S4E7. Cosa vuole davvero Edi Rama
Il premier albanese è sulla bocca di mezza Europa per un controverso accordo con il governo italiano. Ma se all'estero è spesso ammirato, è dentro i confini nazionali che va cercata la sua vera natura
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
Ci sono momenti in cui, dall’oscurità in cui generalmente sono avvolti, i Paesi balcanici riemergono con un’interesse inaspettato da parte dell’opinione pubblica italiana ed europea.
Un video, un commento, un episodio politico. Basta poco per generare un’ondata passeggera di opinionismo, che poi si dissolve come una bolla di sapone.
Recentemente è capitato all’Albania.
Da quando il governo del socialista Edi Rama ha siglato una controverso accordo sulla migrazione con quello italiano della nazionalista di estrema destra Giorgia Meloni, si è creata grande curiosità sul primo ministro albanese e sulla sua loquela fuori dagli schemi ‘ingessati’ degli altri leader europei.
Qualcuno lo guarda con ammirazione per il suo pragmatismo, qualcuno lo critica per l’opportunismo. Ma in generale a Bruxelles è benvoluto per il suo europeismo.
Di fronte alla crescente offensiva diplomatica per accreditarsi come traino dell’integrazione dell’Albania e dei Balcani Occidentali nell’UE - dai vertici internazionali a Tirana fino al protocollo con l’Italia su uno dei temi più spinosi per la politica europea - bisogna però cercare di rispondere ad alcune domande urgenti.
Quanto ci si può fidare di un leader che guida uno dei Paesi europei più arretrati sul piano dello Stato di diritto e della libertà di stampa?
Ma soprattutto, chi è e cosa vuole davvero Edi Rama?
Chi è Edi Rama
Edvin Kristaq Rama è il primo ministro dell’Albania dal 2013. Da giovane è stato giocatore di basket, ma il campo in cui ha cercato di distinguersi è stato quello della pittura.
Si è laureato all’Accademia delle Arti di Tirana, dove ha insegnato per qualche anno. Ha partecipato alle manifestazioni per la democrazia dopo la caduta del regime comunista, prima di trasferirsia 30 anni in Francia per cercare fortuna come pittore.
Tornato in Albania, nel 1998 è diventato ministro della Cultura, della Gioventù e dello Sport nel governo guidato dal Partito Socialista. Nei due anni di governo Rama si è fatto conoscere per uno stile politico dirompente e per un abbigliamento molto colorato, con cravatte a fantasie da lui stesso disegnate.
Ma è stato negli 11 anni successivi che Edvin (Edi dal 2002) Rama si è costruito la sua credibilità politica nazionale. Nel 2000 - da indipendente sostenuto dai partiti di sinistra - è stato eletto sindaco di Tirana (e rieletto nel 2003 e nel 2007).
Nei suoi tre mandati fino al 2011 sono state demolite centinaia di costruzioni illegali nel centro della capitale, sono state ridipinte le facciate degli edifici costruiti sotto il regime comunista ed è stato redatto il Master Plan della città con il progetto per il rinnovamento di Piazza Skanderbeg (la piazza centrale).
Dopo essere entrato nel 2003 nel Partito Socialista, due anni più tardi ne è diventato (ed è tutt’ora) presidente. Alle sue prime elezioni nazionali alla guida delle forze di sinistra, nel 2013 Rama ha trionfato alle urne, sconfiggendo la coalizione di destra guidata dal Partito Democratico del premier in carica Sali Berisha.
La sua piattaforma ‘Rinascimento’ si basava su quattro pilastri: integrazione europea, rilancio economico, ripristino dell’ordine pubblico e democratizzazione delle istituzioni statali.
Da 10 anni Rama è il primo ministro dell’Albania. Sotto la sua guida il Paese ha spinto sul rafforzamento delle autorità di polizia, sulle riforme giudiziarie ed economiche di stampo liberista e soprattutto sulle relazioni con i Paesi della regione e altri europei.
