S4E12. I Balcani stanno scomparendo
Intervista a Francesco Ronchi, autore del saggio "La scomparsa dei Balcani". Etno-nazionalismo, crisi demografica e questione serba: perché bisogna interessarsi a ciò che sta succedendo nella regione
Caro lettore, cara lettrice,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
C’è una voragine nel cuore del continente europeo. Un’intera regione che appartiene a tutti gli effetti all’Europa, ma che è cancellata dalle mappe dell’Unione Europea.
“«Confine» dice il cartello. Non si vede oltre la frontiera ombra di terra straniera. D’improvviso, un precipizio. Al posto dell’ex Jugoslavia, una voragine, un cratere senza fine, un buco nero. I Balcani non ci sono più.
Nel romanzo ‘La Zattera di Pietra’, lo scrittore José Saramago immagina che i Pirenei un giorno si spacchino, trasformando la penisola iberica in una zattera alla deriva nell’Oceano Atlantico.
Negli ultimi decenni qualcosa di simile è accaduto ai Balcani. Ma, a differenza del destino immaginato da Saramago per la penisola iberica, essi non si sono staccati dall’Europa per diventare isola. I Balcani sono scomparsi”.
Così riassume Francesco Ronchi, nel suo saggio La scomparsa dei Balcani, la complessa realtà dei problemi che hanno travolto la regione balcanica nel nuovo millennio.
Etno-nazionalismo, pace senza pacificazione, crisi demografica, ‘questione serba’, infiltrazioni russe e cinesi, autoritarismo, fragilità dei sistemi democratici, rischio di disillusione nel processo di adesione all’Unione Europea.
In occasione dell’evento di presentazione del saggio a Bruxelles (presso Piolalibri) lo scorso 22 gennaio, Ronchi ha conversato con BarBalcani, insieme all’eurodeputata e presidente della delegazione al comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione Ue-Serbia, Alessandra Moretti.
Per cercare di rispondere alle domande più urgenti sui rischi che corre l’Europa intera se i Balcani “scompaiono” definitivamente, ma anche sulla necessità di riempire quella voragine nel cuore del continente.
La scomparsa dei Balcani
Come ti sei accorto della “scomparsa” dei Balcani? E quali sono le ragioni che la stanno determinando?
«Il libro nasce da un senso di urgenza rispetto alla situazione nei Balcani. L’Europa rischia di perderli e di consegnarli al nazionalismo e all’autoritarismo.
Assistiamo a un ritorno del nazionalismo soprattutto in Bosnia ed Erzegovina - oggi minacciata dal secessionismo etnicista serbo - e in Serbia, dove le istituzioni e pezzi interi di società ancora coltivano sogni di riconquista del Kosovo.
E preoccupa la nuova vampata di violenza che attraversa la regione. In Serbia vediamo un indurimento verso gli oppositori e si riaffaccia sulla regione lo spettro del conflitto armato. Nel dicembre del 2022 la Serbia ha ammassato le sue truppe alla frontiera del Kosovo, e nel settembre del 2023 milizie paramilitari serbe sono state intercettate nel nord del Kosovo.
Tutto questo impasta in una cultura della violenza e dell’odio che ha portato nella Repubblica Serba di Bosnia, per esempio, a rimettere in discussione il genocidio di Srebrenica e a glorificare criminali di guerra.
Questa miscela è pericolosa e non comprendo come di fronte a tali tendenze i Balcani siano sostanzialmente scomparsi dal dibattito pubblico europeo. Questo libro è un contributo per riportare i Balcani al centro delle discussioni».
Leggi anche: S3E19. Perché i Balcani si chiamano Balcani
L’elemento nazionalista
Il nazionalismo nella regione si basa su un costante ritorno al passato, ma soprattutto si lega all’elemento etnico. Perché è così difficile uscire da una retorica basata sull’ethnos?
«L’odio nazionalista non è una prerogativa dei Balcani. Anche l’Italia ha conosciuto l’odio etnico e ideologico.
Ho scelto di iniziare il mio tour di presentazione del libro dalla Bassa Modenese, dove ho incontrato gli ultimi testimoni delle violenze - a volte mostruose - avvenute nel lungo secondo dopoguerra. A quasi 80 anni dalla conclusione di quella stagione di violenza, resiste ancora fra i familiari e i testimoni un fondo di odio.
Ma, a differenza dei Balcani, in Italia la politica del dopoguerra è stata capace di calmare l’odio e di capire che era giunto il momento di fermarsi. Nei Balcani i traumi del passato sono invece sistematicamente amplificati dalla classe politica che li alimenta e ne fa fondo di commercio.
Gli stessi protagonisti e autori degli atti di odio etnico fanno ancora politica rivendicando con fierezza il loro passato. La persistenza del nazionalismo nei Balcani è una coazione a ripetere alimentata dalla politica».
Leggi anche: S3E9. La leggenda degli Spomenik fraterni
Nonostante una pace senza pacificazione dopo gli anni Novanta, la guerra non scoppia. Ma che implicazioni ha per la regione e per il resto d’Europa il continuo paventare la minaccia di un nuovo conflitto?
