S2E13. FK Ultras Belgrado, ep. 2
Seconda tappa nel mondo del tifo organizzato di Stella Rossa e Partizan Belgrado: il centro di una ragnatela di rotte internazionali di cocaina e rapporti sommersi con la politica serba
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Abbiamo iniziato la scorsa settimana un approfondimento sul mondo ultras di Belgrado, con una panoramica sulla storia recente del tifo organizzato della capitale serba.
Senza perdere tempo, oggi andiamo ad approfondire il terreno criminale su cui si impostano le curve della Stella Rossa e del Partizan.
Come sempre in questi casi, la rivalità calcistica non ha niente a che fare con lo sport. Si tratta solo di un pretesto per dare sfogo agli istinti più violenti, o per sancire rapporti d’affari ben calcolati.
Una città per due
Una strada spacca a metà il centro di Belgrado. A nord di Cara Dušana è territorio della Stella Rossa. A sud è dominio del Partizan.
Il “derby eterno” si gioca anche fuori dal campo.
Gli isolati del nord-ovest della capitale serba sono tappezzati da murales rossi e bianchi di cetnici barbuti con armi al collo.
Appena messo piede sul marciapiede opposto, i muri dei quartieri meridionali sono invece segnati da teschi bianchi e neri, simbolo dei “macellai” delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Sono segni distintivi degli ultras per marcare il territorio nella città.
Non è sicuramente un fenomeno inedito, né in Europa né in giro per il mondo.
La rivalità calcistica viene utilizzata come modalità di creazione dell’identità di un gruppo e come fattore aggregante per gli individui.
Attraverso una psicologia primitiva, ci si contrappone (o si odia) qualcun altro per definire i contorni del proprio io e sentirsi parte di una comunità.
Lo sport è una delle leve più potenti di questo sentimento collettivo. E il calcio, per la sua popolarità, ne è uno dei paradigmi più riusciti sul piano dell’auto-esaltazione.
Nell’intreccio di fenomeni sociali che si creano in una città o in uno Stato, il passo è breve perché l’identità di gruppo si saldi con ideologie di natura non sportiva e si manifesti così il potenziale politico del tifo organizzato.
A Belgrado questo potenziale si è mostrato per la prima volta con le guerre nell’ex-Jusoglavia, come dicevamo la settimana scorsa (recupera qui La Deviazione della Curva).
Nel nuovo millennio le possibilità di influire sulla politica locale e nazionale si sono amplificate grazie alla conquista delle posizioni di vertice nei mercati illegali.
Ultras di giorno e criminali di notte.
Essendosi impadroniti della sicurezza dei night club, i capi-curva sono in grado di gestire la distribuzione della droga in città e rafforzare la propria autorità dentro e fuori gli stadi.
Una posizione di potere non fine a se stessa, ma che si riversa nelle strutture dei club.
La gestione delle società di calcio più affermate in Serbia - Stella Rossa e Partizan su tutti - avviene attraverso una sorta di azionariato popolare.
Tutti coloro che pagano una quota di iscrizione, tifosi e non, sono soci del club ed esprimono un voto in seno al consiglio societario per eleggere il presidente.
Tuttavia, la presenza di così tanti soci determina inevitabilmente il sorgere di organi che si auto-organizzano per controllare le elezioni. Gruppi che, guarda caso, rispondono ai capi-ultras.
È così che i politici in Serbia guardano con interesse alle dinamiche del tifo organizzato.
Sia perché muove le fila delle società sportive, sia perché determina il grado di violenza negli ambienti criminali del Paese.
Curva, armi e coca
Per comprendere fino a che punto siano diventati potenti gli ultras di Stella Rossa e Partizan bisogna uscire dai confini serbi.
A Kotor, paesino dell’entroterra adriatico del Montenegro, due clan mafiosi si contendono da anni il dominio del traffico internazionale di cocaina che attraversa i Balcani.
Da una parte il clan dei Kavač. Dall’altra, il clan degli Škaljari.
La rivalità di queste due famiglie mafiose montenegrine ha provocato oltre 150 vittime dal 2015. Soprattutto in Serbia, il vero terreno di scontro per il controllo del mercato della droga nella penisola.
Qui i gruppi ultras rappresentano il braccio armato dei clan per la distribuzione della cocaina e per l’eliminazione fisica dei rivali.
Dal Montenegro arriva la merce da smistare nei night club della capitale serba e le armi per garantirne la sicurezza.
A Belgrado i criminali-tifosi sono diventati interlocutori sempre più affidabili, che vedono il proprio giro di affari aumentare e le fila dei gruppi ingrossarsi.
L’affermazione dei Giannizzeri del Partizan è l’esempio più lampante.
La storia dei Janjicari - nome ripreso dalla guardia scelta del sultano ottomano tra il Trecento e l’Ottocento, costituita solo da ragazzi slavi catturati come schiavi oppure coscritti - inizia nel 2013.
È allora che il gruppo ultras guidato da Aleksandar Stanković si impose nella curva sud del Partizan Stadium e intraprese la propria ascesa nell’ambiente della sicurezza dei night club e della distribuzione della cocaina a Belgrado.
Subito si innestò un’alleanza con il clan montenegrino dei Kavač, per colpire le diramazioni serbe dei rivali degli Škaljari.
Il potere del capo-ultras Stanković continuò ad aumentare fino all’autunno del 2016, quando venne assassinato con 50 colpi di mitra da due uomini non identificati, a poche centinaia di metri dallo stadio.
Nemmeno il tempo di lavare via il sangue dall’Audi A6 di Stanković e già il governo guidato dall’allora premier Aleksandar Vučić prometteva guerra alla mafia.
Da subito la stampa si chiese il perché di una risposta così veemente alla morte di un capo-ultras, come se la capitale non avesse assistito in quegli anni a decine di altri omicidi violenti.
Non stupirà nemmeno un po’, ma le operazioni di polizia presero di mira solo gli Škaljari. I nemici dei Kavač, alleati dei Giannizzeri dell’ormai defunto Stanković.
I cui legami con le forze dell’ordine e con la politica gli sopravvissero.
Il rapporto più stretto era quello con Nenad Vučković, alto ufficiale di polizia e consigliere speciale delle forze di sicurezza.
Membro della brigata speciale d’elite dell’esercito fino al giugno 2016, da cinque anni è impiegato nella Gendarmerie antisommossa incaricata di mantenere l’ordine durante le partite di calcio e di combattere il crimine organizzato.
Vučković è stato fotografato abbracciato a Stanković qualche mese prima della sua morte. Recentemente è stato di nuovo pizzicato in curva, ma stavolta in compagnia del nuovo capo dei Giannizzeri: Veljko Belivuk.
Proprio Belivuk si trova al centro di una delle più importanti inchieste della storia recente serba, che potrebbe scoperchiare tutti i rapporti sommersi degli ultras-criminali di Belgrado.
Grazie alla tenacia del procuratore Saša Ivanić, all’alba del 4 febbraio scorso Belivuk, il suo braccio destro, Marko Miljković, e altri 15 membri del gruppo sono stati arrestati dalla polizia serba.
Tra i vari reati, anche cinque omicidi a sangue freddo di rivali nel mercato della droga e il possesso di armi nei locali del Partizan Stadium.
Ironia della sorte, dall’altra parte del confine il 3 febbraio la polizia montenegrina aveva impedito un attacco pianificato dal clan Škaljari che avrebbe dovuto portare alla liquidazione proprio di Belivuk e Miljković.
Non solo i due ultras si sono potuti salvare, ma anche l’inchiesta di Ivanić ne ha beneficiato.
Ora si possono cercare conferme sui legami con gli alti funzionari delle forze dell’ordine e della politica nazionale. Uno su tutti, quello con Dijana Hrkalović, ex-segretaria di Stato presso il ministero degli Interni.
Prima della fine del suo mandato nel maggio del 2019, Hrkalović avrebbe avuto alcuni incontri con Belivuk e avrebbe sfruttato la sua influenza in seno alla polizia per pilotare le operazioni anti-mafia solo contro i nemici dei Giannizzeri.
A mettere i due in contatto sarebbe stato Vučković, amico del capo-ultras e legato sentimentalmente con l’allora segretaria di Stato.
Al termine delle indagini preliminari, il 30 luglio gli indagati sono stati rinviati a giudizio per traffico di stupefacenti e di armi, omicidi e rapine a mano armata.
Nel corso degli interrogatori Belivuk ha negato ogni suo coinvolgimento negli omicidi, ma ha confessato di intrattenere da anni stretti rapporti anche con Vučić.
È bene ricordare che oggi Aleksandar Vučić è presidente della Repubblica.
Per esempio, il capo dei Giannizzeri ha affermato di aver garantito la sicurezza di un comizio del Partito Progressista Serbo (attualmente al governo) e del Pride di Belgrado (evento particolarmente delicato per gli attacchi dell’estrema destra), impedendo reazioni violente dei gruppi ultras.
Cosa avrebbe ricevuto in cambio, ancora non si sa. Ma è probabile una sorta di pax hooligans: nessuna violenza fuori dagli stadi, ma un occhio chiuso sui traffici criminali.
Mancano ancora molti tasselli, che i pubblici ministeri sperano di riuscire a ricostruire nel corso del processo.
Sta di fatto che il presidente Vučić rischia di non uscirne pulito, come da anni le inchieste giornalistiche denunciano.
Non c’è solo il figlio Danilo Vučić che si fa fotografare allo stadio con i leader dei Giannizzeri. Ma anche lo stesso capo di Stato è sospettato di non aver mai reciso il legame con il mondo ultras di cui si è sempre vantato di aver fatto parte da giovane.
Nel 2017 alcuni ultras furono ingaggiati per garantire la sicurezza della sua cerimonia di giuramento come presidente della Repubblica.
Oltretutto, Belivuk sostiene di averlo incontrato diverse volte negli ultimi anni, grazie alla mediazione di Aleksandar Vidojević.
Un altro tifoso-criminale della Sud del Partizan Stadium.
Un altro filo della ragnatela internazionale che fa capo al tifo più violento d’Europa.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Dopo aver fatto tappa la scorsa settimana al Red Star Brewery di Formby, passiamo oggi all’altra sponda di Belgrado.
Ma rimanendo sempre nel Regno Unito. Per la precisione a Sneinton, un sobborgo di Nottingham, dove lo scorso luglio è stato aperto il micropub Partizan Tavern.
L’iniziativa è stata di Tony Perkins, tifoso appassionato di Superliga serba e con un debole per il Partizan Belgrado.
E così, anziché comprare un biglietto per andare a vedere la partita allo stadio, ha fondato un pub e gli ha dedicato il nome.
Il Partizan Tavern non ha nessun rapporto di dipendenza con grandi marchi, presenta una vasta scelta di birre a rotazione e la libertà di andare a stringere accordi con fornitori da tutta Europa.
Anche dalla Serbia, per provare a legarsi ancora di più alla Sud del Partizan Stadium.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quattordicesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Ti segnalo queste vecchie tappe, se il tema calcistico ti appassiona (qui invece puoi trovarle tutte):
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