S3E5. Quanto costa abbattere un muro
Il nuovo premier sloveno, Robert Golob, ha deciso la rimozione della barriera di filo spinato al confine croato. Una rivoluzione (solitaria) nelle politiche migratorie europee lungo la rotta balcanica
Ciao,
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Mentre tutta Europa discute di come frenare un potenziale aumento degli arrivi di persone migranti lungo la rotta balcanica, un solo Paese dell’Unione Europea interessato dal fenomeno ha dato una svolta tangibile alla propria politica migratoria.
Una delle prime misure adottate dal nuovo premier della Slovenia, Robert Golob, è stata quella di abbattere la barriera di filo spinato lungo il confine con la Croazia.
Niente di simile si è visto in un continente che da decenni innalza muri per provare a frenare un’esigenza naturale - quella di spostarsi per cercare condizioni di vita migliori - dopo aver creato le condizioni stesse che costringono migliaia di persone a percorrere rotte pericolose e inumane per soddisfare quel bisogno.
Nel pieno di una rinnovata tendenza al rafforzamento delle restrizioni sulla concessione dei visti e alla costruzione di nuove barriere fisiche di confine, la Slovenia ha preso una netta posizione contro la politica dei muri.
Per ragioni non solo umanitarie, ma anche e soprattutto di buon senso.
L’eccezione slovena
L’inversione di rotta a Lubiana è arrivata con l’insediamento il 1° giugno 2022 del gabinetto di impostazione verde, liberale e socialdemocratica guidato dall’ex-imprenditore nel campo energetico Golob.
Nel suo primo discorso da capo dell’esecutivo ha fatto notizia la volontà di cambiare a 360 gradi la politica migratoria rispetto agli ultimi 7 anni, a partire proprio dallo smantellamento dei 116 chilometri di filo spinato.
La barriera era stata voluta nell’autunno 2015 dall’allora premier centrista Miro Cerar ed era stata prolungata fino alla lunghezza massima dal successore Marjan Šarec.
Il muro anti-migranti era poi diventato il simbolo della politica nazionalista di Janez Janša (in carica dal 2020 alla primavera del 2022), in linea con le spinte dell’ultimo decennio verso la chiusura delle frontiere e il respingimento illegale di persone migranti su quasi tutto il confine esterno dell’Unione Europea.
E così, dopo le promesse del discorso d’insediamento del governo Golob, i lavori di smantellamento sono iniziati in piena estate al valico di di confine di Krmačina, presso Metlika.
A inaugurare la svolta è stata la ministra degli Interni, Tatjana Bobnar, che ha posto l’accento sul rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto:
«È inaccettabile che quel filo spinato diventi un elemento costante della politica confinaria. I fatti hanno dimostrato che questa barriera non ha arrestato affatto il flusso di migranti, ma ha invece influito negativamente sulla vita a ridosso del confine, provocando peraltro la morte di persone e animali».
Ma anche lo stesso premier Golob ha messo in risalto il fatto che la priorità deve diventare la gestione dei centri per richiedenti asilo, la cui situazione è «critica», a causa delle responsabilità del precedente governo Janša.
L’esecutivo sloveno ha istituito un comitato consultivo per promuovere rotte migratorie più sicure, procedure di asilo più efficienti e condizioni più semplici per la protezione internazionale e l’integrazione sociale.
Il comitato ha già dato istruzioni alla polizia di prestare particolare attenzione alla protezione dei gruppi vulnerabili, nel garantire il controllo delle frontiere.
«La migrazione è parte integrante delle società moderne», ha sottolineato la ministra Bobnar, spiegando che è necessaria «un’integrazione sistematica nella società e nel mercato del lavoro» di chi arriva nel Paese.
I muri in Europa
Ma l’Europa è già a tutti gli effetti un continente blindato.
Secondo stime approssimative (arrotondate per difetto) la lunghezza complessiva dei muri - costruiti o in costruzione - sul continente europeo è pari a 1950 chilometri, la stessa distanza che separa Lisbona da Vilnius, da un capo all’altro dell’UE.
Ancora più d’impatto è il rapporto tra muri innalzati e abbattuti nel 2022 ai confini esterni dell’Europa: 736 chilometri contro 116. La Slovenia è l’unico Paese che ha adottato misure concrete per invertire la tendenza.
A fine agosto la Lituania ha ultimato la barriera di filo spinato di 550 chilometri al confine con la Bielorussia (da 50 milioni di euro), per contrastare la cosiddetta “guerra ibrida” dell’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko.
Contemporaneamente la Polonia ha completato il muro di 186 chilometri al confine con la Bielorussia (351 milioni di euro). Alto 5,5 metri e dotato di rilevatori di movimento e telecamere termiche, è l’ultimo tassello del respingimento di poche migliaia di persone migranti lungo il settore settentrionale del confine orientale.
Anche in Lettonia è in fase di costruzione una barriera in filo spinato di 136 chilometri con la Bielorussia.