«Se nei Balcani la guerra non scoppia non è per mancanza di volontà ideologica ma piuttosto per sfinimento. La regione è impoverita, svuotata demograficamente e manca un esercito egemone come invece fu negli anni Novanta quello jugoslavo monopolizzato dai serbi.
La pace resiste insomma più per stanchezza che per adesione. Ma questa ritrosia ad abbracciare la pace come scelta consapevole ha preservato il potere incantatorio della guerra, la cui minaccia continua a essere agitata nella politica e nella società.
Il nuovo quadro internazionale e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno poi reso la situazione della regione ancora più problematica».
La ‘questione serba’
Il cuore di questo discorso è nella “questione serba”, che rischia di destabilizzare tutta la regione. In cosa consiste questa radice comune?
«Il cuore della “questione serba” sta nell’incapacità di pezzi importanti della politica e della società serba nel fare i conti con l’eredità mortifera degli anni Novanta.
Manca all’appello in Serbia una coscienza critica collettiva che sappia guardare in profondità al passato, senza rimuovere ma anzi ricercando le radici della colpa che sono nel nazionalismo e nel culto della violenza.
La tentazione nazionalista e il ritorno della violenza, assieme a una corruzione dirompente, sono gli ingredienti di un nuovo modello autoritario che si è affermato in Serbia e nella Repubblica Serba in Bosnia, ma che si dipana anche in Montenegro e nel nord del Kosovo, minacciando la stabilità della regione».
Leggi anche: S4E5. Dobbiamo parlare di Kosovo e Serbia. Con Drake
Russia e Cina hanno due strategie diverse di infiltrazione nella regione, ma offrono lo stesso sostegno al ‘mondo serbo’. Quanto bisogna preoccuparsi della loro presenza e di un possibile disincanto verso l’Unione Europea?
«La Russia si muove nella regione come un guastafeste e punta chiaramente a destabilizzare gli equilibri politici sobillando i serbi in Kosovo e in Bosnia. La Cina ha una strategia più discreta che fornisce finanziamenti senza condizioni e tecnologie per la sicurezza oltre a prodotti a basso costo.
In questo quadro, però, ciò che preoccupa più che la forza della Russia è la debolezza dell’Europa. L’Unione Europea costituisce di gran lunga il primo partner commerciale della regione e il riferimento culturale e geografico. Eppure, nonostante questo, la nostra influenza politica non è allo stesso livello del nostro peso economico e culturale.
È necessario un nuovo approccio alla regione che si concentri sulle dinamiche politiche, che sfidi l’autoritarismo e il nazionalismo e costruisca un rapporto privilegiato con le forze che vogliono il cambiamento».
Leggi anche: S4E9. Siamo a un punto di non ritorno
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi il bancone di BarBalcani ospita l’autore di La scomparsa dei Balcani che, tra i suoi numerosi viaggi nella regione, ha potuto raccogliere diversi consigli su prodotti imperdibili. Che non stanno affatto scomparendo.
«Consiglio di bere un vino rosso montenegrino, il Vranac. Un uvaggio senza pretese ma con una buona struttura, “calda”, rotonda, con un fondo che ricorda i frutti rossi della montagne montenegrine. La dolcezza e amabilità vengono dai venti caldi del Mediterraneo che si insinuano fra le montagne a tratti lunari di quella regione.
In particolare consiglio il Vranac della tenuta Plantaže, una grande impresa statale creata dalla Jugoslavia. I suoi hangar sono stati bombardati nel 1999 dalla Nato e recentemente il suo management è stato colpito da uno scandalo di corruzione. Una storia davvero balcanica.
Quando vado a Podgorica, in Montenegro, mi fermo sempre da Pod Vol, un ristorante popolare e tradizionale dove con pochi euro si mangia buona carne. Mi accompagna sempre una bottiglia di Vranac.
Il mio libro è stato pensato e in parte scritto proprio su quei tavoli».
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la tredicesima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
Se hai una proposta per scrivere un articolo, un’intervista o un reportage a tema balcanico, puoi inviarla a redazione@barbalcani.eu. I contributi esterni saranno pubblicati nella sezione dedicata Open bar.
Il sostegno di chi ogni giorno - leggendo e condividendo - dà forza a questo progetto è fondamentale anche per mantenere gratuita e per tutti la newsletter BarBalcani.
Perché dietro un prodotto sempre più originale c’è un sacco di lavoro nascosto, per sviluppare nuove idee, interviste e collaborazioni. Che può essere reso possibile anche grazie al tuo supporto.
Ogni secondo mercoledì del mese riceverai un articolo-podcast mensile sulle guerre nell’ex-Jugoslavia, per ripercorrere cosa stava accadendo nei Balcani di 30 anni fa, proprio in quel mese.
Puoi ascoltare l’anteprima di Le guerre in Jugoslavia ogni mese su Spreaker e Spotify.
Se non vuoi più ricevere qualcuna tra le newsletter di BarBalcani (quella bisettimanale in italiano e inglese, i contributi esterni di Open Bar, il podcast mensile Le guerre in Jugoslavia per gli abbonati), puoi gestire le tue preferenze su Account settings.
Non c’è più bisogno di disiscriversi da tutto, se pensi di ricevere troppe mail da BarBalcani. Scegli i prodotti che preferisci!