S4E20. Non è mai 'solo' una partita
Intervista a Gianni Galleri, autore del libro 'Balkan Football Club', su atmosfere, significato e ruolo del tifo calcistico. Tra curve calde, stadi abbandonati e anni di trasferte nei campi balcanici
Caro lettore, cara lettrice,
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“Il calcio è un passe-partout capace di aprire porte che altrimenti sarebbero non solo chiuse, ma sbarrate. Il segreto è banale, ma è molto importante: l’amore per una squadra e per questo gioco è lo stesso ovunque, e fra di noi ci si riconosce”.
Basterebbero queste poche righe per spiegare anche ai meno appassionati perché una partita di calcio non è mai ‘solo’ una partita di calcio. Dentro ci sono tanti vissuti, speranze, frustrazioni, fratellanze, appartenenze, identità. Tutto mischiato insieme, in 90 minuti di gioco e in altrettanti - ma anche di più - di cori e tifo.
Questo è quello che accomuna milioni di tifosi in tutto il mondo. Ma in alcune regioni più di altre parlare di calcio e di curve significa ragionare della storia, delle dinamiche sociali e delle sfumature più sfuggenti di un territorio. È questo quello che ha fatto per tanti anni l’ospite che oggi BarBalcani ha il piacere di accogliere.
Gianni Galleri, fondatore dei progetti Curva Est e Meridiano 13, ha raccolto le esperienze più suggestive vissute dentro e fuori gli stadi - di città e di provincia, di prima e di ultima categoria - della regione balcanica nel suo ultimo libro di reportage Balkan Football Club.
Un “viaggio rocambolesco alla ricerca di utopie e rigori sbagliati”. Che dall’Adriatico al Mar Nero, dal Danubio alla Drina, va alla ricerca di storie personali e collettive, di stereotipi da sfatare, di nuove lenti per leggere la realtà della regione.
Con uno stesso filo conduttore. Il calcio balcanico e i suoi tifosi.
Dieci anni di calcio e viaggi
«Intorno a Natale 2020 ricevo una mail di Mauro Daltin, direttore editoriale di Bottega Errante, in quelle poche righe iniziamo un discorso che poi sarebbe sfociato in questo libro». Esordisce così Galleri, raccontando a BarBalcani la nascita di Balkan Football Club.
Da pochi mesi (nel marzo dello stesso anno) era stato pubblicato Questo è il mio posto, il secondo libro di storie di storie, calcio, tifo e identità balcaniche dell’autore toscano dopo il paradigmatico Curva Est: «Aveva visto la luce mentre si pensava a tutt’altro e il suo passaggio sulla terra - e nelle librerie - è stato silenzioso e non si è fatto notare da nessuno».
Quello che sarebbe potuto essere un fattore demoralizzante si è rivelato invece una molla per ricominciare con una nuova avventura. Perché con il direttore editoriale di Bottega Errante «abbiamo iniziato a pensare che poteva esserci spazio per il calcio raccontato» anche nel catalogo della casa editrice con sede a Udine.
Se l’idea iniziale era quella di «unire Curva Est e Questo è il mio posto in un unico libro e farne una versione leggermente aggiornata», con il passare del tempo «abbiamo cambiato rotta e siamo ripartiti da zero, conservando però la struttura di fondo che aveva funzionato».
È così che in fondo si può dire che Balkan Football Club «è la chiusura del cerchio» aperto con Curva Est: «Gli ingredienti sono gli stessi, cambiano le dosi e, forse, nel corso del tempo ho anche imparato a cucinare meglio».
Per un resoconto così dettagliato - dalla fierezza dell’Hajduk Spalato alla decadenza del Vardar Skopje, dai drammi societari dell’Olimpija Ljubljana al carro armato sul piazzale dello stadio della Stella Rossa di Belgrado, fino alla complessa eredità del Trepča di Kosovska Mitrovica e all’odio non solo calcistico tra Velež e Zrinjski di Mostar - sono serviti «dieci anni di viaggi», rivela Galleri.
«Week-end, settimane intere, brevi incursioni in aereo, Pasque cattoliche trascorse nei Paesi ortodossi per evitare l’afflusso turistico». Difficile tenere il conto preciso, ma «ogni volta che c’era una scusa appena appena valida, prendevo un volo o mi mettevo alla guida».
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Così come sono stati infiniti i compagni di viaggio: «La mia ragazza, almeno quattro amici fidatissimi, di quelli che puoi portare a vedere la serie B slovena senza guastare i rapporti» - scherza, ma fino a un certo punto, l’autore di Balkan Football Club - «spesso ho anche viaggiato da solo».
E dopo dieci anni di viaggi, incontri, condivisioni di cori, bevute e domeniche allo stadio, riflessioni e pagine scritte, «se non parto con qualcuno, c’è sempre una persona o più che mi aspetta dall’altra parte, per una birra e due chiacchiere».
Capi-coro e stadi abbandonati
È quasi impossibile riassumere in poche battute così tante esperienze ed emozioni provate dentro e fuori decine di stadi - per questo c’è il libro. Ma uno sforzo di sintesi può dare un assaggio delle atmosfere calcistiche e non su e giù per l’intera penisola balcanica.
«A costo di passarci da vecchio romantico fuori dal tempo, uno dei momenti più emozionanti che ho vissuto è stato quando dopo qualche anno ho rivisto un amico a una partita», racconta Galleri. Si giocava nella provincia slovena, in un caldo torrido, «e ci siamo corsi incontro ed abbracciati, è bello quando una persona che fino a poco tempo fa era un perfetto sconosciuto dimostra tutta quella felicità nel rivederti».
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Un altro momento da ricordare è legato al richiamo alla preghiera del tramonto nella città vecchia di Ulcinj, in Montenegro: «Tutto si è ammutolito, con i canti che sembravano rispondersi da un minareto all’altro. Sembrava di trovarsi in un altro mondo, immobile e spirituale».
«Dopo aver citato il sacro, non posso che chiudere con il profano», continua l’autore di Balkan Football Club. La terza «indimenticabile» avventura è stata quando «un gruppo di ultras ha chiesto ai miei amici e a me di lanciare i cori per un’intera partita, perché l’allenatore degli avversari era italiano». Dopo aver accettato, sono seguite «due ore folli» con «tanta birra e un po’ di sana goliardia» in corpo.
C’è anche un’altra faccia della medaglia, come accade in ogni viaggio. «Ci sono sempre momenti molto deludenti, fanno parte dell’economia dell'avventura» e tutto sommato «servono a dare un vero valore a quelli belli».
Per Galleri questa delusione «tremenda» ha avuto luogo in uno dei punti più delicati di tutta la regione (e non solo per motivi calcistici). «Lo stadio di Mitrovica, un tempo catino incandescente della prima squadra kosovara nella massima divisione jugoslava, oggi è un rudere mezzo abbandonato, che forse non verrà neanche ristrutturato».
È ancora vivida la sensazione di abbandono, «con i ferri dell’armatura che uscivano dal cemento armato e, assolutamente fuori contesto, un tabellone segnapunti di almeno vent’anni più nuovo di tutto il resto, anch’esso lasciato lì a marcire».
Una chiara rappresentazione della «distanza fra la città e la propria squadra, di cui non sembra più fregare niente a nessuno». Nel mezzo di tensioni sociali e politiche tra Kosovo e Serbia, a Mitrovica «i tempi del calcio inteso come passione delle masse sembravano ancora più lontani».
Uno specchio della società
Il calcio non è mai solo calcio, così come il tifo non è mai solo tifo. Analizzarli e parlarne può aprire squarci enormi sulle società in questione.
Questo vale più o meno in tutto il mondo, ma soprattutto in una regione spesso molto complessa e delicata come quella balcanica. Come spiega Galleri, «il calcio a mio avviso può aiutare a comprendere alcune dinamiche». E se non tutte, «il vantaggio è che ti trovi in un ambiente molto meno mediato rispetto ad altri “salotti più ingessati”».
In altre parole, «tante volte la diffidenza che si ha di fronte a uno straniero scema quando vedi che ha le tue stesse reazioni sui gradoni di un campo sportivo». Senza dimenticare che «il tifo e le curve non sono un mondo a parte, ma funzionano esattamente come le realtà all'interno delle quali sono calate, a volte sono solo un po’ amplificate».
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Senza frequentare le curve delle province croate, serbe, montenegrine, bosniache, macedoni, kosovare, slovene, albanesi, bulgare e romene, molte sfumature e dinamiche di queste società possono rimanere un territorio sconosciuto e ignorato.
Per esempio «avrei fatto molta difficoltà a cogliere l’emergere del cosiddetto local-patriottismo in antitesi al nazionalismo di Belgrado e Zagabria», racconta ancora Galleri, parlando di un fenomeno «molto interessante, di cui credo sentiremo parlare in futuro e che rende la serba Subotica simile alla croata Osijek e anche alla costiera Rijeka».
Oltre al presente, le curve e gli stadi dei Paesi balcanici hanno qualcosa da raccontare anche del passato recente della regione. Chi più, chi meno.
«Il movimento ultras albanese ha una storia tutta sua e per quanto oggi abbia raggiunto in alcuni casi i livelli del resto della penisola, rimane comunque un movimento molto di nicchia e meno esemplificativo rispetto al Paese», conferma l’autore di Balkan Football Club: «Ha avuto un’evoluzione più recente e per questo meno politicizzata, perché meno legata all’esperienza socialista».
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Molto diverso è il discorso nei Paesi dell’ex-Jugoslavia, dove si può facilmente ritrovare «un vero e proprio rapporto fra spalti e società». Questo perché «il fenomeno ultras ha attraversato gli ultimi due decenni del secolo scorso, dove in qualche modo si è fatta la storia di quelle terre».
Nonostante il ruolo dei gruppi organizzati sia stato «spesso sovradimensionato per fini narrativi e giornalistici», è in ogni caso piuttosto evidente che «qualcosa è rimasto, anche guardando il linguaggio e i riferimenti».
Ci sono diversi esempi che mostrano questo legame tra simbologia e linguaggio utilizzati dagli ultras, e il loro rapporto con la società presente e passata dei Paesi che un tempo costituivano la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Il carro armato fuori dallo stadio della Stella Rossa, con il trattore che in risposta fu posizionato fuori dallo stadio Maksimir di Zagabria (evocando l’Operazione Tempesta del 1995). Le allusioni alle guerre degli anni Novanta nelle opere di street art delle tifoserie. La corsa ad accaparrarsi i luoghi simbolo, come «la Torcida dell’Hajduk e i BBB della Dinamo che concorrono a marcare il territorio di Vukovar o Knin». O ancora i riferimenti alla guerra in Kosovo «continuamente cantati dalle curve serbe».
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Secondo Galleri «questo in parte riflette anche un immobilismo della politica di questi luoghi e la continua ricerca di un passato dove le cose - se non migliori - erano senza dubbio ancora in divenire».
In ogni caso non bisogna dimenticare che, «come tutti i movimenti spontanei, quello ultras non è un monolite» ed esistono anche «voci minoritarie e discordanti» che devono essere ascoltate: «Sono un esempio il local-patrioti, ma anche alcune curve che portano avanti messaggi inclusivi e multietnici».
È questo l’inizio di un racconto onesto e vissuto in prima persona su ciò succede appena fuori il rettangolo verde nei Paesi balcanici, per opera di un appassionato, conoscitore, tifoso e autore di una preziosa raccolta di storie sul calcio, sul tifo e sulle curve di questa regione.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi il bancone di BarBalcani si trasferisce in uno degli innumerevoli stadi che costellano la penisola balcanica e che sono diventati un po’ casa per il nostro ospite.
«In una fredda mattina di ottobre, in una tesa partita inspiegabilmente messa alle 11 per motivi di ordine pubblico, una rakija aiuta a scaldarsi», ricorda Galleri.
Ma non c’è tempo per fermarsi, in curva questo è solo l’inizio. «Mentre i fumogeni colorano l’aria e il loro odore acre riempie le narici e fa un po' frizzare gli occhi», quello che ci vuole è «una bella sorsata di una birra proveniente da chissà dove, solo per bagnarci la gola, perché è il momento di cantare forte».
Seduto a una scrivania in Italia, «lontano dai Balcani e dai campi sportivi che mi fanno emozionare», è proprio «quello che mi piacerebbe adesso», confessa l’autore di Balkan Football Club. Immaginando la prossima trasferta, il prossimo stadio, la prossima curva da raccontare.
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Rimani all’erta, perché presto a BarBalcani annunceremo un appuntamento da non perdere in compagnia di Gianni Galleri.
Per farci raccontare ancora più dettagli sul suo “viaggio rocambolesco alla ricerca di utopie e rigori sbagliati”. E non solo.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la ventunesima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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