S4E8. È il caso che tu sappia chi è Valter
Il progetto 'Wer ist Walter?' getta nuova luce sulla memoria collettiva e sulle storie della resistenza all'occupazione nazi-fascista in Europa. A partire da uno dei partigiani più iconici di Sarajevo
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
Ci sono storie da non dimenticare. C’è una memoria collettiva europea tutta da ricostruire.
Quello dei movimenti di resistenza all’occupazione nazi-fascista in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale è un pezzo di storia del Novecento che rischia di andare perduto, per negligenza o per chiaro intento della retorica nazionalista.
Movimenti di lotta per la liberazione da regimi dittatoriali, reti di partigiani che hanno operato anche oltre i confini nazionali e hanno dato origine a esperienze transfrontaliere in grado di creare una memoria condivisa a livello europeo.
È per questo motivo che è più importante che mai riprendere il filo di un discorso in pericolo, dando spazio a progetti nati da questa esigenza. Come uno dal nome molto particolare e dalle ambizioni ancora più grandi: ‘Wer ist Walter?’ (‘Chi è Walter?’)
Oggi hanno raggiunto BarBalcani due ospiti che possono raccontare da vicino questo progetto. Elma Hašimbegović, direttrice del Museo della Storia di Bosnia ed Erzegovina, e Nicolas Moll, coordinatore dell’intero progetto.
Per spiegare soprattutto chi è questo Valter (in bosniaco, o Walters per tutti gli altri). E perché è così importante per il nostro presente.
Molto più di un simbolo
Non possiamo che partire da qui. Chi è Valter?
Moll: «‘Valter’ era il nome di battaglia di Vladimir Perić, uno dei capi partigiani a Sarajevo durante la Seconda Guerra Mondiale. Uno dei resoconti sulla liberazione della città recita: “Sarajevo è liberata, ma Valter è morto”. Fu ucciso nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1945, alcune ore prima che le unità partigiane entrassero a Sarajevo».
E cosa ha rappresentato durante la resistenza al nazismo in Bosnia?
Hašimbegović: «Perić era apprezzato in tutto il Paese durante la guerra, ma si distinse in particolare per il suo ruolo di leader della resistenza antifascista clandestina nella Sarajevo occupata. Fornì un aiuto significativo alle unità partigiane che operavano vicino alla città, organizzò una rete di intelligence partigiana ed era molto rispettato dai suoi compagni della Resistenza dentro e fuori Sarajevo».
Come fu rappresentato Valter nella Jugoslavia post-guerra?
Hašimbegović: «Il riconoscimento arrivò nel 1953, quando gli fu assegnata la medaglia postuma di ‘eroe nazionale’ per i suoi successi nella guerra di liberazione. Tuttavia la sua fama schizzò alle stelle con il film Valter brani Sarajevo (Walter difende Sarajevo) del 1972. Divenne così una sorta di simbolo della Resistenza collettiva a Sarajevo durante la Seconda Guerra Mondiale».
Leggi anche: S3E9. La leggenda degli Spomenik fraterni
E come si collega questa storia al vostro progetto?
Moll: «Eravamo alla ricerca di un titolo per il nostro progetto sulla memoria della resistenza al nazismo, e all’inizio avevamo idee molto generali, poco attraenti. D’un tratto ci è venuta in mente la frase “Wer ist Walter?” dal film del 1972.
Proprio per la sua falsa identità, per tutto il film i generali tedeschi continuano a chiedersi Wer ist Walter?, “Chi è Walter?”. È leggendaria la scena finale in cui un ufficiale nazista dice “Adesso so dov’è Walter” e mostra Sarajevo a un altro ufficiale: “Vedi la città? Questo è Walter”.
Abbiamo scelto questa frase per diversi motivi. Prima di tutto per noi è importante il punto interrogativo: oggi la resistenza al nazismo non è uno degli argomenti più discussi in molte società europee e abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione su ciò che sappiamo dei ‘Walter’ in ogni luogo.
Il nostro progetto coinvolge quattro Paesi – Francia, Germania, Croazia e Bosnia-Erzegovina – e questa citazione considera anche i Paesi dell’ex-Jugoslavia. Quando parliamo di storia e memoria europea, pensiamo all’Europa Occidentale, mentre l’Europa Sud-Orientale è spesso un buco nero. Con questo titolo abbiamo voluto rafforzare il ruolo della memoria jugoslava all’interno della storia europea».
Come è nato il progetto ‘Wer ist Walter?’
Moll: «Tutto è iniziato a Sarajevo insieme al Museo della Storia di Bosnia ed Erzegovina, l’ex-Museo della Rivoluzione dedicato alla lotta partigiana. Negli anni Novanta, con la disgregazione della Jugoslavia, la storia della Seconda Guerra Mondiale perse di importanza e il ruolo di questo museo è cambiato.
Ricordo quando la direttrice Hašimbegović mi disse: “Dobbiamo pensare a cosa possiamo fare con tutto il nostro patrimonio culturale, con così tante foto, oggetti e documenti raccolti nei 40 anni della Jugoslavia socialista”.
Ci siamo chiesti quale sia oggi il ruolo della memoria della resistenza al nazismo e al fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale e cosa possa ancora trasmetterci. Abbiamo iniziato con i Paesi post-jugoslavi, dove questa eredità antifascista può rappresentare una sfida, ma poi ci siamo resi conto che le stesse domande valevano anche in altri Paesi europei. L’idea è quella di lavorare sulla storia e sulla memoria in una prospettiva europea e in alcuni Paesi scelti».
Leggi anche: S3E19. Perché i Balcani si chiamano Balcani
Quali sono le scadenze di questo progetto?
Moll: «‘Wer ist Walter?’ è un progetto di due anni, iniziato nell’agosto 2022 e con tre obiettivi da raggiungere: una pubblicazione scientifica - per il pubblico accademico - una piattaforma digitale con 100 storie di Resistenza nei quattro Paesi - per il grande pubblico - e infine una mostra al Museo della Storia di Bosnia ed Erzegovina. All’interno dei gruppi di lavoro delle quattro istituzioni abbiamo riunito un gruppo di esperti composto da 12 persone - storici, storici dell’arte, curatori - che si incontrano regolarmente per pensare a come arrivare a questi risultati.
Nel corso dei due anni abbiamo programmato quattro workshop e tre conferenze, l’ultima delle quali si terrà a Sarajevo nel luglio 2024. Lì presenteremo la pubblicazione scientifica, la piattaforma digitale e la mostra. E ci sarà una riflessione su come potremo continuare.
Anche se è un po’ arbitrario concentrarsi solo su questi quattro Paesi, uno degli aspetti più importanti della nostra ricerca è la dimensione transnazionale della Resistenza: stiamo già considerando i collegamenti tra diversi Paesi, oltre la prospettiva nazionale. Per esempio le regioni di confine tra Italia e Jugoslavia e il coinvolgimento dei partigiani jugoslavi nella lotta di liberazione nel Nord Italia».
Memoria sbiadita
Qual è la conoscenza della lotta partigiana nei quattro Paesi esaminati?
Moll: «In generale è piuttosto superficiale se non inesistente, acriticamente glorificata o acriticamente demonizzata: la conoscenza è spesso molto selettiva e questo facilita la strumentalizzazione. Ecco perché il nostro progetto non riguarda solo la conoscenza storica, ma è anche una riflessione su ciò che sta accadendo oggi a questa memoria».
Hašimbegović: «In Bosnia ed Erzegovina la storia della Resistenza è stata rimossa dallo spazio pubblico, così come dai programmi scolastici, e questo è uno dei motivi principali per cui le nuove generazioni non hanno familiarità o curiosità. La conoscenza e la memoria della Seconda Guerra Mondiale seguono linee etniche e spesso sono reinterpretate con lenti nazionaliste. A questo si aggiunge che il ricordo della guerra del 1992-1995 è diventato dominante».
Ascolta l’ultimo episodio di BarBalcani - Podcast: Novembre ‘93. Il crollo
Come è cambiata la narrazione della Resistenza con la dissoluzione della Jugoslavia?
Hašimbegović: «Tutta la narrazione dominante della lotta multietnica e antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale è cambiata totalmente con la dissoluzione della Jugoslavia negli anni Novanta. I nuovi Stati non avevano bisogno dei vecchi eroi, della fratellanza, dell’unità e dei musei della Rivoluzione. Le nuove retoriche nazionaliste non contemplavano una storia e un’eredità comuni, perciò le cancellarono dallo spazio pubblico e dalla memoria.
Le strade e le istituzioni non erano più dedicate a combattenti della Resistenza e a personaggi iconici della Seconda Guerra Mondiale, e anche Valter ‘perse’ la sua scuola a Sarajevo. In ogni caso è riuscito a sopravvivere al cambio di narrativa, e potremmo quasi dire che “gli eroi sono morti, ma Valter è sopravvissuto”. Nella società bosniaca del dopoguerra Valter è diventato il simbolo dell’anti-nazionalismo e dell’opposizione alle divisioni etniche».
Considerato che la memoria di questo periodo storico si sta sempre più affievolendo, quali sono le modalità più efficaci per ripristinare la conoscenza tra i cittadini?
Hašimbegović: «Stiamo esplorando diversi modi per suscitare interesse e portare nuove prospettive su questo tema. Recentemente abbiamo lavorato a un progetto sul ruolo dei giovani durante la Seconda Guerra Mondiale: come hanno reagito alla guerra, il loro ruolo attivo o passivo, le scelte che avevano davanti. Abbiamo utilizzato il materiale storico e le storie più stimolanti della collezione del museo.
Consapevoli del potere dell’arte, a volte apriamo la nostra collezione ad artisti che possono rapportarsi in modo creativo ai documenti storici. Inoltre, i risultati del progetto ‘Wer ist Walter?’ - la pubblicazione accademica, la piattaforma digitale e la mostra al Museo - rappresenteranno sicuramente una grande occasione per lavorare con diversi tipologie di pubblico in futuro».
Una storia trans-europea
Perché il ricordo della resistenza europea al nazismo e al fascismo non considera quanto accaduto nei Paesi dell’ex-Jugoslavia?
Moll: «Penso che dobbiamo tornare ai tempi della Guerra Fredda per rispondere a questa domanda. Tra il blocco occidentale e quello orientale, la Jugoslavia scelse una terza via di non-allineamento dopo lo scontro di Tito con Stalin. In un certo senso era fuori dall’interesse dell’Europa occidentale contro l’Europa orientale.
Dopo l’unificazione della Germania, la caduta dell’Impero sovietico e l’integrazione dei Paesi dell’Europa orientale nell’Unione Europea, le narrazioni dei Paesi orientali sono entrate nella narrativa europea, precedentemente dominata dai Paesi occidentali. Ma l’esclusione dei Paesi post-jugoslavi è continuata, perché quando negli anni Novanta la Jugoslavia si disintegrò, presero il suo posto sette Stati nazionali.
Slovenia e Croazia fanno parte dell’Unione Europea, ma sono più interessate alla creazione di una memoria slovena e croata, piuttosto che alla promozione del ruolo dei partigiani jugoslavi nella Seconda Guerra Mondiale. La dimensione multinazionale dello spazio jugoslavo durante il periodo socialista - che fu qualcosa di unico in tutta Europa - non è attraente per le ideologie nazionaliste».
Leggi anche: XXVII. Capodanno da Tito
Qual è il rischio di perdere questa memoria?
Moll: «La memoria europea della resistenza contro il nazismo e il fascismo non sarà completa, se continueremo a ignorare l’importante capitolo del contributo jugoslavo alla nostra storia comune. I partigiani jugoslavi riuscirono a creare un vero e proprio esercito e a liberarsi da occupanti e collaborazionisti, anche grazie al sostegno dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti e del governo britannico.
Bisogna anche sottolineare i numerosi collegamenti con altri Paesi europei. Per esempio il governo britannico sostenne il movimento di resistenza. Migliaia di partigiani jugoslavi furono deportati nei campi di concentramento in Germania. I combattenti jugoslavi - che avevano preso parte alla guerra civile spagnola e che si erano trasferiti in Francia dopo il 1939 - entrarono a far parte del movimento di resistenza francese».
È possibile costruire una memoria storica condivisa a livello europeo, e non più solo nazionale?
Hašimbegović: «Sì, con il progetto ‘Wer ist Walter?’ vogliamo condividere e ampliare questa conoscenza tra gli storici e i professionisti museali europei. E vogliamo anche collocare la resistenza antifascista jugoslava durante la Seconda Guerra Mondiale nel suo contesto europeo».
Moll: «Penso che sia possibile lavorare su una narrazione europea, anche se non possiamo far finta che esistesse una resistenza europea unificata. In ogni caso, ci sono stati movimenti di resistenza in quasi tutti i Paesi europei ed è importante lavorare per evidenziarne differenze e somiglianze.
Quando lavoriamo sulla storia e sulla memoria europea, è importante non idealizzare il concetto di resistenza, perché ci sono zone grigie e aspetti problematici: a volte il confine tra Resistenza e collaborazionismo era labile, e anche i partigiani commisero crimini. Tutti questi aspetti vanno tenuti in considerazione, come stiamo cercando di fare con il nostro progetto, per offrire spunti per una visione europea della storia della resistenza al nazismo e al fascismo».
Leggi anche: S4E4. Jugoeuropa
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi il bancone di BarBalcani viaggia indietro nel tempo per scoprire cosa potevamo bere insieme a ‘Valter’ durante la resistenza contro il nazismo in Jugoslavia.
Hašimbegović: «Non conosco resoconti di Vladimir ‘Valter’ Perić che beve slivovica. Ma so per certo che la sua città natale, Prijepolje, è famosa per le prugne e ha una lunga tradizione nella produzione dell’acquavite a base di prugne. Non ho dubbi che ‘Valter’ abbia ereditato questa tradizione da casa!
Però recentemente mi sono imbattuta nell’episodio in cui Fitzroy MacClean, capo della missione britannica presso i partigiani jugoslavi nel 1943, scrisse del suo primo incontro con Tito al quartier generale di Jajce. La conversazione verteva sul sostegno britannico ai partigiani di Tito - unica vera forza che causava “notevoli disagi ai tedeschi, soprattutto in Bosnia” - e sul futuro del Paese alla fine della guerra.
La conversazione era molto fluida non solo perché entrambi parlavano correntemente tedesco e russo. Ma anche perché avevano bevuto un paio di bicchieri di slivovica».
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la nona tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
Se hai una proposta per scrivere un articolo, un’intervista o un reportage a tema balcanico, puoi inviarla a redazione@barbalcani.eu. I contributi esterni usciranno ogni ultimo venerdì del mese nella sezione dedicata BarBalcani - Open bar.
Il tuo sostegno è fondamentale per realizzare tutto ciò che hai letto. E per mantenere gratuita e per tutti la newsletter BarBalcani.
Un progetto indipendente come questo non può sopravvivere senza il supporto dei suoi lettori e lettrici. È per questo che ti chiedo di valutare la possibilità di fare una donazione:
Ogni secondo mercoledì del mese riceverai un articolo-podcast mensile sulle guerre nell’ex-Jugoslavia, per ripercorrere cosa stava accadendo nei Balcani di 30 anni fa, proprio in quel mese.
Un’anteprima di BarBalcani - Podcast puoi ascoltarla ogni mese su Spreaker e Spotify.