S4E9. Siamo a un punto di non ritorno
L'allargamento Ue nei Balcani Occidentali sta rivelando tutte le fragilità del sistema decisionale dell'Unione, ostaggio del diritto di veto. Lo hanno dimostrato i due vertici di dicembre a Bruxelles
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
C’è qualcosa di diverso nel clima che si respira attorno al percorso di adesione dei Balcani Occidentali all’Unione Europea.
Il successo del processo di allargamento Ue non è mai stato legato solo alla capacità dai Paesi che ne stanno fuori di portare a termine i propri impegni. Ultimamente però è diventato ancora più chiaro che tutto dipende dagli umori di chi sta dentro.
È vero, è successo anche in passato. Ma in questi ultimi giorni è l’intero processo di allargamento a essere stato minacciato dall’ostruzionismo di un solo Paese membro dell’Unione (a cui si è sommata l’irrequietezza di alcuni altri).
Cercheremo di spiegarlo nel modo più chiaro possibile, raccontando cos’è accaduto davanti e dietro alle quinte di un evento che per BarBalcani è diventato un appuntamento fisso.
Il vertice Ue-Balcani Occidentali del 13 dicembre a Bruxelles. Che si è svolto nel contesto di un delicatissimo Consiglio Europeo, in cui proprio l’allargamento dell’Unione è stato il più cruciale nell’agenda dei 27 capi di Stato e di governo Ue.
Qui puoi trovare una rassegna stampa degli articoli salienti di Eunews (con cui BarBalcani ha stretto un’intensa collaborazione da agosto) sui due vertici Ue di dicembre:
La settimana dell’allargamento è ostaggio di Orbán. Pressing a Bruxelles per sbloccarla
Un progetto geopolitico minato dall’interno. Perché l’Ue deve cambiare passo sull’allargamento
La Commissione Ue scongela quasi un terzo dei fondi bloccati all’Ungheria
Potrebbe esserci una via d’uscita all’opposizione di Orbán all’avvio dei negoziati Ue con l’Ucraina
Il giorno storico dell’Ucraina. Il Consiglio Europeo sblocca la strada dell’adesione all’Unione
Il vertice dell’attesa
Non è stato senza dubbio il vertice Ue-Balcani Occidentali più emozionante degli ultimi anni. Il clima quasi surreale in cui si è svolto lo ha reso però a suo modo indimenticabile.
Perché sulle discussioni del futuro dei sei Paesi balcanici nell’Unione è aleggiato lo spettro del veto del premier ungherese, Viktor Orbán, all’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina.
Con gravi ripercussioni sull’intero processo di allargamento.
In altre parole è stato un vertice in attesa di un altro vertice. Cioè del Consiglio Europeo, l’organismo collettivo che definisce le priorità e gli indirizzi politici dell’Unione, allargamento incluso.
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Dal supporto economico a quello energetico. Dal dialogo Pristina-Belgrado alla politica estera. Dalla migrazione alle infrastrutture. Erano molti i temi all’ordine del giorno il 13 dicembre.
Il più urgente ha riguardato le modalità di «accelerare e rispettare l’impegno per l’allargamento», anche attraverso un’integrazione graduale dei partner nel processo decisionale dell’Unione.
Si sarebbe potuto definire un “vertice della ripresa”, in cui si è preso atto dello stato dei rapporti - dopo una serie di iniziative importanti nell’ultimo anno - per rilanciare con più forza il percorso di avvicinamento reciproco.
E invece è stato un “vertice dell’attesa”. Perché tutto è rimasto come sospeso, in attesa di scoprire il destino del processo di allargamento a seconda della volontà del primo ministro dell’Ungheria.
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Un processo in ostaggio
Parlare del vertice Ue-Balcani Occidentali del 13 dicembre senza considerare il Consiglio Europeo dei due giorni successivi non avrebbe semplicemente senso.
L’allargamento dell’Unione Europea ha rappresentato lo scoglio maggiore da superare al vertice dei leader Ue, perché Orbán si è presentato con una dura posizione contraria all’avvio dei negoziati di adesione e al sostegno finanziario per l’Ucraina.
