XVII. L'arte (marcia) del potere
Intervista a Nicola Pedrazzi, giornalista di OBC per l'Albania, sulla politica del premier-artista, Edi Rama. E su quanto in Italia siamo schiavi di stereotipi, dal caso Diciotti ai medici anti-Covid
Ciao,
ancora una volta bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Oggi approdiamo in Albania.
E tu mi dirai: “Non era mica parte della Jugoslavia, scusa!”
Sì, hai ragione ovviamente. Ma aspetta.
Punto primo. L’Albania è il ponte tra l’Italia e i Balcani occidentali.
Punto secondo. Siamo alla vigilia anche di un altro evento-chiave: il crollo della Repubblica Popolare Socialista d’Albania.
Ricordi la celebre foto della nave carica di migranti albanesi nel porto di Bari?
Ecco, fra meno di 12 mesi - l’8 agosto 2021 - compirà 30 anni.
Ora ti senti un po’ più vecchio? Magari non eri ancora nato?
Tutte buone ragioni per capire cosa è successo in questi 30 anni dalla fine del comunismo in Albania. Ma soprattutto cosa sta succedendo negli ultimi mesi.
Lo facciamo lasciando spazio a Nicola Pedrazzi, bolognese, ricercatore all’Università di Pavia sulle relazioni italo-albanesi e corrispondente da Tirana per l’Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2012 al 2016.
Insomma, un ospite di un certo rispetto è appena entrato a BarBalcani. A lui una sedia, un giro al bancone e, soprattutto, la parola!
Dietro il sipario
Bene. E ora da dove partiamo?
“Dalla fine, direi. O meglio, dall’ultima volta che in Italia abbiamo sentito il nome del capo del governo, Edi Rama.
Era l’alba del 17 maggio e in piena emergenza Coronavirus le ruspe abbattevano il Teatro Nazionale nel centro della capitale Tirana. Un edificio storico amato da tutti, tirato giù senza nemmeno svuotare gli archivi.
Non è stata solo una dimostrazione di forza, ma soprattutto un’azione di cinismo politico: quello spazio serviva. Per forti interessi edilizi, che ancora non conosciamo, e perché in prospettiva molto redditizio.
È così il premier-artista. In patria sa essere spregiudicato, rifacendosi l’immagine di grande riformatore all’estero”.
Ma chi è davvero Edi Rama ?
“È un politico di lungo corso, diventato famoso quando era sindaco di Tirana per aver fatto ridipingere i vecchi prefabbricati socialisti con colori accesi. Per sviare lo sguardo dalle tristezze architettoniche, diciamo.
Sul solco degli avvenimenti italiani, nel periodo del renzismo si presentava come “ex-sindaco”, un buon amministratore prestato al Partito Socialista.
In realtà fa parte dell’establishment ed è stato abile a scalare il partito, che ora è sua proprietà. Nel 2013 ha vinto le elezioni politiche, sconfiggendo il leader incontrastato, Sali Berisha, e diventando interlocutore per gli internazionali.
Da allora trionfa in tutte le tornate elettorali. Alle amministrative del 2019 Rama ha conquistato tutti i municipi albanesi. Tutti. Perché l’opposizione non si era presentata in segno di protesta.
Ditemi un altro paese europeo dove un partito solo governa tutte le città.
Quelle elezioni non si dovevano tenere. Ma Rama si è imposto sulla presidenza della Repubblica e ha allestito i seggi al costo di uno scontro istituzionale. Di fatto ha sospeso lo stato di diritto nel Paese.
La Corte costituzionale è ferma, dopo la riforma della giustizia chiesta dall’Unione Europea. È così che si possono abbattere edifici storici in una notte, con atti di forza fuori dal diritto e dal buon senso.
Certo, si è fatto un ventennio di politica in Albania, che è abbastanza logorante: a prescindere da chi governa, la criminalità organizzata bussa alla porta tutti i giorni. Ma anche l’ultimo Rama sta portando al limite una democrazia già molto fragile”.
Clicca sull’immagine del Teatro Nazionale per ascoltare la voce del nostro ospite alla trasmissione “Pantagruel” di Radio3:
Prigionieri di stereotipi
Adesso però dovresti spiegarci come mai all’estero è così ben considerato.
“È un pittore di fama internazionale, viaggia, parla le lingue straniere e ha creato dal nulla un brand di un’Albania dello sviluppo e dal cuore grande.
