V. Generale Coronavirus
Tentazioni autoritarie, guerriglie urbane, inchieste per corruzione e frontiere chiuse. Tutto quello che bisogna sapere sulla seconda ondata Covid-19 nei Balcani
Ciao,
bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Siamo arrivati alla quinta tappa. Mi sembra il momento giusto per dare una sferzata al nostro cammino e buttarci sulla strettissima attualità.
Allarme sanitario nei Balcani. Assalto al Parlamento serbo. Inchieste sui respiratori in Slovenia. Divieto di ingresso in Italia per chi arriva da Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Serbia e Montenegro.
Non importa quante o quali notizie ti abbiano raggiunto nelle ultime settimane. È ora di fare il punto su quello che ognuno di noi teme: la seconda ondata di coronavirus.
Non si sa mai che al bar poi qualcuno tiri fuori: «Oh, ma hai sentito cos’è successo ieri in Montenegro?»
Non ti dico nemmeno lo smacco di farselo spiegare da un anziano con la mascherina, tra una mano e l’altra di briscola.
Un po’ di numeri
La situazione nei Balcani occidentali è fuori controllo? No. Almeno per ora. Quanti sono i casi accertati? Eccoli:
Serbia: 22.852 (518 decessi)
Macedonia del Nord: 9.797 (451)
Bosnia ed Erzegovina: 9.767 (280)
Kosovo: 6.680 (164)
Croazia: 4.715 (128)
Albania: 4.570 (128)
Montenegro: 2.381 (35)
Slovenia: 2.052 (115)
[fonte: Johns Hopkins Center for System Science and Engineering. Dati aggiornati al 24/07/2020]
Se normalizziamo i dati, confrontando il numero di casi per milione di abitanti, scopriamo che nessuno è messo peggio di Regno Unito, Svezia, Belgio, Spagna, Portogallo o Islanda.
Quindi il problema qual è? Semplice, le curve dei nuovi casi. Nell’ultimo mese, sono tutte in ascesa.
I Balcani stanno diventando, giorno dopo giorno, uno dei focolai della seconda ondata di coronavirus.
Covid-free. Troppo presto
A metà marzo in tutti i Balcani è scattato lo stato di emergenza.
Mascherine, distanziamento sociale, zone rosse e misure tecnologiche discutibili (come la pubblicazione online dei nomi di chi era in quarantena).
Nonostante un picco a metà aprile, la prima ondata della pandemia sembrava essere passata senza eccessivi danni, se non quelli economici.
Sembrava. Perché il vero problema non era la gestione dell’emergenza. Era la transizione alla nuova fase, l’allentamento delle misure restrittive.
Prendiamo il Montenegro, per esempio (tanto per non farci trovare impreparati dal vecchietto di cui sopra).
Dopo un mese senza nuovi casi, il 2 giugno viene dichiarata la fine dell’epidemia. Il Montenegro è Covid-free. Torna tutto come prima. Troppo presto.
Il 15 giugno viene registrato un nuovo caso positivo. Da lì, il piano inclinato: la pallina del virus inizia a rotolare sempre più velocemente.
20 giugno: 18 nuovi casi in un giorno. 17 luglio: 153.
Anche il calcio si deve fermare. Con il caso positivo di un giocatore dell’Fk Budocnost, la Federcalcio montenegrina il 4 luglio decide di sospendere il campionato.
In tutta la primavera si erano infettate 324 persone. Dal 2 giugno al 24 luglio i casi totali sono stati 2.057. Sei volte tanto. Adesso i montenegrini cercano rifugio in Albania.
Lo stesso discorso si può fare per quasi tutti i Paesi balcanici. Prima ondata gestita senza eccessivi problemi. Un mese con pochissimi o senza nuovi casi. Allentamento delle misure. Seconda ondata.
I confini dell’Unione Europea si chiudono, Italia in testa. Prima Macedonia del Nord e Bosnia ed Erzegovina sono inseriti nella lista dei 13 Paesi a rischio. Poi anche a Serbia, Montenegro e Kosovo è vietato l’ingresso.
Corruzione e tempeste all’orizzonte
A questo punto, il discorso potrebbe finire qui. I Balcani sono il nuovo focolaio per colpa della fretta di riaprire. Confini esterni chiusi. Fine.
E invece no.
In questa penisola tutto ha un sapore diverso. Anche nel bel mezzo di una pandemia. Questa volta si sente puzza di corruzione e di manovre elettorali sporche.
30 giugno, Lubiana, Slovenia.
Il ministro dell’Interno Ales Hojs rassegna le dimissioni. Gli è stato notificato un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta sulla compravendita di respiratori polmonari.
Nell’inchiesta è coinvolto anche il ministro dell’Economia e vicepremier Zdravko Počivalšek. Indagato, arrestato, temporaneamente rilasciato.
