XIII. E tu, ci hai mai messo piede?
Non c'è posto in Italia più distante di 500 chilometri dai Balcani. Eppure preferiamo andare a Praga, Budapest, Bratislava. Perché? Solo l'integrazione nell'Unione Europea potrà aprirci la mente
Ciao,
bentornata o bentornato anche oggi a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Pensaci bene. Quante volte ti è venuta la tentazione di andare in Bosnia? O in Macedonia, o in Serbia? Sii onesto. Una, due, mai?
Forse tra i nostri compagni di viaggio c’è chi ha fatto un viaggio, una visita per studio o lavoro, qualche esperienza indimenticabile e non vede l’ora di ritornarci.
Puoi star certo che la maggior parte di noi è stata almeno una volta a Bratislava, a Budapest, a Praga. Ma mai a Belgrado, Podgorica, Skopje, Banja Luka, Sarajevo, Tirana o Pristina.
Perché?
Ma certo, perché è tutto più difficile.
Le compagnie aeree low-cost ci viaggiano poco, bisogna fare le code alla frontiera, meglio stipulare un’assicurazione sanitaria prima di partire, non c’è l’euro, ti tocca fare il cambio e magari poi ti restano pure gli spicci inutili…
Perché i Balcani occidentali (tolte la Slovenia e la Croazia) non fanno parte dell’Unione Europea. O almeno, non ancora.
Ricordalo ai sostenitori della Brexit, dell’Italexit, di qualsiasi exit dall’Ue. Spesso ti accorgi di quanto è utile una cosa quando ti trovi a non averla più. O a non averla mai avuta affatto.
Sembra il classico modo di dire, un po’ vecchio e scaduto ormai. Ma i Balcani sono lì a ricordarcelo bene.
Sicuramente a meno di 500 chilometri di distanza da casa nostra.
Storia di un’integrazione a singhiozzo
Questa è la parte noiosa e nozionistica. Lo so, dovrei risparmiartela perché abbiamo poco tempo, ma un minimo di contesto è necessario, no?
Facciamo così. Se non ti interessa, salta pure al prossimo capitolo. Io mi fermo un attimo con gli altri, ma ti raggiungo subito!
Bene, se ti ho convinto a rimanere, vediamo di scoprire come (non) è andata in questi anni la questione dell’integrazione dei Balcani occidentali nell’Unione Europea.
Per prima cosa, dobbiamo capire come si fa a entrare nell’Ue. Gli step, tagliati un po’ con l’accetta, sono questi:
Proposta di potenziale candidatura di un Paese extra-Ue.
Esame dei “criteri di Copenaghen”, cioè le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche: istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno.
Firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra Paese richiedente e Ue, in base al risultato dell’esame della situazione.
Domanda di adesione all’Ue.
Conferimento dello status di Paese candidato.
Raccomandazione della Commissione Europea al Consiglio Europeo di avviare i negoziati.
Avvio dei negoziati e apertura dei capitoli di negoziazione (in numero variabile).
Firma del Trattato di adesione.
Bene. Diciamo che dal punto 3 si fa sul serio. Ma possono volerci anni. E anni. E anni. Anche decenni, per i Paesi balcanici.
Giusto per farti un esempio:
Esclusa la Croazia, che per ora è l’unica ad avercela fatta, gli altri aspettano dal 2008, dal 2007, addirittura dal 2001 la Macedonia del Nord (anche se qui il motivo è più complesso e riguardava lo scontro con la Grecia, come abbiamo visto nella 9° tappa).
Spieghiamoci meglio, Stato per Stato, sul punto delle trattative:
Serbia. 22/12/2009: domanda di adesione -> 01/03/2012: status di candidato -> 21/01/2014: avvio dei negoziati
Montenegro. 15/12/2008: domanda di adesione -> 17/12/2010: status di candidato -> 29/12/2012: avvio dei negoziati
Albania. 28/04/2009: domanda di adesione -> 27/12/2014: status di candidato
Macedonia del Nord. 22/03/2004: domanda di adesione -> 12/12/2005: status di candidato
Bosnia ed Erzegovina. 15/02/2016: domanda di adesione
Kosovo. Fermi all’Accordo di stabilizzazione (01/04/2016)
Nel discorso sullo Stato dell’Unione del 16 settembre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen ha però voluto dire una cosa molto semplice:
«I Balcani occidentali fanno parte dell’Europa e non sono solo uno scalo sulla Via della Seta. Il futuro dell’intera regione è nell'Ue. Condividiamo la stessa storia, condividiamo lo stesso destino».
