S3E3. Combattere le discriminazioni a voce alta
Intervista a Maja Sever, prima giornalista a capo della Federazione Europea (EFJ). Da reporter di guerra nella Croazia degli anni Novanta a faro per la parità di genere in tutto il continente
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
Cosa significa diventare la prima professionista a rivestire un ruolo di vertice in una federazione di organizzazioni professionali europee?
Cosa significa muovere i primi passi nel mondo del giornalismo quando il tuo Paese viene travolto da una guerra fratricida, la prima che insanguina il continente dopo decenni di pace?
E soprattutto, come si cambia una realtà che, nonostante le tutele e i diritti sulla carta, sembra tornare a remare contro la libertà di espressione e che continua ad approfondire le discriminazioni di genere?
La risposta può essere diversa per ciascuno di noi. Ma oggi possiamo accogliere un’ospite che a tutte queste domande ha cercato di dare una risposta con il proprio esempio personale e professionale.
Maja Sever, presidente del Sindacato dei giornalisti croati (TUCJ) e dal 14 giugno 2022 anche presidente della Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ).
Questo non è solo un lavoro
Maja, come hai iniziato a lavorare come giornalista?
«Ho iniziato al Terzo programma della televisione croata, principalmente in programmi per bambini e ragazzi.
Quando è iniziata la guerra, tutto si è fermato, compreso il programma per cui lavoravo. Sono stata trasferita al telegiornale come reporter di guerra.
Nel frattempo ho terminato gli studi di giornalismo e dopo la guerra sono rimasta al notiziario quotidiano».
Com’era lavorare in Croazia dopo l’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia?
«Prima della guerra non avevo una vera esperienza giornalistica, ero al secondo anno di giornalismo e lavoravo part-time.
È difficile essere reporter di guerra, soprattutto nel proprio Paese. Spesso mi capitava di conoscere le persone che riprendevo per i miei reportage, frequentavamo la stessa scuola o eravamo dello stesso quartiere. A quel tempo, eravamo tutti nel mezzo di una guerra sanguinosa.
Abbiamo assistito alla separazione di famiglie che conoscevamo da una vita, alla rottura di amicizie con cui eravamo cresciuti.
La guerra è terribile. Speravo che non sarebbe mai più accaduto nulla di simile e credo che la maggior parte delle persone nel mio Paese abbia pensato “Oh mio Dio, non di nuovo” la mattina dell’attacco all’Ucraina».
Cosa rappresenta per te questo lavoro?
«Per me il giornalismo è sicuramente molto più di un semplice lavoro. Penso che il giornalismo sia un modo per mettere in evidenza i problemi.
Il nostro lavoro può cambiare le cose in meglio. Il giornalismo come bene pubblico è il motivo per cui amo così tanto questo lavoro, è il più bello del mondo».
La lotta per la libertà di stampa
Com’era la situazione della libertà di stampa nei Balcani negli anni Novanta?
«Il Paese era nel mezzo di un conflitto armato, è difficile parlare di libertà dei media in quel periodo.
Tuttavia, se vogliamo fare un confronto con la situazione di oggi, non si può dire che non ci fosse spazio per la libertà. A quei tempi veniva pubblicato Feral Tribune, un giornale di satira tagliente e con articoli critici. Le pressioni e la censura erano forti, ma c’erano molti colleghi coraggiosi e liberi».
E oggi?
«Oggi i giornalisti sono esausti. Non vedo una seria volontà politica di rafforzare la libertà e il pluralismo dei media. Con il passare degli anni, per i giornalisti diventa sempre più difficile lavorare, la loro resistenza si sta indebolendo.
Dopo tutto, però, la Croazia è un membro dell’Unione Europea e la situazione è stabile. Ma molti altri Paesi della regione sono ancora solo candidati all’adesione all’UE. La situazione della libertà dei media in questi Paesi è più problematica».
Quali sono gli effetti della politica di allargamento dell’UE (con le sue difficoltà) sul giornalismo nei Balcani Occidentali?
«Da quando sono entrate nell’Unione, Croazia e Slovenia sono obbligate a rispettare le leggi e le direttive dell’UE, abbiamo a disposizione i fondi dell’Unione Europea.
Un collega alla Conferenza sulla Libertà dei Media Europei 2022 di Danzica ha detto che i meccanismi e i sistemi di protezione della libertà del giornalismo sono facili da applicare nei Paesi in cui c’è una volontà politica e un quadro solido.
Ma temo che tutto ciò per noi sia ancora solo una lista di desideri. C’è ancora molto da fare per garantire una protezione sistematica della libertà dei media».
L’UE sarà in grado di stabilire uno standard per la protezione dei giornalisti in tutta Europa?