È un politico che sa stare al tavolo dei leader internazionali. C’è un esempio su tutti che lo dimostra perfettamente.
Nel 2015, appena dopo l’attentato a Charlie Hebdo, è andato a Parigi con le matite colorate nel taschino.
Il leader di un Paese a maggioranza musulmana al corteo in difesa della libertà di stampa… era perfetto per l’opinione pubblica europea progressista!
E lui sa cavalcare benissimo questo tipo di propaganda, in patria come all’estero”.
In questo discorso rientra anche la missione in Italia della squadra di medici durante l’emergenza Covid-19?
“Certo, perché non è stata solo propaganda di Stato. L’Italia è stata parte attiva della coreografia.
Anche a noi fa comodo raccontare di un Paese piccolo che mostra solidarietà a quello che è sempre stato il suo tutore. Dobbiamo chiederci se avremmo reagito allo stesso modo se a farlo fosse stata la Turchia di Erdogan, per esempio.
Non siamo neutri nei confronti dell’Albania. Non guardiamo con realismo a cosa possa significare per l’equilibrio di potere interno e per l’immagine internazionale.
Lui lo sa sfruttare con astuzia.
Sapete quando sono stati inviati i 30 medici in Italia quest’anno? Il 28 marzo. L’anniversario del naufragio della Katër i Radës, quando nel 1997 morirono 81 profughi albanesi nello scontro con una corvetta italiana nel Canale d’Otranto.
Simbolicamente ha voluto dimostrare che l’Albania lavora per la pace e la solidarietà tra popoli. Ma ha mandato medici giovani e impreparati, che non conoscevano le nostre terapie intensive semplicemente perché la loro sanità è molto fragile.
È stata un’operazione così gonfiata dai media, che poi naturalmente ha lasciato il fianco scoperto a contronarrazioni ingenerose. Come quella della denuncia degli stessi medici per violazione di lockdown durante la festa di fine missione”.
Andando indietro, e nemmeno troppo, c’è stato anche il “caso Diciotti”.
“Quello è stato ancora più incredibile.
Nell’agosto 2018 il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, doveva risolvere il caso dei 137 migranti bloccati da giorni al largo del porto di Catania, causato dalla dura presa di posizione del ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
L’Albania di Rama si offrì via Twitter di ospitare 20 profughi una volta scesi dalla nave. Ci siamo tutti emozionati per quella grande manifestazione di solidarietà.
Ma poi ci siamo dimenticati di verificare, una volta spenti i riflettori.
Alla fine nessuno di loro è mai arrivato in Albania. Anche perché non è uno Stato membro dell’Unione Europea, non può partecipare alla ridistribuzione dei migranti. Sarebbe stato illegale, quasi una deportazione.
Il racconto dell’Albania solidale però piaceva sia a destra che a sinistra.
Perché da una parte si pompa il fatto che loro ci aiuterebbero sull’immigrazione molto più di tutti i Paesi UE. Dall’altra si enfatizza l’integrazione riuscita degli albanesi, che sono ormai una presenza storica.
Tutte strumentalizzazioni. Che, come sempre, fanno solo il gioco di Rama”.
Il risveglio dal “sogno” Enver
Facciamo un passo indietro. Nel 1985 moriva Enver Hoxha, segretario del Partito del Lavoro e padrone del Paese per 40 anni. E in Italia imparavamo d’improvviso a conoscere l’Albania per stereotipi. Ci aiuti a coprire il buco che arriva fino a oggi?
“Dunque, il monopartitismo in realtà ha retto fino al 1991. Le proteste studentesche di Tirana gli hanno dato il colpo di grazia, con la richiesta di rappresentanza pluralistica.
Su quelle proteste si innestò anche il mito fondativo del Partito Democratico, cioè la destra. Che in realtà era nata a tavolino: il leader Sali Berisha era un chirurgo affermato anche sotto il comunismo.
Già dall’inizio c’era quindi un’evidente continuità nel regime.
Berisha è stato presidente della Repubblica dal 1992 al 1997 e primo ministro dal 2005 al 2013. È riuscito addirittura a sopravvivere non si sa bene come alla guerra civile del 1997.
Dal 1991 il nuovo governo democratico intraprese molte riforme economiche. Ma tra le imprese finanziarie, ce n’erano alcune che misero in atto uno schema piramidale di truffe, chiamato Schema Ponzi.
Quando nel gennaio 1997 scoppiò la bolla, tantissime famiglie albanesi persero i loro risparmi e iniziarono i disordini. A Tirana furono assaltati i depositi di armi e fu proclamato lo stato di emergenza.
