VIII. L'ottava, contro le mafie
Chiacchierata con Carmela Racioppi, esperta di criminalità organizzata nei Balcani. Si parla di ex-paramilitari, legami politici, rotte internazionali e antimafia. Seduti al bancone del nostro bar
Ciao,
ancora una volta bentornata/bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Lo confesso, era da un po’ che aspettavo questa tappa. Un po’ per fare il gioco di parole di caparezziana memoria. Un po’ perché - chi mi conosce bene adesso sospirerà sconsolato - a questo tema ci sono estremamente legato da tempo.
Oggi parleremo di mafie e antimafia nei Paesi balcanici.
Visto che però la parola “io” nel giornalismo sta facendo danni spropositati, stavolta sarà meglio farsi da parte e lasciare che sia una seconda voce a fare da narratrice.
Una seconda voce più esperta, una delle pochissime in Italia che per anni ha studiato questo fenomeno. Una che ha lottato e continua a lottare.
È appena entrata a BarBalcani Carmela Racioppi. Facciamola sedere al bancone, ordiniamole da bere e stiamo ad ascoltare tutto quello che avrà da raccontarci!
(Non) tanto tempo fa…
Andiamo subito al punto. La prima cosa che ti viene in mente se ti dico “mafie nei Balcani”.
“Crollo dell’ex-Jugoslavia.
Prima, sotto Tito, era quasi impossibile individuare strutture criminali organizzate. C’erano singoli delinquenti o bande senza riferimenti, che non potevano controllare traffici su larga scala.
Con le guerre balcaniche sono affiorati i primi gruppi criminali che curavano il traffico di armi, il contrabbando delle sigarette, il riciclaggio di denaro sporco. Gruppi uniti da singole personalità criminali di spicco”.
Per esempio?
“Il più emblematico è sicuramente Željko Ražnatović, meglio conosciuto come Arkan. Era un criminale che riciclava denaro da una piccola pasticceria in Serbia.
Con lo scoppio della guerra in Croazia nel 1991 ha creato le Tigri di Arkan, un gruppo di criminali e ultrà della Stella Rossa di Belgrado che si sono organizzati come milizie irregolari.
Dopo crimini di guerra e genocidi, la trasformazione di queste strutture paramilitari in strutture criminali vere e proprie è stato il momento di svolta per la storia delle mafie nei Balcani”.
Mafie fluide, legami solidi
Quindi, parlavamo di strutture criminali.
“Esatto. Tutte molto simili tra loro. Se anche è crollata a livello geopolitico, la Jugoslavia è ancora intatta a livello criminale.
Già negli anni Novanta questi gruppi collaboravano tra loro, nonostante formalmente ci fossero le guerre etniche. Serbi contro croati, serbi contro bosniaci, serbi contro kosovari.
Ma anche l’odio atavico era strumentale per i profitti del mondo criminale.
Vorrei leggervi un passaggio di Maschere per un massacro di Paolo Rumiz. Vale più di mille parole”:
«Come la Tangentopoli jugoslava fu il privilegio di pochi garantito dalla licenza di furto offerta ai molti, così la guerra fu l’accumulazione criminale di alcuni coperta dall’opportunità di saccheggio concessa a tutti in nome della patria, e anche dal silenzio di chi, con la guerra, vedeva cadere su di sé il peso della colpa collettiva».
Tuttora non esiste una netta differenza tra le mafie dei diversi Stati. La radice è comune, così come sono comuni gli affari e le strutture”.
Quindi come ce le dobbiamo immaginare queste mafie?
“Allora, intanto togliamoci l’idea di strutture tipo Cosa Nostra o la ‘ndrangheta. Non ci sono legami familistici, né strutture verticali o orizzontali. Sono gruppi dediti ai traffici, ma senza scopi “cultural-criminali” o autorappresentativi.
Hanno però forti legami politici. Il loro passato di paramilitari ha alimentato la connivenza col potere. E anche per questo non ci sono processi, perché strutture mafiose e strutture politiche sono quasi sovrapponibili.
È il caso della Serbia di Aleksandar Vučić. Il presidente sta puntando forte sul “Belgrade Waterfront”, un progetto urbano che sta distruggendo gli edifici storici di una parte della capitale, per impiantare centri commerciali e grattacieli ultramoderni.