In breve. Il governo sloveno avrebbe autorizzato l’acquisto di dispositivi medicali per i reparti anti-Covid da un’azienda slovena, la Geneplanet. Valore dell’operazione: 8 milioni di euro.
La gara d’appalto per i respiratori è andata stranamente deserta, fatta eccezione per la Geneplanet. Che è legata ad alcuni importanti funzionari statali vicini al governo. C’è sentore di corruzione.
Altre manovre strane si sono verificate in Serbia.
Il 30 giugno la premier Ana Brnabić è stata duramente contestata a Novi Pazar da cittadini e medici. La città è diventata uno dei maggiori focolai del Paese, ma i respiratori acquistati dal governo non sono mai entrati in funzione.
I pazienti devono provvedere da soli al necessario per le cure in ospedale.
Ma in Serbia la discutibile gestione dell’emergenza ha mostrato tutte le fragilità della sua democrazia. E l’ha fatto con la guerriglia urbana.
Democrazia in pericolo
Può una democrazia essere messa in pericolo dalle elezioni? Sembra un paradosso, ma così è stato in Serbia, Croazia e Macedonia del Nord.
In questi tre Paesi le elezioni per rinnovare i Parlamenti si dovevano tenere il 12 aprile (Macedonia del Nord), 26 aprile (Serbia) e nell’autunno 2020 (Croazia). Ovviamente con lo stato d’emergenza le elezioni non potevano tenersi in primavera.
Considerata la situazione imprevedibile, sarebbe stato logico uno slittamento in autunno. In Croazia non ci sarebbe stato nemmeno il problema.
Tutte sono state invece spostate già a inizio estate 2020 (rispettivamente 21 giugno, 5 luglio, 15 luglio). Perché?
Qui casca il palco. Come sottolineano gli analisti, i partiti di governo avrebbero rischiato una crisi. Qualcuno si sarebbe dovuto assumere le responsabilità della gestione di un semestre di pandemia.
Il calo dei contagi è stata quindi una manna dal cielo. Nelle prime settimane d’estate si poteva incassare il successo della gestione della prima ondata senza affrontare in autunno i pericoli elettorali della seconda.
Si spiega così la spinta ad accelerare la fine dello stato di emergenza.
Se in Croazia e in Macedonia del Nord è andato quasi tutto “liscio” - con elezioni svoltesi in un clima irreale di risalita dei contagi - in Serbia c’è chi ha avuto qualcosa da ridire.
Dopo la larga vittoria del partito conservatore Sns del presidente Aleksandar Vučić, il 7 luglio arriva l’annuncio che la capitale Belgrado sarebbe stata messa in lockdown.
Le opposizioni protestano pacificamente davanti al Parlamento. Accusano il governo di mentire sul numero dei contagi per fini politici e chiedono le dimissioni dell’Unità di crisi, troppo politicizzata.
A un certo punto però la situazione sfugge di mano. Alcuni estremisti di destra prendono il controllo della piazza e cercano di assaltare il Parlamento. La polizia resiste e carica, con una violenza che ha sconvolto i reporter stranieri.
Seguono notti di guerriglia urbana. Il bilancio: decine di feriti e 71 manifestanti arrestati.
Almeno 8 giornalisti hanno subito violenze, anche da parte della polizia.
La distrazione offerta dalla violenza di una parte dei manifestanti ha permesso al governo di non dover rispondere alle accuse mosse dalla maggioranza pacifica.
Rimane però inquietante il fatto che una pandemia possa essere stata sfruttata per giochi politici poco cristallini. Come se la democrazia potesse plasmarsi a piacimento dei leader, senza rendere conto agli elettori.
Sfruttando il caso, sfruttando la tragedia. Sfruttando l’assist del Generale Coronavirus.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine della quinta tappa. Visto che ormai possiamo affrontare la discussione sul Montenegro al bar, sarà meglio farsi trovare pronti anche sulla questione alcolici.
Oggi ci accompagna quella che nelle osterie venete chiamerebbero n’ombra de vin. Il vino del Montenegro.
Il Paese ha una lunghissima storia di produzione vitivinicola, sin dall’epoca pre-romana, quando era parte del Regno illirico.
Impressionerai chiunque se chiederai un krstač, un bianco molto raro, secco, dal sapore ricco, con aromi fruttati.
Il vranac è invece un rosso che chiama carne e piatti speziati. Vranac significa "cavallo nero" e fu premiato con il primo premio dalla London Exibition già nel 1907. Non serve aggiungere altro.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la sesta tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Ancora una volta ti ringrazio di essere arrivato fin qui. Ti lascio alcune delle vecchie tappe: Kosovo e calcio, affari della Cina in Serbia, migranti torturati dalla polizia croata e deradicalizzazione dei foreign fighters.
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