La questione dell’adesione non è mai stata controversa (nessuna obiezione alla concessione dello status di Paese candidato solo un anno e mezzo fa), ma il premier ungherese ha sfruttato l’urgenza del tema per imporre un ricatto all’Unione.
La fine (momentanea) dell’ostruzionismo sull’Ucraina in cambio dei fondi Ue congelati all’Ungheria per le violazioni dello Stato di diritto.
Il ricatto ha avuto successo, dimostrando tutti i limiti di un processo decisionale in cui vige ancora l’unanimità nelle decisioni e in cui un solo Paese può imporre il veto per bloccare tutto.
E ha poi scatenato un effetto a catena sulla questione dell’allargamento anche nei Balcani Occidentali.
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Come spiegavano senza troppi giri di parole fonti europee prima dell’inizio del vertice, se il percorso dell’Ucraina fosse stato bloccato da Orbán «non sappiamo ancora se altri Paesi faranno dei collegamenti sul processo basato sul merito anche per gli altri candidati». E così è stato.
Proprio a ridosso del vertice Ue-Balcani Occidentali e a meno di 24 ore dal Consiglio Europeo, fonti diplomatiche hanno riferito che l’Italia aveva deciso di vincolare l’avvio dei negoziati di adesione con l’Ucraina a quelli con la Bosnia ed Erzegovina.
In altre parole, senza il via libera a Sarajevo niente via libera a Kiev. Come precisato da altre fonti diplomatiche, non si trattava di una posizione anti-ucraina, ma di un tentativo di guidare i Paesi membri più attivi (come Austria e Slovenia) nello spingere le istanze pro-balcaniche.
La posizione di partenza del Consiglio Europeo, secondo quanto si leggeva nella bozza di conclusioni, era di «avviare i negoziati di adesione all’Ue con la Bosnia ed Erzegovina, una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione».
Niente di nuovo rispetto alla raccomandazione della Commissione Europea nel Pacchetto Allargamento 2023. L’ostruzionismo di Orbán e il ‘gioco’ dei veti incrociati degli altri leader hanno però rischiato di spingere il processo più in là nel corso dei negoziati.
Per la Bosnia ed Erzegovina alla fine il via libera ai negoziati di adesione è stato caldeggiato ma rimandato. «Entro marzo» la Commissione dovrà presentare una relazione «in vista della decisione» dei 27 leader Ue, precisano le conclusioni.
La decisione è più politica che tecnica (passerà tempo prima dell’inizio formale dei negoziati). Eppure non ci si può non chiedere se la pressione dettata da un sistema decisionale suscettibile ai ricatti non sia troppo superiore alla capacità della Bosnia ed Erzegovina di essere effettivamente pronta a questa sfida di integrazione europea.
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E poi c’è un’altra questione che non va dimenticata quando si considerano le posizioni ricattatorie tra i Ventisette. L’ombra lunga di Orbán incombe anche nel caso dell’allargamento Ue alla Bosnia ed Erzegovina.
Il più grande problema dell’integrazione europea per Sarajevo a oggi è il secessionismo della Republika Sprska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina.
Oltre al tentativo di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori come l’esercito, il sistema fiscale e giudiziario, nel 2023 il presidente della Republika Sprska, Milorad Dodik, ha fatto approvare emendamenti al Codice Penale per introdurre sanzioni penali per diffamazione e una legge sugli ‘agenti stranieri’ simile a quella adottata dalla Russia.
Dodik è anche il leader europeo più vicino all’autocrate russo, Vladimir Putin, come dimostrato dal conferimento dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità) e dai due viaggi a Mosca tra settembre 2022 e maggio 2023.
Di fronte a politiche nettamente in rottura con la politica estera dell’Unione, fonti Ue hanno rivelato che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato. Ma per qualsiasi azione concreta serve l’unanimità in Consiglio ed è proprio l’Ungheria a non permettere il via libera.
In altre parole, finché Orbán «gli coprirà le spalle», Dodik non sarà inserito nella lista delle sanzioni dell’Unione Europea. E il danno per l’intera Bosnia ed Erzegovina - e per il processo di allargamento Ue - continuerà a peggiorare.
