III. In Croazia l'Europa ha un problema con #BlackLivesMatter
Botte, torture e umiliazioni. Così la polizia respinge illegalmente i migranti al confine con Bosnia e Serbia
Ciao,
eccoci arrivati alla terza tappa del cammino di BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Ti avviso. Oggi affronteremo fino in fondo l’ipocrisia di noi europei. Lo faremo in Croazia, ma non pensare che anche noi italiani non ne siamo dentro fino al collo.
Perché è moralmente importante appassionarsi alla causa #BlackLivesMatter degli afroamericani negli Stati Uniti. Ma siamo davvero disposti ad aprire gli occhi su cosa succede alle nostre frontiere con le vite dei migranti, di cui così poco ci importa? Riconoscere che anche #MigrantLivesMatter?
Proviamo a capirlo insieme su uno dei confini più violenti dell’Unione Europea. Quello tra Croazia, Serbia e Bosnia ed Erzegovina.
Una rotta lunga 5 anni
Sono passati solo 5 anni. Cinque anni da quando l’Unione Europea scopriva che le ondate migratorie erano una questione comunitaria e non solo di Italia, Spagna e Grecia. Nel 2015 veniva inaugurata per la prima volta la “rotta balcanica”.
Un flusso di decine di migliaia di migranti (provenienti in particolare da Siria, Afghanistan, Pakistan e Iraq) iniziò a risalire la penisola per raggiungere il sogno dell’Europa.
Germania, Gran Bretagna, Scandinavia.
Lavoro, pace, futuro.
Peccato che già nel luglio del 2015 l’Ungheria di Viktor Orbán decideva di alzare un muro al confine con la Serbia, rendendo impossibile ai migranti la via più rapida per raggiungere l’Unione.
Per questo motivo la rotta subì una brusca sterzata: dalla Bosnia ed Erzegovina o ancora dalla Serbia, per risalire poi verso la Croazia.
È da qui che inizia la storia dei migranti e dei soprusi della polizia di Zagabria, sotto gli occhi indifferenti di un continente intero.
La politica del pushback
L’idillio di una pacifica convivenza tra migranti e forze dell’ordine croate è durato giusto qualche mese. Nel settembre 2015 le copertine di alcuni giornali mettevano addirittura in risalto la benevolenza degli agenti di frontiera.
Dalla primavera del 2016 la storia prende un’altra piega. La Croazia, Paese candidato a entrare nell’area Schengen, inizia a operare sistematicamente respingimenti di migranti alla frontiera - i tristemente famosi pushback - in contrasto con le direttive dell’Unione Europea sul diritto di asilo.
Con i respingimenti iniziano a contarsi le prime tragedie. La notte del 20 novembre 2016 Madina Hussiny, una bimba afghana di 6 anni, muore travolta da un treno mentre seguiva i binari per tornare in Serbia. Lei e la sua famiglia erano state respinte al confine con la Croazia.
Secondo le stime dell’ong croata Are You Syrious, solo nel 2018 si sono verificati oltre 10 mila pushback.
In un’intervista a L’Espresso, una fonte interna alla polizia croata ha testimoniato che ai migranti che chiedevano asilo avevano l’ordine di rispondere «no azil», prima di «caricarli sul furgone della polizia, disattivando la connessione col gps, così nessuno avrebbe saputo dove eravamo». Questi ordini venivano inviati tramite cellulare privato. Sempre per non lasciare traccia.
Torture alle porte d’Europa
Negli ultimi tempi però i respingimenti sono diventate vere e proprie azioni di intimidazione e violenza, in modo che si sparga la voce tra i migranti che vorrebbero proseguire verso la Croazia. Un deterrente, insomma.
L’11 giugno 2020 Amnesty International ha pubblicato l’ultimo report di denuncia. Per la prima volta si parla di vere e proprie torture. Non più cellulari rotti a martellate, documenti confiscati, sacchi a pelo bruciati e manganellate. Ormai la deriva è quasi il sadismo.
È il 26 maggio quando la polizia croata ferma 16 richiedenti asilo pachistani e afghani nella zona dei laghi di Plitvice. Legati con una corda, vengono ripetutamente picchiati, nonostante le suppliche di pietà. Ma non basta.
Uno dei migranti ha poi fatto un resoconto dettagliato ai volontari di Amnesty. Alcuni poliziotti cantavano e riprendevano le scene con i loro smartphone, mentre altri imbrattavano le ferite con ketchup e maionese trovati nello zaino di uno dei migranti. Il gruppo è stato poi costretto a camminare verso la Bosnia. Diversi tra loro ora sono su una sedia a rotelle.
Silenzio colpevole
Il premier croato Andrej Plenkovic (Unione Democratica Croata, Hdz) ha sempre negato tutto. Europeista e di centrodestra, il premier rieletto alle elezioni del 5 luglio 2020 ha puntato tutto sull’ingresso della Croazia nell’area Schengen e nell’Eurozona. Difficile che dopo 4 anni faccia un pericoloso mea culpa proprio ora, nell’anno decisivo.
Ma è proprio da Bruxelles che arrivano le notizie più scioccanti. Un’inchiesta di The Guardian ha rivelato che alcuni funzionari della Commissione Europea avrebbero insabbiato il fallimento della Croazia nel proteggere i migranti da queste brutalità.
Il motivo? Il fallimento stesso della Commissione, che non sarebbe riuscita a far funzionare il meccanismo di controllo proprio sulla polizia croata di frontiera. Un fallimento costato 300 mila euro (dei 7 milioni ricevuti da Zagabria per la sicurezza dei confini).
La Commissione è al corrente di quello che succede al confine tra Croazia, Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Ora lo siamo anche noi cittadini europei. Sapremo ancora stare in silenzio su tutti i nostri #MigrantsLivesMatter?
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
La terza tappa è terminata. Dopo aver fatto un bagno di realismo simile, serve qualcosa di leggero per non lasciar scivolare via tutta questa consapevolezza.
Ecco perché stavolta sul nostro bancone c’è solo birra. E più precisamente:
La Osječko, la più antica birra prodotta in Croazia (dal 1697). Prende il nome dalla città Osijek, al confine con la Serbia.
La Ožujsko, la birra croata più popolare. Viene prodotta dal 1892 a Zagabria e dal 2012 il suo slogan è “You can drink it”. Infatti se ne bevono 10 bottiglie al secondo.
La Tars, la birra di Rijeka. Di Fiume, come la conosciamo in Italia. È l’unica lager prodotta secondo i criteri del Reinheitsgebot, la “norma di purezza” del 23 aprile 1516 (Ingolstadt, Baviera).
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarta tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Io ti ringrazio per essere arrivato alla terza tappa del nostro viaggio! Ti lascio qui la prima tappa e la seconda, nel caso te le fossi perse.
Se ti sei trovato su questa newsletter per caso e non sai bene che cammino hai intrapreso, te lo spiego in breve qui. Vedrai che non te ne pentirai!
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