S5E6. A est. Bisogna guardare più a est
Le proteste contro le frodi alle elezioni in Georgia mostrano a tutti i Paesi candidati Ue e non solo l'importanza della mobilitazione civile per contrastare le tendenze autoritarie. Report da Tbilisi
Caro lettore, cara lettrice,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
Lo so, ti starai chiedendo cosa c’entra la Georgia in una newsletter sui Balcani Occidentali. Un Paese del Caucaso meridionale, distante migliaia di chilometri dalla penisola che, settimana dopo settimana, stiamo analizzando sotto mille aspetti.
C’entra, ma serve un atto di fiducia.
E soprattutto ti chiederò di scusarmi per questa tappa, che assomiglierà un po’ a un flusso di coscienza. Molto sta succedendo in questo preciso momento in uno dei Paesi più europeisti tra tutti quelli candidati all’adesione all’Unione Europea, e sono stato immerso per giorni in questi eventi.
Cercherò di riassumerlo al meglio possibile, evidenziando il nesso con i Paesi che hanno fatto richiesta di fare parte del progetto dell’Europa unita. Ovvero quelli balcanici.
Qui, dalla piazza e dai palazzi di Tbilisi. Nella Georgia che sta cercando di reagire al «furto del nostro voto, del nostro futuro europeo».
Cosa è successo a Tbilisi
Il 26 ottobre in Georgia si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento, che hanno visto contrapposti il partito al potere da 12 anni Sogno Georgiano e quattro coalizioni di opposizione, alleate sotto l’ombrello politico della ‘Carta Georgiana’.
La ‘Carta Georgiana’ era stata presentata dalla presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, qualche mese fa. L’obiettivo era fornire una prospettiva post-elettorale di ritorno al percorso di integrazione europea, dopo che alcune leggi adottate da Sogno Georgiano hanno sancito a Bruxelles il congelamento ‘de facto’ del percorso di adesione Ue (fermo allo status di Paese candidato ricevuto nel dicembre 2023).
La giornata è stata costellata da un’ondata senza precedenti di brogli elettorali e di violenza dentro e fuori dai seggi per opera di affiliati del partito al potere, come testimoniato da centinaia di foto, video e audio raccolti da cittadini comuni e organizzazioni di osservazione elettorale.
Voto multiplo attraverso un singolo documento d’identità, violazione della segretezza del voto, corruzione, minacce di ripercussioni personali o professionali, inserimento forzato di schede precompilate nelle urne, pestaggi degli osservatori incaricati di riportare le frodi elettorali.
Sogno Georgiano è riuscito così a conquistare il 54% dei voti, in controtendenza con gli exit poll e in modalità ben più che sospette. Lo dimostrano soprattutto le incongruenze nei dati delle aree periferiche o popolate dalle minoranze etniche, più vulnerabili alla propaganda e alle intimidazioni degli esponenti del partito al potere.
È stata la presidente Zourabichvili a prendere in mano la situazione, parlando alla nazione la sera del 27 ottobre, circondata dalle figure di spicco delle coalizioni europeiste:
«Come ultima istituzione indipendente di questo Paese, devo dichiarare chiaramente che non riconosco queste elezioni. Riconoscerle equivarrebbe a legittimare la presa di potere della Russia sulla Georgia».
Dal palazzo presidenziale Zourabichvili ha poi convocato la protesta di piazza dei cittadini georgiani per la serata del 28 ottobre davanti alla sede del Parlamento, per «garantire che in questo Paese possano ancora svolgersi elezioni libere, eque e democratiche».
Una protesta che ha visto l’indomani la partecipazione di decine di migliaia di persone, che con la loro presenza hanno messo in chiaro che non accetteranno mai il risultato delle urne se non ci sarà «verità» su quanto andato in scena il 26 ottobre.
«Io per il futuro avevo altri programmi che non essere costretta a scappare dal mio Paese per il rischio di essere perseguitata come in Russia per le mie idee», ci ha raccontato Maia, studentessa all’Università di Tbilisi.
Con questo monito che risuona un po’ ovunque su viale Rustaveli, è già iniziato il lavoro di raccolta di tutto il materiale che può fornire un quadro completo su come si è svolto «questo furto massiccio e sistematico di voti, un’operazione senza precedenti e pianificata», ha spiegato la capa dello Stato.
Il lavoro sarà effettuato in coordinamento con i partner europei e statunitensi, che potrebbero fornire un supporto decisivo.
Nel frattempo le quattro coalizioni di opposizione si rifiuteranno di entrare nel Parlamento «illegittimo», chiedendo in ultima istanza di indire nuove elezioni condotte da un’amministrazione elettorale internazionale.
Perché ci riguarda
Quello che è accaduto in Georgia deve metterci tutti in allarme perché - come è successo in un Paese con una forte presenza della società civile e di decisa aspirazione democratica negli ultimi decenni - lo stesso potrebbe accadere ovunque. Basta chiedere alla società civile in Ungheria, per esempio.
Ma c’è anche un altro aspetto che va tenuto in considerazione. La Georgia non è una prima volta. E all’interno dell’Unione Europea non ci abbiamo mai prestato troppa attenzione.
Magari i brogli elettorali non sono stati così evidenti, alla luce del sole e di larga scala, ma anche in altri Paesi candidati all’adesione Ue l’opposizione è stata zittita con metodi ben poco trasparenti. Un esempio è senza dubbio la Serbia di Aleksandar Vučić, in cui il partito al potere riesce a strappare la vittoria a ogni tornata elettorale nonostante brogli, pressioni e vantaggi sistematici.
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C’è poi un altro elemento. Quello che dall’Ungheria passa per la Serbia, la Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), la Macedonia del Nord e arriva fino alla Georgia. L’interesse della Russia nel destabilizzare l’area coinvolta dall’allargamento dell’Unione Europea, affidandosi a regimi autocratici o illiberali che ne diffondono la propaganda.
Sogno Georgiano non è altro che questo, un partito che cerca di occupare tutte le istituzioni nazionali a ogni livello. Che si ispira alla Russia nelle politiche, ma che a parole sostiene di essere a favore dell’integrazione Ue, gettando fumo negli occhi di una società che a larghissima maggioranza (oltre l’80%) vede il suo futuro nell’Unione Europea.
E allora ci si può chiedere: è tutto finito? Che senso ha scendere in piazza?
Scendere in piazza, non rassegnarsi e non lasciare che il silenzio copra con un velo di impunità i brogli elettorali sono l’unica cosa che resta alla società civile, ai cittadini comuni.
Perché si possono perdere le elezioni, ma non si può accettare che il proprio voto valga 1 e quello dell’avversario che detiene le leve del potere 50. Serve chiarezza, serve trasparenza e serve verità.
Serve anche che la comunità internazionale fornisca il proprio supporto alle indagini. Perché è attraverso la via legale - non attraverso la sovversione - che si possono inchiodare con le spalle al muro i responsabili di uno schema di brogli che questa volta si è spinto troppo in là e ormai è stato smascherato.
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Serve anche che la Georgia - nella speranza che l’epilogo di questa storia non sia la strada verso l’autoritarismo - sia un monito che qualcosa di simile sta già succedendo in altri Paesi che aspirano ad aderire all’Ue.
Se esortiamo la società civile in Serbia o in Bosnia ed Erzegovina, per esempio, a non perdere la speranza e a scendere in piazza per reclamare i propri diritti - senza mai darsi per vinti - non possiamo usare doppi standard.
I brogli in Georgia devono essere investigati fino alla verità con il supporto della comunità internazionale. E lo stesso deve essere richiesto altrove, a prescindere da quali siano gli interessi economici in ballo.
Lo dobbiamo a tutti i confratelli e consorelle che, da fuori, guardano all’Unione Europea come la propria casa democratica e libera a cui un giorno potranno finalmente fare ritorno.
Sakartvelos gaumarjos.
Lunga vita alla Georgia.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
C’è un solo consiglio quando si arriva al bancone di BarBalcani in Georgia: il vino arancione, di cui la Georgia è madrepatria.
Secondo quanto riportato dagli storici, qui avrebbe avuto origine migliaia di anni fa la produzione di vino, grazie alla macerazione delle uve bianche nei kwevri, contenitori in terracotta simili alle anfore.
I vini arancioni sono sì prodotti da uve bianche, ma sono vinificati come i rossi. Significa che il mosto rimane per un certo periodo a contatto con le bucce, in un processo che si definisce macerazione.
Il processo può durare pochi giorni o anche mesi ed è spontaneo. Il vino viene passato in botte senza aggiunte e spesso non viene filtrato prima dell’imbottigliamento.
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la settima tappa di questa stagione.
Un abbraccio e buon cammino!
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