Ha guidato l’Albania in una nuova era dopo il durissimo regime di Enver Hoxha, il caos degli anni Novanta e la conflittualità politica dei primi anni Duemila. Ma ha anche reinterpretato il ruolo di uomo forte al potere, portandolo a un nuovo livello.
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L’artista della nuova Albania europea
Di Rama e della sua strategia politica per sedere da pari ai tavoli europei ne abbiamo già parlato tre anni fa a BarBalcani, in una tappa profetica della prima stagione con il giornalista Nicola Pedrazzi.
Già allora era chiaro il piano di creare il «brand di un’Albania dello sviluppo e dal cuore grande», come dimostrato da alcuni episodi emblematici della sua premiership.
Nel 2015, appena dopo l’attentato a Charlie Hebdo, si era recato a Parigi con le matite colorate nel taschino. Lui, artista e leader di un Paese a maggioranza musulmana, a un corteo progressista in difesa della libertà di stampa.
Nel 2018 si è offerto di ospitare 20 persone migranti bloccate al largo di Catania, nel tristemente celebre ‘caso Diciotti’. Un’apparente manifestazione di solidarietà - cinque anni fa come oggi - sulla migrazione, risoltasi nel nulla. Nessuna di queste 20 persone è mai arrivata in Albania (e altrimenti non poteva essere per il diritto UE).
Nel 2020, all’inizio della pandemia COVID-19, ha inviato una squadra medici in Italia per offrire sostegno. Ma erano 30 professionisti impreparati alle terapie intensive italiane, che hanno mostrato la vera natura della missione: un’operazione di propaganda per l’opinione pubblica italiana ed europea.
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Da allora questa strategia non ha fatto altro che rafforzarsi, intercettando le esigenze sempre più urgenti dell’allargamento dell’Unione Europea. A partire dai rapporti con gli altri candidati (o potenziali tali) nella regione.
Prima di tutto ha stretto i rapporti con la Macedonia del Nord e con la Serbia nell’iniziativa ‘Open Balkan’, un progetto economico e di cooperazione politica per creare una zona di libero scambio basata sulle quattro garanzie dello spazio Schengen: libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.
Nel frattempo ha intensificato le discussioni con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, puntando sulla comunanza di interessi per il percorso verso l’UE. Così come con il premier del Kosovo, Albin Kurti, per ritagliarsi un ruolo di mediatore al fianco di Bruxelles nelle complesse relazioni tra Pristina e Belgrado
Non si contano le visite diplomatiche del primo ministro albanese negli ultimi anni a Skopje, Podgorica, Sarajevo, Belgrado e Pristina.
Rama è diventato per l’Unione Europea ciò che i fixer sono per i giornalisti inviati in zone di guerra: conosce l’ambiente, suggerisce storie, interpreta situazioni. Ci si fida delle sue indicazioni.
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Non è un caso se proprio a Tirana - e non in altre capitali balcaniche - si sono svolte due ‘prime volte’ assolute per l’Unione Europea e per la regione.
Il 6 dicembre 2022 il primo vertice UE-Balcani Occidentali ospitato da un Paese balcanico. E il 16 ottobre 2023 il primo vertice dei leader del processo di Berlino fuori dai confini dell’Unione Europea.
I leader UE sono sempre particolarmente sorridenti e ‘sbottonati’ quando sono in presenza di Rama. Che si può permettere sorprese fuori dal protocollo (come regalare piatti personalizzati dipinti a mano da lui stesso), ma anche critiche al vetriolo per le promesse mancate da parte di Bruxelles e dei Ventisette (recentemente ha paragonato il processo di allargamento a «una sposa che non si presenta mai al matrimonio»).
Perché tutti sanno che il leader albanese è un fervente sostenitore del processo di adesione all’UE dell’Albania in particolare e dei Balcani Occidentali in generale.
Sotto la premiership di Rama l’Albania ha ottenuto lo status di Paese candidato (nel 2014) e ha visto aprirsi i negoziati di adesione (nel 2022). Ora vuole arrivare a renderla quanto prima il 28º Paese membro.
