XXXVII. L'otto marzo, lotto ogni giorno
Focus su (dis)parità e violenza di genere nei Balcani, in vista della Giornata internazionale dei diritti della donna. Sara Latorre interviene sull'attivismo femminista nella penisola
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali nel 30° anniversario dalle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Siamo in vista della Giornata internazionale dei diritti della donna.
E noi - come ogni 8 marzo, come ogni giorno - ci schieriamo con decisione per ribadire che non ci sarà veramente libertà finché non avremo tutti e tutte pari opportunità e diritti.
Finché non saranno riconosciuti e risolti gli squilibri economici, politici, sociali e culturali tra uomini e donne.
Finché non saranno abbattute le discriminazioni sulla base del genere e condannate le violenze domestiche e pubbliche nei confronti delle donne.
Finché non raggiungeremo la parità di genere.
Ovunque nel mondo. Anche sui Balcani.
Una breve panoramica
Oggi affrontiamo la questione della - non ancora raggiunta - parità di genere sui Balcani dal fronte economico e sociale.
Per un’analisi dell’aspetto politico, ti rimando alla 6ª tappa, Empowering women (i dati sono aggiornati al 1° agosto 2020).
La disuguaglianza economica è probabilmente uno dei primi aspetti da dover considerare, dal momento in cui influenza la vita di tutti i giorni di ognuno di noi.
Dall’auto-realizzazione all’autonomia personale, dalla gestione del proprio tempo alla giustizia sociale.
Partendo dal presupposto che sono più le ragazze (62%) dei ragazzi (52%) a intraprendere il percorso universitario (dati UNPD 2017), risaltano in negativo due fattori.
Primo, nei Balcani occidentali a parità di impiego una donna guadagna due terzi del salario di un uomo: per un lavoro da 1.500 euro al mese, una lavoratrice riceve invece un contratto da 1.000 euro.
Secondo, in meno di un’azienda su cinque le donne siedono al tavolo dei top manager.
C’è poi una problematica enorme di partecipazione al mercato del lavoro: se la quota maschile non scende in nessun Paese sotto il 57 per cento, quella femminile non arriva nemmeno a una lavoratrice ogni due donne (Albania e Serbia al 45%).
Una causa evidente dal punto di vista socio-culturale è la concezione tradizionalista e patriarcale della famiglia, con la moglie che è “angelo del focolare domestico”.
In una giornata, in media, a un uomo balcanico è richiesta poco più di un’ora e mezza per svolgere faccende di casa e di cura della famiglia. Un’ora e mezza su ventiquattro.
Alla partner, invece, circa cinque ore e mezza al giorno. Quasi quattro volte di più.
La donna come moglie e madre, da cui ci si aspetta che rinunci al lavoro per badare ai figli più piccoli. Nella regione balcanica nemmeno un bambino su due frequenta la scuola materna (46%), mentre la media dei Paesi OSCE è dell’82%.
Quando si parla di discriminazione di genere nei Balcani occidentali, c’è anche un altro aspetto preoccupante da considerare (connesso ai dati appena analizzati).
Si tratta del retroterra culturale che legittima gli uomini a commettere violenze di qualsiasi genere nei confronti di mogli, fidanzate, figlie o sorelle. Questa normalizzazione della violenza viene anche definita “cultura dello stupro”.
Secondo le stime dell’UNDP, una donna ogni quattro ha subito violenza fisica o sessuale dal partner attuale o da uno passato.
Quando si passa a considerare i femminicidi, si scopre che due donne su tre sono state uccise non da sconosciuti, ma dal partner o da un membro della propria famiglia.
Nella regione deve essere implementata la Convenzione di Istanbul (convenzione del Consiglio d’Europa del 2011, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica).
Dal 2018 è entrata in vigore in quasi tutti i Paesi balcanici (in Kosovo è in via di ratifica), ma sono ancora molte le aree di azione su cui bisogna agire: dalla prevenzione al supporto delle vittime, fino all’azione giudiziaria.
In Bosnia ed Erzegovina mancano rifugi a lungo termine per le vittime, in Serbia è scarsa la sensibilizzazione al tema e in Kosovo il supporto alle crisi, mentre in Macedonia del Nord mancano anche linee d’emergenza.
