne che l’amministrazione Trump inevitabilmente scatenerà. E qui stiamo parlando dell’Ungheria di Viktor Orbán.
Il primo ministro ungherese è il più stretto alleato di Trump in Europa, nonché sostenitore del nazionalismo serbo di Vučić e Dodik. È facile prevedere che la nuova politica estera di Washington favorirà l’influenza politica e l’agenda sovranista di Orbán nei Balcani.
L’effetto diretto sarebbe un rafforzamento della capacità del premier ungherese (grazie al potere di veto) di proteggere Dodik dalle sanzioni Ue per il suo progetto secessionista, e la Serbia di Vučić dalle misure restrittive per gli ostacoli all’implementazione degli accordi con il Kosovo.
Un altro fronte di tensione potrebbe aprirsi infine in Macedonia del Nord. Il nuovo governo di destra nazionalista si oppone alla richiesta di Bruxelles (basata su un impegno scritto) di emendare la Costituzione macedone per includere il riconoscimento della minoranza bulgara, di fatto bloccando i negoziati di adesione Ue.
Nel tentativo di rinegoziare l’accordo con la Bulgaria raggiunto con estrema fatica nel luglio 2022, il governo di Skopje potrebbe guardare a Trump come un partner alternativo all’Ue, e a Orbán come l’alleato che può minare dall’interno i vincoli imposti da Bruxelles.
Un rischio di interessi oscuri
La verità, dicevamo all’inizio, è che a Trump interessa solo se stesso. Al massimo una ristretta cerchia di fedelissimi. E forse è su questo che bisognerebbe focalizzarsi.
Ancora più del primo mandato, la politica estera statunitense potrebbe diventare un enorme calderone di interessi privati e familistici. I Balcani non fanno eccezione, nonostante il verosimile disimpegno politico generale di Washington.
Il caso più eclatante è quello dei piani per lo sviluppo di progetti di lusso a Belgrado e sulla costa adriatica dell’Albania annunciati a marzo 2024 dal genero di Trump Jared Kushner.
A Belgrado Kushner vorrebbe convertire l’ex-Edificio del Ministero della Difesa Jugoslavo (in parte distrutto nel 1999 dai bombardamenti Nato per costringere la Serbia a mettere fine alla guerra in Kosovo) in un complesso che comprenderebbe un hotel di lusso, 1.500 unità abitative e un museo “per le vittime dell’aggressione Nato”.
Sulla costa albanese verrebbero costruite ville di lusso nel Parco Marino di Karaburun-Sazan e nella laguna di Vjosa-Narta - entrambe aree protette nella prefettura di Valona, nel sud-ovest del Paese - che già sono state ribattezzate “ville Trump”.
I progetti sono in fase di studio da prima che Trump facesse ingresso alla Casa Bianca nel 2016. Ma proprio quel mandato presidenziale aveva permesso al marito della figlia Ivanka di stringere i contatti con il presidente serbo Vučić e con il primo ministro albanese, Edi Rama, per ottenere condizioni molto vantaggiose per la sua società di investimenti Affinity Partners.
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La prima prova è la natura dell’accordo con il governo della Serbia.
In cambio di un contratto di locazione di 99 anni a costo zero senza alcuna gara d’appalto aperta e trasparente per la riqualificazione di un luogo cruciale per la storia nazionale, il governo di Belgrado otterrebbe il 22% dei profitti generati dal progetto.
La seconda prova è la tempistica dell’annuncio del progetto in Albania a marzo.
Nonostante l’opposizione della popolazione locale, il Parlamento di Tirana ha approvato una legge che consente al governo di concedere permessi di costruzione per resort di lusso in aree protette. Pochi giorni più tardi è stato reso noto il progetto di Affinity Partners per le “ville Trump” nelle due aree protette sulla costa adriatica.
Parallelamente il Senato degli Stati Uniti ha condotto un’indagine sui progetti della società di Kushner, rivelando i rischi di influenze straniere sugli investimenti della famiglia del presidente eletto.
In primis il fatto che i governi di Serbia e Albania avranno il pieno controllo su tutte le decisioni riguardanti permessi, tasse locali e licenze. La possibilità di corruzione di alto livello in accordi che mischiano interessi pubblici e privati è estremamente alta.
Ma soprattutto Affinity Partners ha ricevuto nel 2021 investimenti per centinaia di milioni di dollari dai fondi sovrani di Emirati Arabi Uniti e Qatar, e due miliardi di dollari da quello dell’Arabia Saudita.
Nell’agosto 2026, nel pieno del mandato presidenziale di Trump, terminerà il periodo iniziale di investimento di cinque anni e gli investitori potranno rinegoziare gli accordi di investimento o ritirare tutti i propri fondi da Affinity Partners.
Governi ed entità straniere potranno esercitare un’influenza anomala sulle finanze della famiglia del presidente statunitense in carica, «anche superiore a quella che hanno avuto ed esercitato durante il suo primo mandato», si legge nell’inchiesta.
Quando farà di nuovo ingresso alla Casa Bianca nel gennaio 2025, Trump controllerà però anche entrambe le Camere del Congresso grazie alla maggioranza repubblicana.
In questo caso è davvero facile prevedere le conseguenze, dentro e fuori gli Stati Uniti.
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Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi sul bancone di BarBalcani torna inevitabilmente un vino rosso che avevamo già assaggiato in passato. First Lady - Limited edition, dedicato a Melania Trump, moglie slovena del presidente statunitense rieletto.
Nel 2017 i produttori sloveni di Sevnica, paese natale della prima cittadina naturalizzata statunitense a diventare first lady, hanno rilasciato 300 bottiglie in edizione limitata per celebrare l’ingresso della loro compaesana alla Casa Bianca.
È un prodotto dei vitigni Blaufränkisch della zona. Un vino scuro, tannico, con una delicata acidità e un aroma di ciliegia.
Le bottiglie sono andate esaurite in tre giorni. Altre duemila sono poi state messe in vendita nel negozio di souvenir del castello di Sevnica del XII secolo e nell’ufficio turistico del paese sloveno.
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per l’ottava tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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