VI. Empowering women
La parità di genere nei Parlamenti balcanici è ancora lontana. Ma alcuni partiti in rottura col passato stanno cercando di superare anche le "quote rosa"
Ciao,
siamo ormai arrivati insieme alla sesta tappa del cammino di BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Quello di oggi sotto molti punti di vista dovrebbe essere un argomento facile da affrontare. In teoria. Perché poi, come tutte le cose semplici, nella pratica è reso estremamente complesso da un retroterra culturale duro a morire.
Parliamo di parità di genere. Uguali diritti per donne e uomini.
È quasi tragico il fatto che nel 2020 dobbiamo ancora ribadirlo e trovare una soluzione. In particolare in politica, dove si prendono decisioni che influenzano la vita di intere nazioni.
Ecco perché è utile parlarne subito, all’inizio del nostro cammino. Per sgomberare il campo dai dubbi e gettare una luce su quello che sta accadendo. Sui Balcani, come a casa nostra.
Le quote di genere non bastano
Cominciamo con una domanda. Le “quote rosa” servono?
Sì.
È ora che anche gli uomini prendano una netta posizione a riguardo. Il motivo è molto semplice: si chiama lotta contro la discriminazione.
Come ha scritto Irene Facheris, parte tutto dall’esempio verso le nuove generazioni:
“Le quote rosa servono a creare dei precedenti. Se vedo solo uomini prendere decisioni, penserò che le donne non siano in grado di farlo. Se invece avrò a disposizione esempi di donne in posizioni di potere che hanno saputo fare il proprio lavoro, comincerò a credere che quindi anche loro ne siano in grado”.
Diverso è però pensare che le “quote rosa” siano la soluzione definitiva.
Le quote di genere non bastano. Rappresentano semplicemente un «provvedimento temporaneo teso a equilibrare la presenza di uomini e donne nelle sedi decisionali», come dice la Treccani.
Per capire il perché, possiamo lasciare che i fatti si spieghino da soli.
Sulla carta… ma poi?
Quelle che sono entrate nel gergo comune come “quote rosa” - ma che sarebbe meglio definire “quote di genere” per non alimentare una sorta di discriminazione involontaria - esistono in tutti Paesi balcanici.
Per esempio, in Macedonia del Nord per legge deve essere rispettata la soglia minima del 30% per genere nella compilazione delle liste elettorali.
Anche in Croazia esiste un sistema simile per quote. I partiti che non lo rispettano sono sanzionati con una multa.
Per fare un confronto, in Italia la legge del 2017 ha stabilito l’alternanza nelle liste elettorali e il limite massimo del 60% per un genere. Non siamo molto distanti.
Sulla carta, dunque, i sistemi balcanici puntano alla parità di genere. Stimolano la partecipazione femminile all’interno dei singoli partiti, in modo tale che gli elettori possano scegliere la candidata o il candidato più competente. A prescindere dal sesso.
Questo in teoria. Ma poi, nella pratica?
Qui arrivano i problemi.
In Macedonia del Nord spesso i nomi delle candidate al Parlamento vengono inseriti in fondo alle liste di partito o coalizione, diminuendo sensibilmente la possibilità di essere elette.
In Croazia la multa se non si rispettano le quote di genere non può essere superiore a 550 mila kune (circa 72 mila euro). Non troppe per i partiti più grossi, che possono permettersi di non rispettare l’obbligo di legge.
In generale, la partecipazione femminile nei Balcani è ancora bassa, tra il 15 e il 35%. Poche donne occupano posizioni decisionali e bypassare le leggi sulla parità di genere è abbastanza facile.
Ma qualcosa sta cambiando.
Un lento risveglio
Il 2020 sta riservando diverse sorprese. Nell’anno più denso di elezioni per la penisola, alcuni partiti stanno spingendo per fare in modo che il rinnovamento arrivi il prima possibile.
In Croazia, il 5 luglio è stato un giorno storico per la coalizione verdi-sinistra radicale Možemo! (“Possiamo!”), che con 7 eletti è entrata per la prima volta in Parlamento.
Proprio Možemo! ha portato un’altra prima volta. Su 10 circoscrizioni totali, sono state candidate 6 donne. La maggioranza tra i capolista.
Le 3 deputate elette tra le fila di Možemo! hanno portato a 35 (su 151 seggi) la presenza femminile nel Sabor, il Parlamento monocamerale. Nel 2016 erano 19. Ora è quasi il doppio.
Al di là degli orientamenti politici, in questa piccola svolta non si può dimenticare il ruolo giocato negli ultimi anni da Kolinda Grabar-Kitarović.
Prima donna votata alla presidenza della Repubblica (2015-2020), più giovane Presidente mai eletto o eletta in Croazia e fino al 19 febbraio 2020 chair del Council of Women World Leaders.
Sorprese nella maggioranza
Se in Croazia il cambiamento è affidato soprattutto alle forze emergenti di sinistra, in Macedonia del Nord gli osservatori internazionali hanno rilevato l’inaspettato segnale del partito di maggioranza, l’Unione Socialdemocratica di Macedonia (SDSM).