Quasi totalmente assente è invece il tentativo di risolvere il problema a monte, sul fronte degli autori dei crimini. Fanno (parziale) eccezione Serbia, con servizi di consulenza legale e valutazione psichiatrica, Albania e Kosovo con riabilitazione sociale e servizi per la dipendenza.
Ma se questo è il quadro teorico, ora è arrivato il momento di farsi da parte e lasciare spazio a chi di questi temi si occupa costantemente, ogni giorno come l’8 marzo.
Al bancone di BarBalcani ci ha raggiunto Sara Latorre, conoscitrice dell’attivismo femminista nell’area balcanica.
A lei la parola!
Ajdemo!
Ciao a tutt*!
Innanzitutto ringrazio Federico Baccini aka BarBalcani per avermi invitata a parlare di questo tema.
Ci tengo a specificare che non sono un’esperta: mi interesso di femminismo in generale e di femminismo nei Balcani in particolare, tutto qui.
Non lo dico per giustificare eventuali inesattezze (che vi invito a farmi notare, in caso), ma per chiarire due cose.
La prima è che credo non sia onesto dichiararsi espert* di dinamiche e territori non vissuti in prima persona, anche se seguiti con passione. La seconda è che, a parer mio, il femminismo non è un argomento che si può studiare e poi conoscere una volta per tutte, ma un metodo che bisogna imparare a riconoscere e ad applicare, con pazienza.
Quando si parla di Balcani, solitamente, lo si fa pensando alla Jugoslavia socialista e alla guerra derivata dalla sua disgregazione.
Raramente l* italian* si informano sulla situazione socio-politica degli attuali Stati balcanici, e ancora più raramente ne hanno un’idea che vada oltre stereotipi falsi, ma ben radicati.
Ecco, se vogliamo allenarci a pensare in ottica femminista dobbiamo avere chiaro questo concetto: una narrazione che si esprime in modo tossico nei confronti di una categoria si rivela doppiamente deleteria per le donne che ne fanno parte.
Tutte, TUTTE le donne subiscono discriminazione di genere.
Alcune, in più, devono fare i conti con la discriminazione a cui è sottoposto il gruppo dentro al quale si inseriscono per etnia, estrazione sociale, genetica o altro: le donne rom sono discriminate in quanto donne e in quanto rom, le donne povere in quanto donne e in quanto povere, le donne con disabilità in quanto donne e in quanto persone con disabilità, e così via.
Le donne balcaniche sono discriminate in quanto donne e in quanto abitanti di Paesi economicamente deboli, politicamente in balia di nazionalismi (i quali sono sempre machisti e maschilisti), culturalmente idealizzati (orientalismo maledetto), internazionalmente derisi e, talvolta, compatiti.
Come vedete, le disparità e i conseguenti disagi si intersecano tra loro all’interno della vita delle persone, ed è per questo che oggi non ha senso parlare di un femminismo che non sia intersezionale.
Uno dei punti cardine del femminismo intersezionale è agire da alleat* (allyship) nei confronti dei gruppi discriminati. Ciò non consiste nel semplice parlare di loro, cosa che spesso rischia di trasformarsi in un narcisistico parlare al posto loro, ma significa lasciare spazio all* dirett* interessat* affinché prendano le redini della narrazione.
In ques’ottica, ho deciso di usare la mia competenza linguistica - grazie alla quale ho il privilegio di poter leggere e ascoltare materiale in serbo-croato - per farvi scoprire quanto le donne balcaniche siano coraggiose, presenti e politiche nella lotta quotidiana contro la discriminazione di genere.
Ajdemo!
Gli stereotipi di genere hanno conseguenze oltremodo concrete nella vita di tutt* (non solo delle donne).
La cosa buffa è che, essendo convinzioni basate su pregiudizi astratti, non si nutrono dei fatti, che ne dimostrerebbero l’infondatezza, ma di un certo tipo di narrazione.
E qual è il mezzo che governa la narrazione e plasma l’opinione pubblica? La stampa.
La stampa in area balcanica non è femminista (come non lo è in Italia, quindi teniamo a bada i giudizi) e l’esempio più eclatante di questo fatto è forse quello della Serbia.