6 personaggi in cerca di mediatore
Rieccoci. Se avessi saltato il capitolo precedente, abbiamo appena fatto il punto sull’integrazione europea dei Balcani (sicuro sicuro di non voler tornare indietro?)
«Senza i Balcani non possiamo pensare che tutta l’Europa possa vivere in una situazione stabile. Sono accerchiati dai Paesi dell’Ue: noi influenziamo loro e loro influenzano noi».
Olivér Várhelyi, commissario europeo per la Politica di vicinato e di allargamento (Roma, 10 settembre 2020)
Quindi, possiamo sbilanciarci e dire che tutti noi cittadini europei abbiamo bisogno di una penisola stabile, sicura e integrata.
E diciamo anche un’altra cosa. Non lo penso (solo) io, ma soprattutto i vertici della Commissione Europea. Che è un bell’affare.
L’Ue ha cambiato marcia e ora punta tutto sull’integrazione balcanica. Con un nuovo approccio più credibile, prevedibile, dinamico e politicamente orientato (se ti va, te lo spiego meglio in un approfondimento per Eunews.it).
Cosa significa, in parole povere?
Che i negoziati con Serbia e Montenegro continueranno più spediti tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.
Che entro la fine del 2020 dovranno essere avviati i negoziati con Macedonia del Nord e Albania.
Un piano ambizioso, soprattutto considerata la situazione interna a ogni Paese.
Il Montenegro deve lavorare sulle riforme, in attesa che a ottobre si formi il nuovo governo della nuova maggioranza anti-Đukanović (ne abbiamo parlato nella 12° tappa, “Il canto del cigno jugoslavo”).
Idem la Macedonia del Nord, sullo Stato di diritto, la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione.
L’Albania deve stabilizzarsi, anche se «ha lavorato bene su riforma elettorale e operazioni antidroga», ha commentato Várhelyi.
La Bosnia ed Erzegovina è allo stato più arretrato, ma l’Ue è disponibile a «guidarla in un percorso di riforme».
E poi ci sono la Serbia e il Kosovo. Ah, quando si dice un elefante in una cristalleria…
Dialogo di cristallo
Non basterebbero 25 newsletter di BarBalcani per spiegare il rapporto Serbia-Kosovo e come l’Unione Europea si stia destreggiando per cercare di risolverlo.
Ti bastano sapere poche cose.
Intanto, che il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Unilateralmente. Cioè la Serbia non l’ha presa affatto bene.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti sono i due maggiori sostenitori dell’indipendenza del Kosovo. Ecco perché dal 2011 si è ufficialmente aperto il dialogo tra Belgrado e Pristina con la mediazione dell’Ue.
Nel 2013 le due parti hanno raggiunto un accordo di massima. Ma senza affrontare la questione del riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia.
Tutto è andato a singhiozzo fino al novembre 2018, quando il dialogo è tornato in soffitta (stavolta per colpa dei dazi kosovari al 100% sulle merci serbe).
Fine delle comunicazioni per 20 mesi.
E poi è arrivato il 12 luglio 2020.
Grazie alla mediazione dell’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, sono ripresi i contatti diplomatici.
Prima in videoconferenza, poi dal vivo il 16 luglio con un incontro tra il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Avdullah Hoti. Si è replicato il 7 settembre, con il terzo round di negoziati: lontano l’accordo, ma ancora si spera.
Anche perché tre giorni prima, il 4 settembre, il presidente statunitense, Donald Trump, ci ha messo del suo per complicare la faccenda.
A Washington, alla Casa Bianca, Vučić e Hoti hanno firmato un accordo di pace economica.
Ma non tutto è economia. E il rischio che gli Usa abbiano compromesso il dialogo europeo è davvero alto (anche questo, se vuoi, te lo spiego meglio in un articolo per Eunews.it).
Insomma, una penisola balcanica stabile e integrata è l’unico orizzonte per un’Europa sicura.
Sono però tanti gli attori internazionali che devono stare attenti a come si dondolano sul filo della ragnatela diplomatica.
Un po’ come gli elefanti in quella canzone per bambini…
A chi giova?
Soprattutto a noi. E intendo proprio a noi italiani.