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A che punto siamo
A questo punto punto è opportuno fare un punto sullo stato di avanzamento dei Sei balcanici nel percorso verso l’Unione Europea.
Partendo dalla Bosnia ed Erzegovina, il Paese più discusso dopo la concessione dello status di candidato all’adesione nel dicembre 2022. Non è dato sapere quanto si dovrà attendere per la risposta del Consiglio sull’avvio dei negoziati, ma solo 2 pre-condizioni su 14 sono state completate.
L’unica fiammella di speranza è legata al fatto che lo status di candidato ha portato a «una dinamica positiva di cui si sentiva il bisogno» e il nuovo governo «ha iniziato a realizzare le riforme», si legge nel report specifico del Pacchetto Allargamento 2023.
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Il Kosovo è ora l’unico Paese a non avere nemmeno lo status di candidato. Dopo la richiesta arrivata nel dicembre 2022, la questione è ancora ferma in Consiglio, dove 5 Paesi non ne riconoscono la sovranità: Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia.
C’è ottimismo per il «continuo allineamento completo e volontario alla politica estera dell’Unione» e per la liberalizzazione dei visti dal 1° gennaio 2024. Ma la strada verso l’Ue passa dall’attuazione degli obblighi del dialogo con la Serbia, che per Pristina è la creazione dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.
La Serbia ha avviato i negoziati di adesione nel 2014, ma sconta il fatto di non essere allineata alla politica estera dell’Unione sulle sanzioni contro la Russia e di essere coinvolta nell’escalation di tensione nel nord del Kosovo.
Sul piano dei negoziati di adesione Belgrado «ha tecnicamente soddisfatto i parametri di riferimento per l’apertura del cluster 3» (‘competitività e crescita inclusiva’), ma rimangono complessi quelli su ‘fondamenti’ (1) e ‘relazioni esterne’ (6).
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Il Montenegro ha avviato i negoziati di adesione nel 2012 ed è oggi il più avanzato tra tutti i partner sulla strada dell’adesione. Dopo anni di polarizzazione politica e instabilità istituzionale - che hanno causato un serio stallo - il nuovo governo e la nuova presidenza hanno dato un nuovo impulso al processo.
A Bruxelles ci si aspetta che nel giro dei prossimi sei mesi possa chiudere i capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’).
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Vanno a braccetto Albania e Macedonia del Nord dopo l’avvio del negoziati di adesione nel luglio 2022 e ora sono chiamate entrambe soddisfare lo screening per aprire il cluster 1 (‘fondamenti’).
Nel frattempo l’Albania dovrà aumentare il lavoro su «libertà di espressione, questioni relative alle minoranze e diritti di proprietà, lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata».
La Macedonia del Nord deve attuare numerose riforme, ma soprattutto gli emendamenti alla Costituzione a proposito delle minoranze nel Paese. «L’Ue è pronta a completare la fase di apertura dei negoziati» con Skopje «non appena avrà attuato l’impegno a completare le modifiche costituzionali in linea con le procedure interne», si legge nelle conclusioni del Consiglio Europeo.
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Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
In tre lunghi giorni all’insegna di due vertici a Bruxelles, per i giornalisti sono frequenti i momenti di attesa degli sviluppi politici nelle sale dove si prendono le decisioni sul futuro dell’Europa.
Ecco perché il bar della sala stampa è spesso molto affollato e non è inconsueto fare incontri singolari.
In occasione del vertice Ue-Balcani Occidentali una fonte europea (di chiare origini bosniache) ha confessato cosa avrebbe portato al bancone di BarBalcani.
Il più classico dei prodotti della Bosnia ed Erzegovina, la Sarajevsko Pivo. Una birra chiara e leggera, la più antica e prodotta nello stabilimento di Sarajevo fondato nel 1864, quando il Paese era un protettorato austro-ungarico.
Ora che ci si proietta nel futuro europeo, «se ci fosse stata qualche bottiglia» al tavolo dei negoziati a Bruxelles «tutte le discussioni sarebbero state più scorrevoli», confessa la fonte parlando a BarBalcani davanti a un bicchiere di un’altra birra (belga).
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la decima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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