S2E10. L'Unione Balcanica
Bruxelles ha aperto alla riduzione dei costi del roaming tra l'UE e i Balcani. Ma la regione ha già iniziato un suo processo di abbattimento degli ostacoli alla connettività e alla libera circolazione
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Una delle cose più curiose che è uscita dal vertice UE-Balcani Occidentali dello scorso 6 ottobre (abbiamo fatto un’analisi approfondita la scorsa settimana) si legge al punto 16 della Dichiarazione di Brdo:
«Accogliamo con favore la tabella di marcia per il roaming, che creerà le condizioni e fisserà obiettivi chiari per ridurre i costi del roaming tra l’UE e i Balcani occidentali».
Non è curiosa in sé, ma piuttosto in quanto presentata come un successo dal premier sloveno e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Janez Janša.
In realtà, Bruxelles è in ritardo anche sull’abbattimento delle barriere del roaming con i sei Paesi dei Balcani Occidentali.
Pensaci, è un problema che può riguardare chiunque di noi.
Se viaggi a Tirana, Sarajevo, Pristina, Skopje, Podgorica o Belgrado, e vuoi usare lo smartphone, dovrai pagare una tariffa aggiuntiva.
Lo stesso non succede se ti trovi a Parigi, Madrid, Berlino, o in una qualsiasi altra città sul territorio comunitario.
Da tempo Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia chiedono ai Ventisette di aprirsi almeno su questo fronte.
Forse ora ci siamo.
Nel frattempo, i Balcani non hanno perso tempo.
Attiva il roaming
Il roaming viene utilizzato dagli operatori di telefonia mobile per permettere agli utenti di collegarsi all’estero, utilizzando una rete diversa da quella del proprio gestore e pagando una quota all’altro operatore.
Questo finché le istituzioni di diversi Paesi non trovano un accordo per eliminare i costi del roaming dati.
Nell’Unione Europea questo passo storico sul piano della connettività è arrivato nell’estate del 2017, quando milioni di cittadini hanno toccato con mano il processo di integrazione europea.
L’accordo inizialmente è stato concepito come temporaneo, con scadenza al 30 giugno 2022. Una sorta di periodo di prova, che la Commissione UE ha proposto di estendere per altri 10 anni (lo trovi in un articolo di Eunews dello scorso febbraio).
Ma in questo processo (e nel suo aggiornamento) sono stati lasciati fuori i Paesi extra-UE, inclusi i Sei balcanici. Che hanno però deciso di organizzarsi autonomamente tra loro.
Sono serviti due anni, ma l’Unione roaming free oggi è realtà.
Dal 1° luglio, i cittadini albanesi, bosniaci, kosovari, macedoni, montenegrini e serbi possono usare i propri smartphone ovunque nella regione (tranne nei due comunitari, Croazia e Slovenia) proprio come a casa.
La strategia di eliminazione del roaming era stata lanciata ufficialmente al Western Balkans Digital Summit di Belgrado nel 2019, con la firma di un accordo di riduzione delle tariffe del 27%.
L’intesa è stata implementata gradualmente, con l’obiettivo del “roaming zero” entro il 1° luglio 2021 per i quasi 18 milioni di cittadini della regione.
Tagliare i costi porta a un doppio beneficio. Da una parte, si incentiva lo scambio di contatti e di informazioni nella vita di tutti i giorni. Dall’altra si spinge sulla cooperazione economica e commerciale.
Quando si parla di “integrazione” come concetto astratto, un’intesa come quella sul roaming mostra immediatamente a tutti i vantaggi tangibili di aprirsi agli altri Paesi.
Anche la commissaria europea all’Innovazione, Mariya Gabriel, ha espresso la sua soddisfazione, sostenendo che l’accordo avrà un impatto estremamente positivo.
A Bruxelles questo viene visto come un primo passo sulla strada della cooperazione regionale, condizione essenziale per l’allargamento dell’UE nei Balcani.
I cittadini balcanici sperano invece di poter fare lo stesso anche negli altri Paesi europei, senza dover attendere gli sviluppi di un processo di adesione all’UE che non si capisce che indirizzo stia prendendo.
E lo stesso vorrebbero fare anche i cittadini comunitari, quando viaggiano nell’unico buco nero della connettività “roaming free” in Europa.
Viaggia oltre confine
Una delle caratteristiche distintive dell’Unione Europea (ma non solo) è l’abolizione delle frontiere interne.
Lo Spazio Schengen (dal nome della località in Lussemburgo dove sono stati firmati gli accordi dal 1985 in poi) comprende 26 Stati: 22 dell’UE (solo l’Irlanda ha rinunciato, mentre 4 sono in attesa), più Svizzera, Norvegia, Lichtenstein e Islanda.
Come i cittadini comunitari ben sanno, si tratta di un territorio sul quale è garantita la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali, senza più controlli alla frontiera tra un Paese e l’altro.
Neanche a dirlo, i Balcani Occidentali sono il buco nero di Schengen, circondati da Paesi che già ne fanno parte (Grecia, Slovenia e Ungheria) e altri che hanno firmato per aderire (Croazia, Bulgaria e Romania).
Senza dover attendere i tempi incerti del processo di adesione all’UE, i leader della regione hanno voluto dare una risposta a Bruxelles e dimostrare che i Paesi balcanici hanno la capacità di entrare a far parte del Mercato Unico Europeo.
Ecco perché il 29 luglio i capi di Stato e di governo di Albania, Macedonia del Nord e Serbia hanno siglato a Skopje l’accordo Open Balkan.
L’obiettivo è quello di creare una zona di libero scambio basata sulle quattro libertà dell’Area Schengen, attraverso l’eliminazione delle restrizioni nei viaggi, corsie preferenziali per i rispettivi cittadini e visti di lavoro facilitati entro il 2023.
Il presidente serbo, Aleksandar Vučić, il primo ministro albanese, Edi Rama, e quello macedone, Zoran Zaev, hanno invitato anche gli altri Paesi della regione ad aderire, dandosi appuntamento a Tirana per il prossimo incontro.
Montenegro e Bosnia ed Erzegovina finora hanno assistito come osservatori, il Kosovo deve invece risolvere prima la questione della normalizzazione dei rapporti con la Serbia (se ti serve un ripasso, lo trovi qui).
Ma a fare notizia è stato anche il cambio di nome dell’iniziativa, che era stata lanciata a Novi Sad nell’ottobre del 2019 come Mini-Schengen.
Open Balkan è una dimostrazione dei Balcani Occidentali di sapersi organizzare anche senza i “tutori” dell’Unione Europea e di saper rigettare elementi che non c’entrano nulla con la regione (come il riferimento a Schengen, da cui sono esclusi).
Tutto questo in attesa di poter finalmente condividere la libertà di movimento con tutto il resto d’Europa.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Se c’è un’altra cosa che unisce tutti i Balcani, quella è la tradizione alcolica.
Dalla rakija allo schnapps, dai vini alle birre, ormai è passato di tutto dal bancone di BarBalcani.
Visto che si parla di apertura delle frontiere, di contaminazione e di rapporto con l’Unione Europea, oggi voglio consigliarti un amaro diffuso in tutta la regione.
E che, per l’appunto, ho avuto l’occasione di assaggiare a Lubiana, al termine del vertice UE-Balcani Occidentali della settimana scorsa, in un ristorante eccezionale del centro che porta l’insegna Sarajevo ‘84.
Sto parlando del pelinkovac, un liquore a base di assenzio.
È proprio l’erba di cui è composta la bevanda a darle il nome: in serbo-croato, assenzio si dice pelin.
Non di rado è conosciuto anche come pelinkovec, pelinovec o, più semplicemente, pelin.
Il pelinkovac è popolare dalla Bosnia alla Slovenia, dalla Macedonia del Nord al Montenegro, fino alla Croazia, dove probabilmente ha trovato la sua massima espressione.
L’etichetta Badel Pelinkovac, fondata nel 1862, arrivò fino a Parigi, alla corte di Napoleone III.
Quando nel Vecchio Continente scoppiavano le guerre per la conquista delle frontiere, l’amaro balcanico a base di assenzio già univa gli europei.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per l’undicesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Qui puoi trovare tutte le tappe passate.
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