In un Paese che conta 7 milioni di abitanti e 27 femminicidi solo nel 2020 (conteggio peraltro approssimativo, dato che si tratta della somma dei casi registrati dai centri antiviolenza, poiché lo Stato non si preoccupa di raccogliere dati a riguardo), i maggiori quotidiani raccontano i femminicidi come se fossero scene splatter da intrattenimento, senza rispetto per le vittime né alcuna condanna verso i carnefici.
Per colmare questo buco volontario d’informazione è nata l’associazione Novinarke protiv nasilja (Giornaliste contro la violenza).
Oltre a fare controinformazione, diffondendo i dati reali della violenza sulle donne in Serbia, il gruppo si impegna a sensibilizzare riguardo agli attacchi online che il 73% delle giornaliste ha subito, consapevole che essi avvengono perché si tratta di donne che portano avanti le istanze delle donne.
Grazie al lavoro di Novinarke protiv nasilja sappiamo che il 45% dei media serbi usa frasi sessiste (l’importanza della narrazione, dicevamo) e che il 98% di essi tratta i femminicidi come se fossero singoli casi di crimine senza un substrato culturale comune.
Una delle membre più seguite di Novinarke protiv nasilja è Iva Parađanin. Penna di Elle Serbia (rivista sorprendentemente sul pezzo per quanto riguarda la parità di genere, così come Vice Serbia), Parađanin è anche autrice e conduttrice del podcast Tampon zona, la cui seconda stagione è prodotta proprio da Elle Serbia.
All’interno degli episodi, che durano dai 30 ai 60 minuti, la giornalista dialoga con un* ospite riguardo a tematiche totalmente ignorate dai canali di informazione mainstream, creando uno spazio sicuro, gratuito e chiaro per approfondire argomenti come il ruolo delle istituzioni nella violenza sessuale, l’allattamento in pubblico, le aggressioni verso le donne lesbiche, i diritti delle donne su internet, le relazioni tossiche e molti altri.
Ho sottolineato che la comunicazione di Tampon zona è gratuita e chiara.
È vero che la formazione femminista non finisce mai, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.
Non si può pretendere che una persona cresciuta per tutta la vita in un ambiente patriarcale venga folgorata sulla via di Damasco dall’apparizione di Simone de Beauvoir.
E, aggiungo, bisogna capire che una divulgazione rivolta solo a chi usa i social, sa l’inglese e ha un certo livello di istruzione non è davvero femminista.
L’educazione femminista deve essere offerta a tutt* proprio perché il patriarcato danneggia tutt*, perciò deve sapersi adattare anche alle competenze e al background di chi ha di fronte.
Nei Paesi dell’ex-Jugoslavia ci sono diversi collettivi che si occupano di educare alla parità di genere.
Il Centar za ženske studije di Zagabria, per esempio, organizza dal 1995 corsi di femminismo e possiede una biblioteca molto fornita.
L’intento di questo centro è quello di promuovere una formazione in ottica di genere utilizzando metodi pedagogici, “che si discostano dalla competitività neoliberale” e si propongono di raggiungere un pubblico trasversale e “regionale” (ossia proveniente da tutta l’area ex-jugoslava, non solo dalla Croazia).
Alcune lezioni sono gratuite, altri corsi sono a pagamento (il costo di un corso semestrale, con due lezioni a settimana e l’intervento di professor* di fama internazionale, si aggira attorno alle 400 kune, circa 50 euro), mentre la rivista ufficiale dell’associazione, Treća, è scaricabile gratuitamente dal sito internet, su cui trovate del materiale anche in inglese.
Spesso capita anche che diverse associazioni collaborino tra loro, come sta succedendo tra le serbe BeFem e Centar za ženske studije (di Belgrado, questa volta), le quali a fine marzo terranno un corso di due giorni dal titolo “Cultura femminista nei media: la produzione del genere”.
BeFem è un centro culturale femminista serbo specializzato nell’analisi dei media e nell’organizzazione di corsi che insegnano a interpretare la comunicazione alla luce delle teorie femministe, con lo scopo di formare giovani giornalist* e comunicator* più consapevoli.
Il collettivo organizza anche la manifestazione Bring the Noize, durante la quale vengono premiat* l* attivist* che si distinguono per il proprio lavoro.