«Sostengo l'idea dell’European Media Freedom Act. Penso che sia necessario e che abbia identificato molte questioni chiave su cui l’UE e gli Stati membri devono agire con urgenza per proteggere la libertà dei media.
Tuttavia, se si vuole che l’European Media Freedom Act sia efficace nella lotta per il pluralismo dei media, la protezione dei diritti dei giornalisti e la garanzia dell’indipendenza editoriale dall’influenza di interessi commerciali e politici, si dovrebbero rafforzare gli sforzi per aumentare la trasparenza della proprietà dei media con regole chiare, invece di raccomandazioni legali non vincolanti.
Inoltre, si dovrebbero introdurre norme per regolare tutte le relazioni finanziarie tra lo Stato e i media e rimuovere la limitazione della trasparenza della pubblicità di Stato per più di un milione di abitanti.
Si dovrebbe garantire l’indipendenza delle autorità di regolamentazione nazionali, così come l’indipendenza dell’European Media Services Board. Le misure contro la sorveglianza dei giornalisti dovrebbero essere ampliate e dovrebbe essere fornita una garanzia generale per la protezione delle fonti».
Rompere il soffitto di cristallo
Cosa significa essere la prima donna giornalista a capo dell’EFJ?
«Credo che questo sia un messaggio importante. Anche nel nostro settore professionale le donne sono pagate meno degli uomini a parità di lavoro, siamo più spesso esposte ad attacchi, è più difficile per noi raggiungere un equilibrio tra vita privata e lavorativa.
Ma non credo che l’elezione di una donna a questa carica non sia avvenuta prima per qualche cattiva intenzione. La nostra organizzazione si occupa intensamente da anni dei problemi della parità di genere nei media e della protezione delle giornaliste».
È una questione che però riguarda la maggior parte delle redazioni nazionali e locali in Europa. Perché questa discriminazione continua?
«Onestamente, mi è difficile capire perché qualcuno sia pagato meno per fare lo stesso lavoro, e questo qualcuno è molto spesso una donna. Non riesco a trovare alcuna spiegazione o logica.
Ad esempio, diverse ricerche mostrano che le lavoratrici con studi post-laurea hanno stipendi inferiori del 26% rispetto agli uomini con lo stesso livello di istruzione. E con gli anni di esperienza lavorativa il divario nei guadagni mensili aumenta, invece di diminuire.
Allo stesso tempo, la quota di donne altamente istruite è in costante aumento, superando gli uomini anche nella nostra società. Tuttavia, non riusciamo ancora a superare il divario di genere o a rompere il soffitto di cristallo.
Questa situazione è preoccupante, ma anche motivante. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di accettare questo ruolo».
Come intendi combattere la discriminazione di genere nel settore dei media?
«Ad alta voce, naturalmente! E in modo sistematico. Nell’EFJ abbiamo formato un gruppo di esperti per le questioni di genere e ci stiamo battendo a più livelli, partecipando a tutte le discussioni che riguardano questi temi. Stiamo costruendo una rete di sostegno, scambio di esperienze ed esempi di buone pratiche tra le organizzazioni associate.
Personalmente, sono pronta a lottare contro ogni singolo caso di discriminazione e a sostenere le giornaliste contro le molestie e le pressioni fisiche e psicologiche.
L’EFJ sta lavorando seriamente e sistematicamente per costruire un sistema di protezione dei giornalisti. Attualmente stiamo realizzando un importante Progetto Safety4journalist per rafforzare le nostre organizzazioni, educare e mettere in contatto i nostri colleghi in tutta Europa».
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Con la nostra ospite ci sediamo al bancone di BarBalcani, che per l’occasione si è trasferito in una delle più interessanti realtà di Zagabria.
Pivovara Medvedgrad è il più grande birrificio artigianale della Croazia, che dal 1994 produce lager naturali in modo tradizionale.
Il nome deriva da un’antica tradizione bavarese che prevedeva di prendere il nome della città fortificata medievale più vicina: nel caso di Zagabria è Medvedgrad, che domina la città dal monte Medvednica.
La cantina di fermentazione ha una capacità di immagazzinamento di 350 mila litri di birra e la linea di imbottigliamento può riempire 5 mila bottiglie in un'ora.
Le attrezzature sono auto-prodotte grazie al supporto di un team di ingegneri e i mastri birrai si sono formati al Czech Beer Institute.
La specialità della casa è la Pale Lager, ma la varietà è enorme. Perché «crediamo che la birra preferita di ogni persona si nasconda nella sua diversità!»
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la quarta tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Qui puoi trovare tutte le tappe passate.
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