IX. Nel 2020 Alessandro Magno ha conquistato l'Occidente
Dietro al nome "Macedonia del Nord" si nasconde il compromesso di una nazione per sedere ai tavoli delle potenze mondiali. Nel 2020 è arrivato quello della Nato, ora tocca all'Unione Europea
Ciao,
come sempre bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Partiamo da una domanda. Perché la Macedonia del Nord si chiama Macedonia del Nord?
O meglio. Perché l’ex-repubblica jugoslava della Macedonia ha dovuto cambiare il proprio nome sulla Costituzione diventando, appunto, Macedonia del Nord?
Ma allora, esistono anche una Macedonia del Sud, dell’Est e dell’Ovest?
Beh, circa.
Ma andiamo con ordine. Perché dietro un semplice nome si nascondono fragili equilibri geopolitici.
Parole, parole, parole, (non) soltanto parole
Era l’8 settembre 1991 quando la Repubblica Socialista di Macedonia dichiarava l’indipendenza dalla Jugoslavia attraverso un referendum.
Serviva un nome. Il più scontato era Repubblica di Macedonia. E quello fu scelto.
Il vero scoglio si trovava però sul confine meridionale. La Grecia non approvava la nuova denominazione per 3 ragioni:
Identitario. La Macedonia non è solo uno Stato, ma è anche una macroregione greca, divisa a sua volta in tre: Macedonia Occidentale, Centrale e Orientale.
Culturale. “Macedonia” racchiude l’eredità storica e culturale del Regno macedone di Filippo e Alessandro Magno, rivendicata come esclusiva da entrambi i Paesi.
Territoriale. L’idea di creare una Repubblica di Macedonia avrebbe potuto stimolare rivendicazioni irredentiste sulle regioni settentrionali della Grecia.
Nel 1994 la Grecia impose l’embargo economico alla Macedonia, fino a quando la Repubblica non rinunciò al Sole di Verghina sulla propria bandiera (simbolo della dinastia di Filippo il Macedone).
Intanto l’Onu cercò una mediazione, proponendo il nome di Former Yugoslav Republic of Macedonia (Repubblica ex-jugoslava di Macedonia). Per le comunicazioni informali sarebbe comunque rimasta Repubblica di Macedonia.
La Commissione Europea aveva invece portato la Grecia di fronte alla Corte Europea di Giustizia e gli Usa non avevano modificato le proprie relazioni con la Repubblica.
Gli ellenici considerarono tutto questo quasi un tradimento da parte degli alleati e decisero di vendicarsi sui macedoni. Per 25 anni.
Il ricatto greco
L’unica arma legale rimasta alla Grecia era opporsi a ciò che la Macedonia desiderava di più: entrare nelle organizzazioni internazionali occidentali.
Escluderla dai tavoli del potere europeo e atlantico.
Fino a quando il nuovo Stato avesse mantenuto “Macedonia” come termine caratterizzante, la Grecia si sarebbe opposta con ogni mezzo alla sua entrata nella Nato e nell’Unione Europea.
Il veto all’adesione alla Nato è stata la più grande arma di ricatto.
Sia verso la Macedonia, alla ricerca di una nuova collocazione geopolitica, sia verso l’Occidente, desideroso di stabilizzare i Balcani con l’inclusione dei nuovi Stati nell’Alleanza.
Un veto non completamente legale, visto che nel ‘95 i due Paesi avevano trovato un accordo di graduale normalizzazione dei rapporti diplomatici. Un veto che nel 2008 ha portato la Grecia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
Un’altra porta chiusa in faccia alla Macedonia è stata quella del suo possibile ingresso nell’Unione Europea.
Nel 2001 venne firmato l’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione e 4 anni dopo - il 17 dicembre 2005 - la Macedonia aveva ufficialmente ottenuto lo status di Paese candidato a membro dell'Ue.
Da quel momento, il gelo. Già nel 2009 la Commissione europea raccomandava l’apertura dei negoziati, ostacolati fino a quel momento (e per altri 9 anni a venire) dalla Grecia.
Una controversia destinata a finire solo il 17 giugno 2018. Sulle sponde del lago di Prespa era stato trovato il nuovo nome della Macedonia.
Il compromesso macedone
12 giugno 2018. Il premier macedone Zoran Zaev e l’allora premier greco Alexīs Tsipras annunciano quello che da 27 anni il mondo aspetta:
“Abbiamo un’intesa”.