Rappresentazione di genere esattamente uguale nelle liste elettorali, in occasione della tornata del 15 luglio. Per ciascuno dei 6 distretti è stata scelta una coppia donna-uomo come capolista.
«Il nostro obiettivo è quello di creare una società in cui ognuno, maschio o femmina, possa realizzare appieno il proprio potenziale», ha dichiarato il leader ed ex premier Zoran Zaev.
Da anni la Macedonia del Nord è il Paese più virtuoso dei Balcani dal punto di vista della parità di genere. Come emerge dal database Women in National Parliaments, prima delle ultime elezioni era posizionato al 23° posto su 193 Paesi, con 48 deputate su 120.
L’esempio offerto in tre ministeri-chiave da Nina Angelovska (Finanze), Radmila Šekerinska (Difesa) e Renata Deskoska (Giustizia) ha dato un nuovo impulso ai socialdemocratici per stimolare la parità di genere nella politica macedone.
La vittoria alle elezioni della coalizione “We Can” guidata dall’SDMS offre grandi speranze che possa crescere il numero di deputate in Parlamento, ma anche e soprattutto il numero di ministre che occupino posizioni decisionali di rilievo.
A che punto siamo
È ormai chiaro che per comprendere lo stato di salute della parità di genere in politica non si possa considerare solo la presenza femminile in Parlamento.
Serve l’esempio di donne che abbiano dimostrato di saper fare il proprio lavoro con competenza, di occupare posizioni di potere per merito. Donne che creino precedenti.
Ecco perché è opportuno fare il punto Paese per Paese, perché la conclusione di questa tappa non sia altro che un nuovo inizio. Sapere da dove si può ripartire, conoscere i punti deboli che vanno rinforzati.
*MACEDONIA
Come abbiamo visto, nell’ultima legislatura erano 3 le ministre su 16 che componevano il gabinetto Zaev. Dal 2018 Anita Angelovska Bezhoska è la governatrice della Banca Nazionale.
*KOSOVO
Dei 19 ministri del gabinetto Hoti, 4 sono donne. In 4 (su 9) anche alla Corte Costituzionale, ma una la presiede, Arta Rama-Hajrizi.
*BOSNIA ED ERZEGOVINA
È quasi parità di genere nella Corte Costituzionale: 4 giudici su 9 sono donne. Il Paese è poi diviso in due entità. Nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina sono 4 su 16 le ministre. Nella Republika Srpska 6 su 16 e dal 2018 la presidente è Željka Cvijanović (già premier).
*SERBIA
Sono diverse le note positive. A capo del governo c’è Ana Brnabić (nel suo gabinetto di 21 ministri, altre 4 donne). Alla Corte Suprema la maggioranza è femminile (25 su 42). Dal 2020 Snežana Marković è presidente della Corte Costituzionale, dove le giudici sono 8 su 13. E Jorgovanka Tabaković è governatrice della Banca Nazionale.
*MONTENEGRO
Nel 2019 Vesna Medenica è stata rieletta presidente della Corte Suprema per la terza volta. Ma c’è un problema: la Costituzione vieta più di una rielezione. Al governo erano invece 4 le ministre su 19 (in attesa delle elezioni del 30 agosto 2020).
ALBANIA
Nel 2019 Vitore Tusha è stata eletta presidente della Corte Costituzionale. Il Consiglio dei ministri è diviso quasi a metà: 8 uomini e 7 donne. Diverso invece nella Corte Suprema, dove la presenza femminile si ferma a 3 (su 17).
*CROAZIA
Tra i 18 ministri del nuovo governo Plenković compaiono solo 3 donne. In 3 (su 13) anche le giudici della Corte Costituzionale.
*SLOVENIA
La presenza femminile a capo dei 16 ministeri è un quarto. Aleksandra Pivec, ministra dell’Agricoltura, è però anche la prima vicepremier. In 12 su 32 siedono alla Corte Suprema.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
La sesta tappa è agli sgoccioli. Come sempre l’ultimo (goccio) è riservato sul bancone del nostro bar di fiducia.
E se c’è una cosa bella di questo bar, è che qui non importa se sei uomo o donna, da dove vieni, in cosa credi o qual è il tuo orientamento sessuale. Qui ti siedi, prendi da bere e sei uguale a tutti gli altri. Punto.
Oggi torneremo a degustare la rakija, la bevanda più tipica ed egualitaria dei Balcani… perché a chiunque ne viene offerto almeno un bicchierino al giorno!
Come dicevamo nella seconda tappa, di rakija ce ne sono mille tipi diversi. Lì avevamo assaggiato lo slivovitz alle prugne. Oggi invece c’è dell’ottima medovača al miele.
La medovača ha un’alta percentuale di miele in rapporto all’alcool. Non c’è zucchero aggiunto e il colore è di un giallo dorato intenso. Soprattutto in Istria, è il tipico liquore che viene offerto come benvenuto: un po’ come il rosé… ma con giusto qualche grado in più!
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la settima tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Grazie ancora per essere arrivato a questo punto del viaggio. Se ti fossi perso qualche tappa, qui puoi recuperare le prime cinque. L’ultima, di strettissima attualità, era sulla seconda ondata di coronavirus nei Balcani.
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