Punto primo, per un semplice fattore economico. «Il 70% degli investimenti nei Balcani occidentali viene da Paesi dell’Ue. L’Italia è il secondo partner commerciale della regione», ha spiegato il commissario Várhelyi.
Lì si investe e si esportano merci: calzature, auto, abbigliamento, prodotti siderurgici. Il celebre “tessuto industriale” italiano, le piccole e medie imprese, ci fa affari d’oro. «Ecco perché bisogna integrare la regione nel Mercato unico europeo».
Punto secondo, per il turismo. Partendo da sottovalutati, “i magnifici 6” stanno iniziando a risalire le classifiche dell’interesse dei viaggiatori europei e italiani, con ritmi di crescita annuali del +10% (solo l’Islanda tiene il passo).
La vita costa poco, gran parte della natura è a uno stato ancora vergine (ricordi quando nell’11° tappa parlavamo del “cuore blu d’Europa”?) e le città sono quasi inesplorate.
Covid-19 permettendo, immagina di organizzare un week-end a tuffarti dal ponte di Mostar, ad ammirare la statua di Alessandro Magno a Skopje o a fare un’escursione nei boschi lungo il Danubio.
Sei già lì con la mente?
Bene. Ora mancano solo altre 6 stelle nel cielo blu dell’Unione Europea.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati così alla fine di questa tappa. No, oggi non scopriremo nessun nuovo digestivo.
No, aspetta… come?!
Calma, calma. Intendevo che dello slivovitz, la rakija alle prugne, sappiamo già tutto (in caso contrario puoi recuperarlo alla fine della 2° tappa).
Quello che potremmo non sapere è come realmente si fa. Ma se andassimo in Kosovo potremmo assistere a scene come questa:
Lui è Afrim (non lo so davvero il suo nome, sto improvvisando). Vive nel villaggio di Zebince, a circa 45 chilometri a est dalla capitale Pristina (questo invece è vero) e sta preparando la rakija con le prugne selvatiche nel suo vecchio forno di rame.
In un servizio fotografico per European Pressphoto Agency, ha spiegato come funziona l’antica tradizione della produzione di rakija.
Prima di tutto, Afrim lascia fermentare nei secchi le prugne che ha raccolto. Poi versa il composto nella base del forno.
A questo punto, sigilla le due parti del forno e accende il fuoco sotto la base.
Non deve però dimenticare collegare il grande alambicco, per raccogliere il distillato nella cisterna (sì, hai letto bene: nella cisterna!)
Alla fine del processo, sulla base del forno rimarranno gli scarti, mentre nella cisterna il primo liquido distillato. Saranno necessari almeno altri due passaggi per ottenere una rakija perfetta.
Dai, sii onesto. Quanto sarebbe bello prendere un Ryanair Pisa-Pristina e andare da Afrim per produrre con lui una rakija alle prugne selvatiche artigianalmente?
Anche per questo motivo è necessario accelerare l’integrazione: certe tradizioni non possono più rimanere così sconosciute.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quattordicesima tappa! Un abbraccio e buon cammino!
Piccolo disclaimer. Grazie a Elisa per essersi sottoposta (in)volontariamente a diventare foto catchy del primo capitolo e copertina di questa tappa. Non a caso, con in mano una Nikšićko Pivo, la vera birra del Montenegro. A buona intenditrice…
Ti ringrazio ancora di cuore per essere arrivata/arrivato a questo punto del nostro viaggio. Se ti fossi perso qualche tappa, qui puoi recuperarle tutte.
Finalmente BarBalcani è sbarcato anche su Facebook! Puoi mettere ‘mi piace’ cliccando qui.
Per restare aggiornato su tutte le notizie di giornata dai Balcani, segui la pagina Instagram di BarBalcani.
Sulla pagina Linktree trovi invece l’archivio graficamente pulito e aggiornato.
Puoi iscriverti a BarBalcani con il tuo indirizzo mail, per ricevere la newsletter sabato prossimo direttamente in posta!
Attenzione! Potresti trovare la newsletter nella cartella "Spam" o, se usi Gmail, in “Promozioni”. Se vuoi riceverla in automatico nella cartella “Principale”, spostala lì. In alto, in un box giallo, apparirà l’opzione per far arrivare le successive in “Principale”.
Ma puoi anche invitare chiunque tu voglia a partecipare al nostro viaggio e condividere questo post: