Una miniera (in)arrestabile
È sempre più alta la tensione sociale in Serbia tra autorità nazionali e una "maggioranza rumorosa" sul progetto di estrazione del litio nella valle di Jadar da parte della multinazionale Rio Tinto
In Serbia non accenna ad allentarsi la tensione sociale attorno all’affaire-litio e alla decisione del governo di andare avanti con il progetto di apertura di una miniera nella valle del fiume Jadar per l’estrazione del litio, metallo fondamentale per la realizzazione delle batterie che alimentano le auto elettriche. Dopo un’estate calda, non solo dal punto di vista meteorologico, l’ondata di indignazione e di protesta popolare promette di avere una coda lunghissima anche nei mesi a venire, con nuove iniziative e nuove manifestazioni.
Ultimo, in ordine di tempo, è arrivato il raduno di inizio settembre davanti alla sede della Radio Televisione Serbia (Rts) per protestare per lo scarso rilievo mediatico che l’emittente pubblica starebbe assicurando alle rimostranze di piazza che da settimane scuotono il Paese. Se da una parte questo episodio non fa altro che riaffermare l’asfissiante influenza governativa sui media serbi, pubblici e privati che siano, dall’altra rappresenta la controprova della centralità strategica che l’esecutivo attribuisce al progetto.
Il muro contro muro
Una posizione che porta inevitabilmente al muro contro muro con quella che, una volta tanto, potremmo definire maggioranza rumorosa. Alla gente, alla maggior parte della gente, la miniera non piace. E a dirlo non sono soltanto i numeri – impressionanti - registrati durante i moti di piazza susseguitesi in agosto soprattutto a Belgrado e partecipati da decine di migliaia di persone al grido di “non scaverete”.
A corroborare quella che a tutti gli effetti appare una certezza sono i risultati di un sondaggio condotto dall’Istituto di ricerca New Serbian Political Thought che indicano che il 55% dei serbi è contrario all’apertura del sito (a fronte di un modesto 25% di favorevoli) e che la contrarietà è indipendente dal fatto che l’Unione Europea possa farsi garante del rispetto delle stringenti normative comunitarie in campo ambientale (52%).
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L’asse Belgrado-Bruxelles
Ed è proprio l’Unione Europea ad avere un ruolo attivo nella disputa, a partire dalla stipula del memorandum di intesa per l’estrazione della materia prima “essenziale per la promozione della transizione verde, la decarbonizzazione, la mobilità e la connettività”.
Coloro che all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale di annullamento del divieto a costruire avevano previsto che la miniera si sarebbe infine realizzata non avevano fatto i conti con la commovente capacità di reazione dei serbi e con la loro radicata contrarietà all’opera. La stessa contrarietà che nel 2022 aveva costretto il governo dell’allora prima ministra Ana Brnabić ad abbandonare il progetto e che ha portato, oggi, la gente di nuovo per le strade.
Non è detto, però, che la disputa finisca alla stessa maniera. Anzi, le possibilità che l’esito sia lo stesso di due anni fa sono ridotte a un lumicino. A suggerirlo sono le logiche della Realpolitik, logiche che saldano l’asse tra Belgrado e Bruxelles ben oltre ogni possibile retromarcia realisticamente immaginabile. È lo stesso memorandum d’intesa, d’altra parte, a parlare di “mutually beneficial strategic partnership”, un interesse reciproco. Un “accordo quadro di lungo termine” che travalica l’aspetto puramente economico, pur determinante, per acquisire un significato geostrategico del tutto palese.
Per parte sua il presidente serbo, Aleksandar Vučić, ha tutto l’interesse a rinfrescare la propria immagine di partner credibile anche a ovest. Immagine offuscata dal mancato allineamento del Paese alle sanzioni contro la Russia di Putin e - seppure in modo più marginale - dalle acclarate responsabilità serbe per i fatti di Banjska, con tanto di reprimenda di facciata.
Una politica dei due forni, come si direbbe da queste parti, finalizzata a non recidere lo storico cordone ombelicale con la Russia (sebbene le relazioni bilaterali si stiano progressivamente raffreddando) e, al contempo, a tenere aperta l’estenuante partita per l’adesione all’Unione. E una politica che giustifica anche il mancato coinvolgimento della Cina in questa questione, differentemente dall’approccio tenuto con altri siti strategici, come il complesso di RTB Bor per l’estrazione del rame e l’acciaieria di Smederevo. Dall’altra parte, l’Ue ha invece la duplice esigenza di emanciparsi dalla supremazia cinese nell’approvvigionamento di un materiale che avrà un ruolo cruciale nei decenni a venire e di allontanare, per quanto possibile, la Serbia dall’influenza di Mosca.
I silenzi dell’Europa
Interessi collimanti, quindi, con la riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea a garantirne continuità. Interessi che forse giustificano il silenzio dell’Europa di fronte agli arresti che hanno coinvolto, secondo il movimento ambientalista “Kreni promeni”, decine di attivisti nei giorni delle manifestazioni: interrogatori, perquisizioni, confische arbitrarie. Persino il fermo della cantante croata Severina Vučković al confine con la Serbia, interrogata anche sulle sue dichiarazioni di contrarietà all’apertura del sito estrattivo. Tutto come due anni fa, dunque, quando il ministro degli Interni Ivica Dačić intimidiva i manifestanti promettendo, tra un fermo e un «avvertimento», di perseguire «tutti i colpevoli».
Tace l’Europa, dunque, parla invece Vučić, pochi giorni fa. E lo fa nel corso di un incontro pubblico a Loznica, per spezzare la narrazione che lo vorrebbe restio a qualsivoglia confronto o dialogo, ma anche per rassicurare la folla circa il fatto che il progetto si farà se - e soltanto se - non ci saranno rischi per le persone. Parla anche Jakob Stausholm, amministratore delegato della Rio Tinto, la multinazionale che ha l’appalto per lo sfruttamento del giacimento: nella stessa occasione, seduto a fianco del presidente serbo, anche questo un segnale inequivocabile. Rassicura, tranquillizza, rabbonisce: «La sfida più grande per noi è conquistare la fiducia di voi che vivete qui». A occhio e croce sarà difficile. Così come sarà difficile, a questo giro, fermare la giostra.
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