La Finlandia ha invece annunciato la costruzione di una barriera di acciaio lunga 260 chilometri con la Russia entro quattro anni, per proteggere un quinto della lunghezza totale del confine nei punti più critici per possibili ingressi irregolari di cittadini russi.
Estonia, Lettonia e Norvegia hanno già innalzato muri con la Russia, mentre la Lituania ha fatto lo stesso con l’exclave di Kaliningrad.
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Più contenuti i muri delle exclave spagnole nel Nord Africa di Ceuta e Melilla, comunque teatro di tragedie umanitarie nel respingimento di richiedenti asilo dal Marocco.
Ci sono poi la barriera che dal 1974 separa in due l’isola di Cipro, i “muri della pace” dell’Irlanda del Nord (che dovrebbero essere abbattuti nel 2023) e la recinzione francese che conduce al porto di Calais, porta verso il Regno Unito.
Nella penisola balcanica si superano gli 850 chilometri, già tolto il tratto di 116 chilometri in smantellamento in Slovenia.
Tra il 2014 e il 2015 sono stati costruiti muri da Grecia, Bulgaria, Macedonia del Nord, Slovenia e Ungheria per arrestare quella che solo un anno più tardi sarebbe stata definita la “crisi dei migranti”.
Dal 2020 anche la Serbia ha iniziato i lavori per costruire una barriera al confine meridionale con la Macedonia del Nord.
La solita, vecchia, politica migratoria
A proposito di Serbia e di Balcani Occidentali, da Bruxelles non arrivano segnali incoraggianti per la gestione della rotta balcanica e i rapporti con i partner extra-UE.
«Non è giusto che l’Unione Europea abbia concesso l’esenzione dei visti ai Paesi dei Balcani Occidentali e che questi abbiano accordi di esenzione con Paesi terzi a cui noi non la riconosciamo», ha attaccato il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea, Margaritis Schinas.
Il «non allineamento sulla politica dei visti di alcuni partner» significa che cittadini di Paesi come India, Tunisia e Burundi possono viaggiare senza visto nei Paesi balcanici e di lì tentare di attraversare i confini dell’UE.
La liberalizzazione del regime dei visti in ingresso nello spazio Schengen - in vigore per 63 Paesi di tutto il mondo - prevede la possibilità di viaggiare nell’area che ha abolito le frontiere interne, utilizzando il proprio passaporto senza ulteriori requisiti per soggiorni di breve durata.
Il problema per l’UE riguarderebbe 5 Paesi balcanici (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia), mentre il Kosovo dal 2018 attende una decisione del Consiglio sulla liberalizzazione dei visti per i suoi stessi cittadini.
L’avvertimento a Belgrado è chiaro: «Spero che allinei la sua politica di visti alla nostra, ma non posso escludere nemmeno una sospensione del regime dei visti», ha messo in chiaro la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
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Il tema dell’esenzione dei visti ha riguardato anche le discussioni del vertice del 3 ottobre a Budapest tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, e il premier ungherese, Viktor Orbán.
Il focus è stato la ricerca di soluzioni condivise a tre per affrontare il fenomeno migratorio lungo la rotta balcanica, con la promessa di Vučić di allineare le proprie politiche nazionali sui visti a quelle comunitarie «entro la fine dell’anno».
Il piano d’azione dei due Paesi membri dell’Unione Europea - Austria e Ungheria - e del candidato dal 2012 all’adesione all’UE - la Serbia - include due punti-cardine.
Non si parla solo di «sostegno finanziario» a Belgrado per il rimpatrio delle persone migranti, ma anche di «maggiore cooperazione» delle forze di polizia lungo i confini serbi, incluso quello meridionale con la Macedonia del Nord.
Proprio lì dove la Fortezza Europa ha eretto uno dei suoi chilometrici muri. Che solo la Slovenia sta cercando di abbattere.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Sul bancone di BarBalcani oggi c’è una novità da segnare in calendario, che ha strettamente a che fare con l’argomento della tappa appena conclusa.
Sabato 26 novembre si terrà un nuovo evento di BarBalcani.
A ospitarci sarà la libreria e vineria italiana PiolaLibri, a Bruxelles.
“Poveri noi. Racconti da Bihać e dalla rotta balcanica” è il titolo di un appuntamento a metà via tra un dialogo e un concerto.
Perché con i ragazzi e le ragazze di Apriamo i Porti Bruxelles parleremo della situazione recente lungo la rotta balcanica e delle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere.
Mentre Lorenzo ‘ULULA’ Garofalo e Nicola Veronesi ci racconteranno il progetto che ha coinvolto direttamente la band ULULA & LaForesta sulla delicata frontiera di Bihać, in Bosnia ed Erzegovina, e sui cui spunti è nato anche l’album “Poveri Noi”.
E poi lasceremo spazio a ULULA, per un live in acustico proprio sull’ultimo album che dà il titolo anche al nostro evento.
Prepara le valigie, ci vediamo il 26 novembre a Bruxelles!
Ascolta il podcast ‘Il Timone’ di Apriamo i Porti Bruxelles: Non è tutta colpa della Bosnia
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la sesta tappa.
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