Un altro esempio di collaborazione tra gruppi di attivist* è quello che avverrà tra Alernativni centar za devojke (Serbia) e Artpolis (Kosovo).
Si tratta di un progetto rivolto alle giovani donne serbe e kosovare tra i 18 e i 35 anni, la “Scuola femminista di primavera”, che offrirà corsi e laboratori sia in lingua serba che albanese.
Sì, il femminismo intersezionale è estremamente politico.
Per restare in tema di diffusione delle notizie e delle idee femministe, poi, vanno menzionati il blog Vox Feminae e la casa editrice croata Fraktura.
Il primo pubblica interviste, recensioni e notizie dal mondo e dall’area balcanica, mentre la seconda ha da poco pubblicato nove libri femministi, sei dei quali scritti da quelle che furono le redattrici del blog femminista Muf, che ha cessato la sua attività nel 2018 (ma è ancora disponibile online).
Fraktura è stata anche l’organizzatrice del festival “Feminizam je za sve” (Il femminismo è per tutti), durante il quale si sono tenute conferenze e serate poetiche.
Accanto alla formazione, necessaria per capire se stiamo subendo o perpetrando discriminazioni, non possiamo dimenticare l’importanza delle azioni concrete.
E, anche in questo caso, le donne balcaniche si fanno notare.
Nismo same, un’associazione di Zagabria, ha da poco organizzato dei taxi per accompagnare le pazienti oncologiche a fare la terapia ospedaliera (il nome del progetto è “Nisi sama, ideš s nama”, Non sei sola, ci vai con noi), un servizio dal valore sia logistico che psicologico.
B.a.b.e., altra associazione croata, ha creato una linea telefonica gratuita per chi ha bisogno di denunciare delle violenze.
L’Autonomni ženski centar di Belgrado, invece, organizza gruppi di auto-aiuto per le vittime di violenza e offre loro un supporto legale gratuito.
Forse vi sareste aspettat* che mostrassi molti più dati e statistiche, che vi dicessi che l’aborto in Serbia è gratuito solo se la causa della gravidanza è uno stupro e che lo Stato non provvede nessun tipo di sostegno psicologico né legale alle vittime di violenza domestica.
Che in Croazia i medici obiettori sono più del 50% e un ospedale su tre si rifiuta di dare informazioni sull’interruzione di gravidanza.
Che in Montenegro sono stati scoperti i cosiddetti “aborti selettivi” praticati solo verso feti di sesso femminile.
Che in Bosnia Erzegovina è raro che una donna abbia ancora un posto di lavoro alla fine del congedo di maternità, e così via.
Tutte queste informazioni sono importanti, sono d’accordo con voi.
Tuttavia, per una volta, volevo che l’attivismo femminista venisse raccontato attraverso le cose che fa, anziché mediante quelle contro cui o per le quali combatte.
Volevo, soprattutto, che le donne dei Balcani avessero la possibilità di parlare di se stesse tramite la lucidità e la concretezza delle proprie iniziative.
Perché il femminismo nei Balcani è pura sorellanza, e non ha bisogno che ve lo dica io.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Dunque, oggi toccherebbe a me darvi un consiglio dal bancone di BarBalcani.
Purtroppo per voi sono astemia e per tutti i miei cinque mesi di Erasmus a Zagabria non ho bevuto che kava s mlijekom, un caffè lungo macchiato.
Kava s mlijekom della macchinetta al pianoterra della Filozofski Fakultet, tra l’altro.
Oppure il caffè turco che mi faceva la mia compagna di stanza slovena.
Ho persino buttato furtivamente in un’aiuola della Skadarlija lo shottino di rakija offerto dalla guida turistica a cui mi sono accodata per visitare Belgrado.
Che ci volete fare, sono vecchia dentro!
Grazie Sara! Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la trentottesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. In vista dell’8 marzo, ti ricordo queste vecchie tappe (qui invece puoi trovarle tutte):
VI. Empowering women (parità di genere nella politica dei Balcani)
XXI. Inspire like a girl, ep. 1 (discipline STEM e IT)
XXII. Inspire like a girl, ep. 2 (imprenditoria)
XXIII. Inspire like a girl, ep. 3 (cultura e spettacoli)
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