«Le sfide sono molte, ma per noi che rappresentiamo l’Europa senza la ‘U’ la sfida politica più evidente è la dolorosa separazione tra gli Stati membri dell’UE e quelli non membri dell’UE», è la summa del suo pensiero in politica estera.
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Una separazione che Rama, ancora una volta, cerca di colmare con la retorica dell’Albania “dal cuore grande”, guidata da un leader pragmatico, che non bada alle differenze ideologiche e in grado di offrire soluzioni che il resto l’Europa non sa trovare.
«Questo accordo non l’avremmo fatto con nessun altro Paese UE, ma se l’Italia chiama, l’Albania c’è. Abbiamo un debito di riconoscenza che non potremo mai saldare, ma che non dobbiamo mai dimenticare».
È così che Rama ha presentato il controverso protocollo d’intesa sulla migrazione con il governo Meloni - lui socialista, lei di estrema destra - che ha fatto nascere contrasti tra il premier albanese e il Partito Democratico italiano (entrambi appartengono al Partito Socialista Europeo).
Si tratta di un’intesa che sarà quasi impossibile da mettere a terra per questioni legali, pratiche e giuridiche (qui le trovi tutte). Non per ultimo per la presunta cessione di sovranità per costruire due centri per le procedure di sbarco, identificazione e rimpatrio su territorio albanese ma sotto la giurisdizione italiana.
Tutto questo però a Rama non interessa. «Starà al governo italiano provare che funziona, visto che tutta l’amministrazione di questa operazione è a carico suo», ha precisato dopo la firma del protocollo.
A parole e intenzioni ha voluto dimostrare di poter aiutare l’Italia molto più degli altri Paesi membri UE. L’assunzione di responsabilità sul piano della fattibilità pratica non fa certo parte del pacchetto utile al suo messaggio politico e propagandistico.
Conta l’immagine immediata, la costruzione del suo personaggio e dell’idea di una nuova Albania europea. Spenti i riflettori, può andare in scena l’esatto opposto.
E allora davvero bisogna chiedersi perché Edi Rama fa tutto questo. Cosa vuole davvero da Roma e da Bruxelles?
Il re degli stabilocrati
Edi Rama fa tutto questo perché è uno stabilocrate. Attenzione, non un autocrate, è ben diverso. È un concetto più fluido, più sofisticato e più ai limiti dell’esercizio democratico del potere. Una pratica che riguarda da vicino gli interlocutori dell’UE.
Come aveva spiegato a BarBalcani la sociologa Chiara Milan, si tratta di politici a cui Bruxelles si affida «perché promettono riforme e l’impegno ad aderire all’Unione, ma all’interno governano basandosi su clientelismo e corruzione e non garantiscono vera libertà di espressione».
È una categoria di politici molto balcanica: ne fanno parte, tra gli altri, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e l’ex-presidente del Montenegro (padre/padrone per 30 anni), Milo Đukanović. Ma il premier albanese Rama ne è forse la versione più riuscita.
Perché nessuno più di lui è riconosciuto come maggiore sostenitore nella regione del progetto dell’Europa unita. E, grazie all’immagine che si sta creando all’estero, è in grado di far dimenticare che il Paese che governa da 10 anni è tra i più arretrati del continente proprio sul piano della corruzione e della libertà di stampa.
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Partiamo dalla corruzione, e per farlo ci affidiamo a due fonti. La prima è la valutazione della Commissione Europea contenuta nella relazione specifica sull’Albania nel Pacchetto Allargamento 2023:
«Nonostante i progressi e gli sforzi continui nella lotta alla corruzione, questa rimane un’area di grave preoccupazione. Nel complesso, la corruzione è diffusa in molti settori della vita pubblica e imprenditoriale e le misure preventive continuano ad avere un impatto limitato, soprattutto nei settori vulnerabili».
La seconda fonte fornisce una panoramica complessiva della situazione attuale e nel tempo. È l’indice del World Justice Project, che classifica l’Albania al 91° posto (su 142) per rispetto dello Stato di diritto: su una scala da 0 (debole) a 1 (forte), Tirana nel 2023 registra 0.48. La media globale è 0.55, la media della regione ‘Europa orientale e Asia centrale’ è 0.50.