Potete tranquillamente immaginare da chi siano gestiti gli appalti: prestanome che rimandano a soggetti criminali, a loro volta legati al potere politico. Tutti ne parlano, ma processi zero”.
Lungo le rotte internazionali
Mi verrebbe da chiederti se c’è una mafia più in ascesa tra tutte.
“Sì, quella albanese. In particolare per la sua organizzazione. È diversa da tutte le altre, perché non ne condivide il passato storico/culturale.
Ha una struttura più coerente e familistica. Per certi versi ricorda la ‘ndrangheta, soprattutto per l’importanza dei legami di sangue. Si è sviluppata con il traffico di marijuana, poi di hashish e cocaina e oggi la fa da padrona su tutta la rotta balcanica.
È quella più in ascesa perché ha grossi legami con il resto d’Europa ed è cresciuta al punto da controllare il traffico di cocaina nel Regno Unito.
Traffici di droga, di armi e di essere umani rimangono comunque i settori privilegiati da tutte le mafie balcaniche, come ha dimostrato anche il recente report non governativo “Transnational Tentacles - Global Hotspots of Balkan Organized Crime”.
E le nostre, di mafie?
“Soprattutto i clan camorristici hanno saputo sfruttare le guerre nell’ex-Jugoslavia per il loro traffico di armi. Le acquistavano dai paramilitari slavi per rivenderle sul mercato nero. E gli affari sono continuati anche nel dopoguerra.
La ‘ndrangheta invece si è occupata dei traffici di droga - marijuana e cocaina - facendo da anello di congiunzione tra rotta balcanica e rotta atlantica. Da e per il Sud America, come ha dimostrato il caso del re della cocaina balcanica, Darko Šarić”.
It’s a long way to the antimafia
Chiudiamo come abbiamo iniziato. La prima cosa che ti viene in mente, però se ti dico “antimafia nei Balcani”.
“Quasi nulla.
È come se fossimo tornati nei nostri anni Novanta. Anzi, anche prima del Maxiprocesso.
Quello della lotta alla mafia è un tema che sui Balcani va molto a rilento, fra i giovani fatica a prendere piede. Non c’è piena consapevolezza, ma paura e silenzio. Fanno ancora fatica a parlare dei traumi delle guerre etniche, prima verrà quello.
Ma ci sono anche ottimi segnali di speranza. Come il Crime and Corruption Reporting Network (Krik), un team di giornaliste e giornalisti investigativi [10 su 11 sono donne, tanto per confermare che il women empowerment di cui parlavamo nella 6° tappa è già in atto], focalizzato sui temi di corruzione e criminalità”.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Anche se certe chiacchierate vorresti non finissero mai, è quasi arrivato il tempo di riprendere il cammino. Prima però non possiamo dimenticare le tradizioni…
Carmela, per ringraziarti di questo tempo passato insieme, hai diritto a un giro di qualcosa che ti porti nel cuore. Visto che i Balcani sono quasi la tua seconda casa, cosa ordiniamo?
“Rakija, per forza. Se siamo nei Balcani non ci sono proprio dubbi: si beve slivovitz alle prugne!” [ne parlavamo alla fine della 2° tappa, quella su Cina e Serbia].
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la nona tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Da questo momento in poi ogni passo, ogni lettera di BarBalcani è dedicata alla memoria di Mattia. Che adesso starà sbeffeggiando qualcuno lassù, tirando da oltre l’arco, dritto dritto nella sua aureola. E come sempre, nothing-but-net.
Se ti sembrerà di sentire una presenza a vegliare sopra di noi mentre camminiamo insieme, stanne certo. È lui.
Farewell, fratello. Farewell.
Grazie per la compagnia. Qui puoi recuperare tutte le tappe di BarBalcani.
Per le notizie di giornata dai Balcani, c’è la pagina Instagram di BarBalcani.
Puoi iscriverti con il tuo indirizzo mail alla newsletter, per riceverla sabato prossimo direttamente in posta.
Attenzione! Sempre più spesso la newsletter finisce in spam o in promozioni: prova a controllare, segnalala come “non spam” e fallo presente a chi conosci.
Puoi condividere il post o invitare chiunque tu voglia a iscriversi alla newsletter: