S2E9. Speravamo nel sole. Ha diluviato
Di ritorno dal vertice UE-Balcani Occidentali, un'analisi dietro le quinte del fiasco (non fallimento) dell'evento più importante per le prospettive di allargamento dell'Unione Europea nella regione
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Inizierò questa newsletter con le stesse parole con cui ho risposto al messaggio del mio capo a Eunews (Lorenzo Robustelli, mi sembra giusto citarlo) alla fine della lunga giornata di lavoro a Kranj, dopo il vertice UE-Balcani Occidentali.
Grazie mille per avermi fatto partire, è stata una figata pazzesca!
Già sai che grazie al supporto dei sottoscrittori di BarBalcani e della redazione in cui lavoro ho potuto assistere al più importante evento politico per le relazioni tra l’Unione Europea e i sei Paesi balcanici.
Ne parlavamo nella newsletter di sabato scorso, che ti invito a recuperare se avessi bisogno di un po’ di background.
Oggi ti voglio raccontare quello che è successo mercoledì, da un’angolazione del tutto personale.
Brevissimo punto sui fatti
Brevissimo punto sui fatti, perché in realtà oggi vorrei fornirti qualche analisi, commento e retroscena sulla giornata più importante per capire le prospettive di integrazione della regione nell’Unione Europea.
Per la cronaca degli eventi, qui ci sono i tre articoli per Eunews che inquadrano quanto accaduto tra la sera del 5 e il pomeriggio del 6 ottobre:
Se hai seguito i canali social di BarBalcani - in particolare Twitter e Instagram per le breaking news - saprai già qual è stato il clima a Kranj.
Politicamente, beh, poteva piovere.
Atmosfericamente, no, ha proprio diluviato.
Perché è stato un fiasco
Si dice che più alte sono le aspettative, più la caduta è rovinosa.
È il caso del vertice di Kranj.
Se lo presenti come la chiave di volta per l’allargamento dell’UE nella regione e poi non si rivela altro che un contenitore di cose già dette, non puoi non aspettarti critiche.
Ecco perché è stato un fiasco, ma non un fallimento. Doveva andare meglio, ma poteva andare peggio.
Mi spiego.
Dal vertice dovevano uscire tre elementi per essere considerato un successo:
Un’indicazione precisa sull’apertura dei negoziati di adesione di Albania e Macedonia del Nord;
Una data indicativa per il completamento dell’intero processo di allargamento dell’UE nei Balcani;
Una presa di posizione di tutti i Ventisette per un impegno irreversibile in questo processo.
Se te lo stessi chiedendo, nessuno dei tre alla fine ha trovato spazio nella Dichiarazione di Brdo (Brdo è il nome della località dove si trovano il castello e il centro congressi che sono stati il teatro del vertice, nei pressi della città di Kranj).
Però la parola enlargement (allargamento) è stata scritta in grassetto. E questo ci dice molte cose.
Per esempio che questa è stata l’unica conquista del premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša.
Da fonti del Consiglio UE sappiamo che lui voleva a tutti i costi inserire la data del 2030 come termine ultimo per completare l’allargamento nei Balcani.
Il vertice in Slovenia doveva essere il fiore all’occhiello del suo semestre di turno di presidenza del Consiglio dell’UE.
Dall’altra parte del tavolo si è trovato una serie di Paesi membri che volevano addirittura cancellare il termine allargamento, per sostituirlo con il meno impegnativo “prospettiva europea”.
Sembra un innocuo gioco di termini, ma nella sfera diplomatica avrebbe pesato come un macigno. Quello sì che sarebbe stato un fallimento.
Ma su questo ci ritorneremo più tardi.
Dicevamo. Da questo vertice Janša ne esce sicuramente con le ossa rotte, ma quantomeno è riuscito a metterci una pezza in extremis.
Ma la grande sconfitta a Kranj è la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.
Durante la conferenza stampa non ha quasi mai nemmeno abbozzato un sorriso, cosa che solitamente le riesce molto bene e con cui sarebbe in grado di provare a vendere dell’ajvar a un contadino macedone.
Su questo non ho avuto conferme dalle fonti dell’esecutivo UE, ma è davvero difficile non dedurlo dalla lettura del linguaggio del corpo: le due ore e mezza di summit sono state una doccia gelida per von der Leyen.
Anche perché la settimana prima si era presentata a Skopje e Tirana promettendo che i negoziati di adesione per la Macedonia del Nord e l’Albania inizieranno entro la fine del 2021.
Questa è la posizione della Commissione Europea: «Capisco perfettamente la vostra frustrazione», ha commentato rivolgendosi ai cittadini balcanici.
Ma va detto che è stata una promessa azzardata, perché non si capisce come in soli tre mesi si potrebbe riuscire a togliere il veto della Bulgaria sull’avvio dei negoziati con la Macedonia del Nord (che a sua volta sta bloccando l’Albania).
A maggior ragione con una situazione politica nei due maggiori Paesi membri tutt’altro che solida.
La Germania - la potenza che si è fatta carico in tutti questi anni di portare avanti l’integrazione dei Balcani attraverso il Processo di Berlino - è nel pieno della formazione del primo governo post-Merkel. Diciamo che ha altro a cui pensare.
La Francia - la potenza che non si è mai mostrata entusiasta di aprire l’UE a nuovi membri - è in campagna elettorale per le presidenziali del 2022. Sarebbe insensato aspettarsi cambi di rotta improvvisi.
Sul casus belli - il veto della Bulgaria - recentemente non c’è stato nessun segno di apertura, anzi. Questo è un dato di fatto e la scusa perfetta per chi non può o non vuole spingere sul processo di allargamento dell’UE.
Con gli altri giornalisti a Kranj ci siamo immaginati (verosimilmente) von der Leyen presentarsi al tavolo del summit con la richiesta di inserire la data del 31 dicembre 2021 e i leader europei risponderle «ma anche no, grazie». Fine del discorso.
Perfino la cancelliera tedesca uscente, Angela Merkel, la grande spalla e mentore della presidente della Commissione UE (tedesca anche lei), ha puntualizzato davanti alla stampa che «le prospettive temporali non sono una buona cosa».
Ora l’espressione rassegnata si spiega, non è vero?
Perché non è stato un fallimento
Quello di mercoledì è stato un fiasco, ma non un fallimento.
Non che da questo punto di osservazione la situazione sia più gradevole, ma almeno non si possono analizzare le nuove prospettive del processo di adesione dei Balcani all’UE con più lucidità.
Prima di tutto, chi è il grande burattinaio dietro questi mancati progressi?
Un blocco di Paesi che fanno capo a Parigi.
Non è una novità per chi osserva questo processo da anni. Nel biennio 2018/19 la Francia - insieme a Paesi Bassi e Danimarca - aveva messo per tre volte il veto sull’avvio dei negoziati con l’Albania (in quel caso bloccando la Macedonia del Nord).
Ma parlando con alcune fonti diplomatiche al vertice, ho avuto l’impressione che ci troviamo di fronte a una nuova fase per la potenza francese.
A prescindere dal governo in carica, l’apparato di uno Stato ragiona con un pensiero strategico che deve coprire almeno l’arco di un decennio.
Parigi sa perfettamente che se aprisse ora ai Sei balcanici, nel 2030 si troverebbe con un blocco quasi compatto che in seno al Consiglio UE sarebbe allineato a Germania e Italia, i principali investitori economici e diplomatici nella regione.
Senza considerare le implicazioni sul piano della redistribuzione del budget per la coesione territoriale, i francesi rischiano di azzopparsi da soli. Per questo non sono mai stati troppo favorevoli ad allargare ulteriormente l’Unione.
Ma nel momento in cui sta cercando di ritagliarsi il ruolo di prima della classe tra i Ventisette (complice anche il momento di assestamento fisiologico della Germania), è ora che il presidente Emmanuel Macron e chiunque verrà dopo di lui decidano cosa vuole fare da grande la Francia.
Sta per scadere il tempo del “aspettiamo le riforme nei Balcani” e del “il problema è il veto della Bulgaria”. Dall’unico Paese membro UE con un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ci si aspetta determinazione: o è sì, o è no.
Sempre con il linguaggio ammorbidito della diplomazia, ma comunque con un’assunzione di responsabilità, qualsiasi cosa implichi la scelta.
Aprire le discussioni sul superamento del sistema di veto in Consiglio, nella prospettiva più rosea. Oppure lasciare la regione in balia degli interessi politico-economico di Russia e Cina, nel peggiore dei casi.
Insomma, questo fiasco ha contribuito a mettere Parigi con le spalle al muro: un disimpegno in stile “prospettiva europea” sarebbe stato molto più comodo.
Si può ripartire da qui.
Poi c’è l’Italia, che ha la sua da dire su questo tema.
Di conferme ne ho avute diverse e tutte hanno anche rivelato un certo fastidio nell’atteggiamento francese.
Sempre nei limiti del “diplomatichese” e della consapevolezza che anche all’interno dell’Unione ogni Stato gioca la sua partita.
Considerate le consolidate relazioni di Roma con tutti i Paesi della regione, ma in particolare con l’Albania, qual è la nostra posizione?
Prima di tutto, l’Italia non ha mai smesso di spingere sul processo di allargamento nei Balcani e rimane uno dei Paesi membri che pesano di più in questo senso.
Ma il concetto-chiave è il rispetto delle condizioni richieste e delle procedure.
Il caso del pacchetto Albania+Macedonia del Nord per l’avvio dei negoziati di adesione UE è emblematico.
Ci si può legittimamente chiedere perché Tirana dovrebbe rimanere «ostaggio» (citando il premier albanese, Edi Rama) di un veto che non la riguarda, se ha già soddisfatto tutte le richieste europee.
Insomma, perché non spacchettare e far partire subito l’Albania e poi, quando succederà, anche la Macedonia del Nord?
Piaccia o non piaccia, per «una questione di coerenza», come mi ha riferito una delle voci più attendibili che potessi incontrare a Kranj.
Come abbiamo visto prima, fino al Consiglio UE del marzo 2020 il problema era al contrario: la Macedonia del Nord era pronta per cominciare, ma era ostaggio del veto franco-danese-olandese nei confronti dell’Albania.
Allora l’Italia decise che era prioritario mandare un messaggio chiaro alla regione: si va avanti tutti insieme e ci si può fidare delle promesse di Bruxelles. Lasciare indietro qualcuno avrebbe potuto causare frustrazioni e un’ondata di proteste anti-UE.
A un anno e mezzo di distanza, e con la situazione ribaltata, l’Italia vuole che i partner possano fare affidamento su una posizione «seria».
Insomma, non rimangiarsi dopo poco tempo le valutazioni fatte in precedenza. A questo livello non valgono le logiche politiche a cui siamo abituati quotidianamente.
C’è da chiedersi però, con la frustrazione che comunque sta iniziando ad aumentare in entrambi i Paesi, se non sia il caso di ripensare se è ancora l’approccio più positivo. Se non stiamo rischiando di incancrenirci su questa convinzione.
Un altro spunto che può scaturire dal non-fallimento del vertice di Kranj.
Perché si poteva fare meglio
In conclusione, in tutto questo trambusto europeo, come la pensano i partner balcanici?
Sono convinto che basti il secco commento di una giornalista macedone con cui ho condiviso il viaggio di ritorno in autobus verso Lubiana, alla fine della giornata:
«Sono delusa».
Delusa. Non arrabbiata, non frustrata, non demoralizzata. Delusa.
Per l’incapacità dei Paesi europei di fare ordine all’interno dell’Unione, prima di fare promesse all’esterno. Di mantenere quelle stesse promesse, una volta che le richieste sono state rispettate. Di andare oltre le parole e i soldi stanziati.
Di tenere in bilico per non si capisce quale ragione sei Paesi.
Che se ci pensi, dopo anni a parlare di Brexit, ci sono milioni di cittadini che fremono per entrare nell’Unione Europea: potrebbe e dovrebbe essere il nostro nuovo inizio.
«Abbiamo aspettato 27 anni per entrare nella NATO, a causa del veto della Grecia. Dal riconoscimento del nostro status di Paese candidato all’adesione UE sono passati 16 anni e il veto della Bulgaria mi sembra un film già visto», mi dice Tamara.
Lei, come la stragrande maggioranza dei suoi connazionali, è delusa e non sa fino a quando in Macedonia del Nord prevarrà un sentimento di fiducia verso Bruxelles.
Può solo confermare che «ormai siamo abituati ad aspettare e portare pazienza», ma anche che stavolta c’è il rischio che russi e cinesi si mostrino più convincenti: «Arrivano con i soldi, non con le promesse politiche, e alla lunga qualcuno ci casca».
Prima di salutarci, la collega macedone fa un’ultima battuta, che ha il retrogusto un po’ amaro: «Vedi, la mia generazione ha assistito all’ingresso nella NATO. Probabilmente toccherà alla prossima vedere la Macedonia del Nord aderire all’Unione Europea!»
L’ultimo spunto di riflessione, più che per noi, dovrebbe essere per chi prende le decisioni a livello politico comunitario.
Dopotutto, stiamo parlando di cittadini europei, che «condividono il nostro stesso destino», ha sottolineato la presidente von der Leyen.
Nel prossimo vertice UE-Balcani Occidentali - che secondo le ultime indiscrezioni si terrà nel 2022 in Repubblica Ceca - meriterebbero un po’ più di considerazione.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Che tu ci creda o no, anche la presidenza di turno slovena del Consiglio dell’UE ha pensato di portare un omaggio al bancone di BarBalcani.
Nel pacchetto di benvenuto al vertice UE-Balcani Occidentali abbiamo ricevuto Il libro delle ricette della Presidenza slovena, per poter replicare zuppe di prugna, matevž (fagioli e patate) con costine, štruklji (involti al formaggio) e “l’ambasciatrice nazionale”: la potica, il dolce tipico sloveno.
Ma ti avevo anche promesso che stavolta sarei stato io a consigliarti qualcosa.
Allora ecco uno schnapps alle noci fatto in casa, arrivato direttamente da Lubiana.
Lo schnapps è la bevanda nazionale della Slovenia ed è stretto parente della rakija. È un distillato di frutta e la variante che ti consiglio oggi può assomigliare al nostro nocino.
Per produrre lo schnapps, bisogna far fermentare la frutta schiacciata in barili (gli zuccheri della frutta si trasformano in alcool) e mettere poi a bollire il mosto.
Come in tutti i processi di distillazione, il vapore deve essere catturato in un alambicco, per purificarlo e liquefarlo.
Il primo distillato deve essere buttato, perché si tratta di alcool velenoso. Con la seconda distillazione si arriva invece al prodotto desiderato, con una percentuale alcolica tra i 20 e il 40%.
Na zdravje!
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la decima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
Appena tornato dalla Slovenia, già non vedo l’ora di poter ripartire per raccontarti nuovi eventi dal luogo in cui stanno accadendo.
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Qui puoi trovare tutte le tappe passate.