Tralasciando per ovvi motivi Russia e Bielorussia, secondo la classifica dell’organizzazione internazionale che si occupa di Stato di diritto, nel 2023 l’Albania è l’ultimo Paese europeo a pari merito con la Serbia. Il peggioramento è costante dal 2015, quando Tirana si posizionava al 53° posto con un punteggio di 0.52.
Spiccano in particolare i risultati negativi nel campo dei ‘vincoli del potere del governo’ (al 107° posto) e della ‘assenza di corruzione’ (108°), con livelli di rispetto dello Stato di diritto gravemente insufficienti per la media globale.
Se questo scenario desolante non bastasse, si può considerare lo stato della libertà di stampa. Per farlo ci affidiamo all’ultimo indice di Reporters Sans Frontières, secondo cui Tirana si posiziona al 96° posto (su 180).
Nonostante nel 2023 l’Albania sia il penultimo Paese europeo (davanti solo alla Grecia e sempre senza Russia e Bielorussia), rispetto al 2013 sono state scalate 6 posizioni. Ma è lo scenario globale a essere peggiorato - più di quello albanese - non il rispetto della libertà di stampa nel Paese a essere migliorato.
Anzi, comparando i dati, emerge proprio un forte arretramento. Su una scala da 0 (scarso) a 100 (forte), il 102° posto del 2013 corrispondeva a 69.12 mentre il 96° posto del 2023 corrisponde a 57.86.
«I giornalisti sono vittime della criminalità organizzata e, a volte, della violenza della polizia, incitata dall’incapacità del governo di proteggerli», si legge nel report specifico dell’Albania. «I giornalisti critici nei confronti del governo sono spesso oggetto di attacchi politici volti a screditarli e hanno difficoltà ad accedere alle informazioni di proprietà dello Stato».
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Nel 2013 Rama ha preso un’Albania non certo nelle migliori condizioni, ma in dieci anni l’ha peggiorata sul piano dello Stato di diritto.
E nascono da qui le sue richieste tacite. Che l’Unione Europea chiuda un occhio sulla situazione generale del Paese, in cambio di una retorica europeista praticamente incondizionata. E che l’Italia aiuti Tirana a mettere a tacere le voci più critiche a Bruxelles, a fronte di una solidarietà (a parole) quasi illimitata.
È questo quello che vuole davvero Edi Rama.
È ora di imparare a conoscerlo.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Quando si parla di Italia e Albania, c’è molto più del controverso accordo Rama-Meloni sulla migrazione di cui parlare.
Ecco perché oggi al bancone di BarBalcani vogliamo ricordare un appuntamento importante per questo progetto e per gli sforzi di creare momenti di riflessione significativi sui due Paesi e sull’Europa.
Sabato 25 novembre a Bruxelles la libreria e vineria italiana PiolaLibri ospiterà il nuovo evento di BarBalcani “Volevo essere Madame Bovary. Dialogo con Anilda Ibrahimi”.
Sarà l’occasione per incontrare la scrittrice albanese fortemente radicata in Italia, autrice di romanzi incentrati sulla storia, cultura e società dell’Albania nel corso dell’ultimo secolo.
L’ultimo pubblicato, Volevo essere Madame Bovary, sarà il punto di inizio della nostra conversazione con l’ospite d’eccezione che ha aperto la quarta stagione di questa newsletter.
Proprio in questo romanzo Ibrahimi ha lasciato un indizio sul premier Rama a Tirana:
“Sullo sfondo, i palazzi colorati dipinti dall’ex sindaco artista che qualche anno fa aveva sentito il bisogno di coprire il grigio del comunismo con colori sgargianti. Un desiderio di bellezza come necessità di rottura con il passato, l’avevano definito così i giornali occidentali”.
Alla conversazione a PiolaLibri seguirà un dj set live a cura di DJ Zwalla di HAPE Collective.
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per l’ottava tappa di questa stagione.
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