Con l’accordo di Prespa, il Paese diventa Repubblica della Macedonia del Nord. “Macedonia” rimane, ma quel “Nord” indica che esistono anche altre Macedonie: dell’Ovest del Centro e dell’Est.
La Macedonia del Nord è una parte della regione della Macedonia. Niente di più, niente di meno. Nessuna appropriazione esclusiva, nessun irredentismo nascosto.
Per l’ex Repubblica di Macedonia il compromesso è stato più duro da accettare, proprio per il significato profondo che si nascondeva dietro quel semplice nome. E i cittadini l’avevano capito.
Il referendum del 30 settembre 2018 per il nuovo nome del Paese fallì. Su 10 votanti, 9 erano a favore. Peccato che l'affluenza alle urne si fosse fermata al 36,87%. Più di un milione di macedoni si fecero sentire non facendo raggiungere il quorum.
La posta in gioco era però troppo alta per far arenare tutto a quel punto.
La discussione si spostò a livello parlamentare. La riforma costituzionale si realizzò con i 2/3 dell’Assemblea legislativa a favore del cambio di nome.
Si aprono le porte dell’Occidente
Il potere di un nome. A volte può rimuovere qualsiasi ostacolo.
È così che il 6 febbraio 2019 la Grecia ha fatto cadere il proprio veto ventennale all’ingresso della Macedonia (del Nord) alla Nato. Il 27 marzo 2020 al tavolo delle potenze atlantiche si è aggiunta la trentesima sedia, quella di Skopje.
Una piccola sedia, che però ha un pesante valore strategico nei Balcani occidentali: accerchiare e isolare la Serbia, alleata della Russia (ma che cerca comunque di tenersi buona anche l’Unione Europea, come abbiamo visto nella 2° tappa)
E ora tocca all’Unione Europea.
Da 15 anni Skopje attende che la sua candidatura sia accettata. Più a lungo di Montenegro (2010), Serbia (2012) e Albania (2014). Il più grande ostacolo all’apertura dei negoziati - l’opposizione greca, ovviamente - è caduto a Prespa.
Il 2 luglio 2020 è stata presentata la proposta di dialogo al Consiglio Europeo da parte del commissario europeo all’allargamento, Olivér Várhelyi.
Ci vorranno anni per l’allargamento dell’Unione Europea a est, oltre a vere riforme sullo stato di diritto e il funzionamento delle istituzioni democratiche da parte del governo del socialdemocratico europeista Zoran Zaev.
Ma nel 2020 - facendosi chiamare macedoni del nord - gli eredi di Alessandro Magno hanno già iniziato a mettere piede nell’Occidente inesplorato dal loro antenato.
Con buona pace dei greci. Del sud.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Se il mito di Alessandro Magno ci ha fatto un po’ da guida in questa tappa, sarà meglio stare attenti a non emularlo troppo, almeno non al bancone del bar.
Secondo diversi storici la causa principale della sua morte a soli 33 anni sarebbe stata proprio l’alcolismo, seguendo l’uso persiano del bere vino non allungato con acqua. Troppo vino e troppo forte, che lo avrebbe portato dritto dritto alla cirrosi epatica.
Quindi in Macedonia del Nord dovremo andarci piano col vino. Anche se un buon bicchiere non si nega a nessuno.
Il più rinomato è il vranec - da non confondere con il montenegrino vranac, che abbiamo già assaggiato alla fine della 5° tappa - un vino rosso, corposo, con un forte residuo zuccherino.
Si coltiva sul territorio macedone fin dall’età ellenistica, quando il vino veniva conservato in grandi anfore nelle dimore dei nobili.
Dopo essere sopravvissuto a numerose minacce di estinzione, il vranec si ottiene da uno dei vitigni di uva nera più famoso in tutta la Macedonia: il kratošija.
Provate a chiederlo all’oste, sarà contento di offrirvi un secondo giro. Poi vi dirà “basta così”. E punterà l’indice verso la statua di Alessandro il Grande.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la decima tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Grazie ancora per essere arrivata o arrivato a questo punto del viaggio. Se ti fossi perso qualche tappa, qui puoi recuperarle tutte. Abbiamo parlato di coronavirus, di migranti, di mafie, di parità di genere, di foreign fighter e molto altro ancora.
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