La guerra civile portò una seconda ondata migratoria verso l’Italia, dopo quella del 1991. E fu gestita dalla criminalità organizzata albanese.
È qui che si inserisce l’episodio del naufragio del 28 marzo 1997, per capirci”.
E poi?
“A quel punto l’Italia intervenne militarmente, guidando la missione Onu ‘Alba’. Ci volle del tempo per ristabilire l’ordine nel Paese. Un anno dopo arrivò la nuova Costituzione della Repubblica di Albania.
Dalle elezioni del 1997 iniziò l’alternanza politica tra destra e sinistra, ma l’indice di continuità con il passato è sempre stato decisamente prevalente.
C’è un’immagine che più di tutte lo dimostra.
Si trova nella “Casa delle foglie”, il museo allestito nell’edificio che una volta ospitava la Sigurimi, la polizia segreta del regime.
In una delle sale ancora oggi c’è un grande albero genealogico dei direttori del ministero dell’Interno dell’Albania comunista. E quindi anche dei servizi segreti.
Ecco. L’ultimo si chiama Gramoz Ruçi.
Oggi è il presidente del Parlamento.
Certo, a livello internazionale la comparsa di Rama nel 2013 come leader nazionale è stata quasi un sollievo rispetto al ventennio di Berisha, praticamente ininterrotto nonostante la guerra civile e la competizione politica.
Ma questa immagine ci spiega bene che, anche negli ultimi sette anni del premier-artista, in Albania la transizione dal regime comunista non è ancora finita. Il problema è ampio, la questione trasversale alla politica”.
Hai scritto e pubblicato il libro “L'Italia che sognava Enver”. Ma per gli albanesi, com’è stato il risveglio?
“Molto traumatico. Perché il regime comunista è stato duro, ha portato povertà sia materiale che intellettuale. C’è stata sì l’alfabetizzazione e la modernizzazione nel dopoguerra, ma negli anni Ottanta già non c’erano più né soldi sovietici né aiuti cinesi.
L’unica forma di fuga era la televisione, in particolare quella italiana. È così che gli albanesi hanno conosciuto il mondo esterno, idealizzandolo.
Ancora oggi, chi diventa adulto in Albania è confuso su cosa sia davvero stato il comunismo, quasi un’esperienza aliena. Nemmeno all’università si studia la storia recente, me ne sono reso conto con le mie ricerche. Si cammina su una terra vergine.
Sono vicini al benessere europeo, ma allo stesso tempo lontanissimi nei fatti. È triste, ma negare che democrazia ed economia non siano sviluppate sarebbe una mancanza di rispetto nei loro confronti.
Significherebbe non ammettere che anche all’Italia un’Albania così fa comodo.
Un’area grigia di sospensione del diritto, che usiamo come cortile vantaggioso vicino a casa. Dal Paese dove fare le vacanze ricche a basso costo, alla delocalizzazione dei call center per risparmiare.
Non c’è sicuramente qualcosa di paragonabile alla jugonostalgia, certo.
Però per molti albanesi rimane un senso di verginità perduta. Sotto il regime c’era poco, ma per tutti. Ora i problemi della democrazia sono ancora più complessi.
Anche sotto Edi Rama. Il premier-artista che disegna l’Albania del progresso, provando a nascondere il quadro di continuità col passato”.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
E così, è arrivato il momento di ripartire nel nostro cammino. Salutiamo quindi il nostro ospite con il solito rito.
Nicola, cosa non può mancare nel tuo BarBalcani?
“È molto scontato e quasi banale, ma non ho nessun dubbio: il raki.
Ne esistono di diversi tipi, dalla base d’uva al miele. Il mio preferito è il primo, il raki rrushi. Il classico, l’immancabile.
La cosa più strana è che ne ho una bottiglia anche qui in Italia, ma non mi viene mai la tentazione di berlo. Quando invece vivevo in Albania capitava anche di berne tre o quattro bicchierini al giorno.
Soprattutto se si è ospiti o se non ci si vede da tanto, ti può essere servito col caffè anche alle 10 di mattina.
Là lo gusto proprio perché un’esperienza sociale”.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la diciottesima tappa (che porterà una grande novità… stay tuned!)
Un abbraccio e buon cammino!
Come sempre, grazie per essere arrivata o arrivato fino a questo punto. Se ti fossi perso qualche tappa, qui puoi recuperarle tutte.
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