S5E19. La primavera del Molise croato
Il 1° maggio ad Acquaviva Collecroce si celebra la Festa del Maja, con la parata di un fantoccio antropomorfo ricoperto da fiori. Un'antica tradizione di una comunità linguistica che cerca nuova linfa
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È un fantoccio a forma di cono, che assomiglia a un essere umano: occhi, naso, bocca, lunghi capelli biondi, un abito dai colori sgargianti. Alto più di due metri, tutto vestito di fiori, fieno ed erbe di campo.
Viene portato in parata ogni 1° maggio al seguito di una folla festante, tra danze, canti popolari e il suono di strumenti tradizionali.
È il Maj, la rappresentazione per eccellenza della primavera, dei raccolti e della rinascita della natura. Il simbolo più caratteristico della comunità croata che da secoli vive dall’altra parte dell’Adriatico: quella dei piccoli paesi del Molise.
La Festa del Maja di Acquaviva Collecroce rappresenta senza dubbio uno degli esempi più evidenti di come gli antichi riti di epoca pagana legati ai cicli stagionali e alla prosperità della terra si siano tramandati fino a oggi, continuando a rivivere nelle feste e tradizioni popolari.
Nel caso della Festa del Maja, con una particolarità ancora più evidente. Proprio grazie alla presenza secolare della minoranza etnica e linguistica croata del Molise, questa festa popolare ha un'eredità complessa e un significato profondo.
A raccontare oggi a BarBalcani la storia della Festa del Maja e di ciò che rappresenta per questa comunità è Oscar Vetta, consigliere comunale di Acquaviva Collecroce e membro dell’Associazione culturale Naš Život, collettivo che da 25 anni ha ravvivato questa tradizione.
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Croati d’Oltre Adriatico
«La presenza dei croati in Molise è storicamente motivata dalle invasioni ottomane nella penisola balcanica», racconta Vetta, spiegando le origini della presenza secolare di questa comunità etnica e linguistica nell’Italia meridionale.
Sull’onda lunga della battaglia della Piana dei Merli del 1389 e della conquista di Costantinopoli del 1453 - che determinarono l’espansione dell’Impero Ottomano nell’Europa sud-orientale - tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 alcune popolazioni slave e albanesi fuggirono verso la penisola italiana attraversando l’Adriatico.
Lì, come racconta il membro di Naš Život, «trovarono una situazione abbastanza favorevole». Le zone dell’entroterra molisano «erano in stato di abbandono e spopolamento sia a causa del terremoto del 1456 sia della peste del 1495».
Ecco perché, grazie alle politiche del Regno di Napoli favorevoli a questi insediamenti (incluso il dimezzamento dei tributi alla Corona), i coloni slavi «non si fermarono sulla costa, ma furono dislocati nelle campagne spopolate per coltivare la terra».
Col tempo entrarono anche nei centri abitati, riedificando antichi borghi abbandonati (come la stessa Acquaviva Collecroce) e ripopolando un territorio «che ha avuto nei secoli un isolamento tale da permettere di mantenere la lingua slava originale».
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È così che, tutt’ora, in alcune zone del Molise si parla quella lingua slava—anticamente in uso tra la Dalmazia centrale e l’Erzegovina—simile al croato contemporaneo ma allo stesso tempo molto diversa. «Con i croati che vivono in Croazia possiamo capirci solo se parliamo di concetti semplici e molto piano», precisa Vetta.
Trasmessa per cinque secoli attraverso la tradizione orale, l’antica lingua croata oggi viene utilizzata per i rapporti familiari e personali solo in pochi piccoli paesi.
Oltre ai circa 500 abitanti di Acquaviva Collecroce—la lingua è parlata «fino alla generazione dei trentenni»—ci sono anche quelli di Montemitro (meno di 300) e di San Felice del Molise (500), dove però sono solo «pochissimi anziani a ricordarla, ma non hanno nessuno con cui condividerla». Qualche ricordo storico esiste anche a Tavenna e Palata, che «hanno avuto un riconoscimento tardivo dalla legislazione italiana, ma lì lingua si è persa da qualche secolo».
Vetta racconta ancora che «chi tra noi ha studiato anche il croato contemporaneo—così come una persona croata che conosce l’italiano—può capire da dove derivano alcuni termini che utilizziamo e gli influssi della lingua italiana e dei dialetti locali».
Per esempio, i linguisti hanno riscontrato che, mentre i croati del Molise hanno conservato quasi tutti i termini del ceppo comune slavo nell’ambito dell’agricoltura, nella loro lingua le denominazioni dei prodotti introdotti nel XVI secolo dal Nord America (patate, pomodori, granturco) non hanno contatti con il croato contemporaneo.
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Una festa per la rinascita
È in occasione della Festa del Maja che lo spirito della comunità croata del Molise si rafforza. Una pratica secolare, che affonda le radici nella tradizione popolare, ma che in un certo senso è anche molto contemporanea.
«La notizia più antica che abbiamo a disposizione è uno scambio epistolare di metà ‘800 tra un professore di lettere del paese e un poeta croato interessatosi delle pratiche culturali e linguistiche di questa minoranza», racconta Vetta.
La prima testimonianza fotografica è invece di inizio ‘900, «quando un linguista fece uno studio sulla comunità croata e allegò alla sua pubblicazione una foto di questo fantoccio».
La tradizione si perse con la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra, prima di essere ripresa negli anni ‘80, «ma solo per pochi anni». È dal 2000 che una nuova associazione culturale, Naš Život, ha iniziato a organizzare questo evento ogni anno «sotto la guida del professor Giovanni Piccoli, lo storico del paese».
Ma in cosa consiste esattamente la Festa del Maja?
Qualche giorno prima della parata un gruppo di persone raccoglie fiori ed erbe di campo dalle campagne attorno al paese di Acquaviva Collecroce. Nel pomeriggio della vigilia - il 30 aprile - «vestiamo il fantoccio, cioè addobbiamo la struttura a forma di cono con quei fiori ed erbe», conferendogli i tratti antropomorfi.
Il giorno della festa è il 1° maggio (Maj/Maja significa proprio ‘Maggio’).
Una persona si infila all’interno della struttura addobbata e trasporta il Maj fino alla piazza del paese, dando il via alla tradizione annuale.
«Usciamo tutti in parata tra le vie del paese» al ritmo di canti e balli popolari, strumenti tradizionali e, come precisa Vetta, «anche gruppi folkloristici, la festa è molto cresciuta negli ultimi anni».
Durante la processione alcuni cittadini aprono le porte delle proprie case per offrire gratuitamente cibo e vino a chi sfila o si unisce alla parata: «Si preparano prodotti tipici come la frittata con gli asparagi, la pasta fritta, la bruschetta con il peperoncino. Anche le attività commerciali hanno iniziato a partecipare».
Questa tradizione si rifà al senso di ciò che un tempo la gente povera chiedeva ai signori in questa occasione, «di lanciare qualcosa da mangiare dalle finestre e dai balconi», e che è poi rimasto nel canto più tipico della Festa del Maja:
“Chi ha detto che maggio non sarebbe venuto? Esci fuori che lo vedi passare.
Rit. Bei signori nostri, lanciateci qualcosa! Noi siamo gente vostra.Maggio ci ha portato belle giornate. Io vedo, alberi, pieni i vostri rami!
Rit.Io vedo le vostre terre piene d’erbe. Io vedo le vostre pecore piene di lana!
Rit.Vite mia bella, che molto frutterai, fuor di strada tu mi porterai!
Rit.Io vedo il setaccio! Ben venga per voi l’estate! Io vedo le madie! Piene di vino le vostre botti!
Rit.Dio custodisce i nostri paesi e le nostre soglie! Salute a voi e a tutti i vostri figli!
Rit.”
Ciò che sappiamo della Festa del Maja è che «si trattava di un rito propiziatorio della primavera e un ringraziamento alla natura per ciò che offre», spiega ancora Vetta.
Una festa che si può ricollegare a due tradizioni popolari simili, ma geograficamente lontane, intrecciatesi proprio grazie alla comunità croata in Molise (al punto da non poter stabilire con certezza quale abbia influenzato l’altra).
Da una parte i culti arborei dei popoli italici: quello della dea Flora, protettrice dell’agricoltura, le Robigalia romane del 25 aprile, e le Rogazioni cattoliche, processioni religiose mattutine che dal IV secolo hanno ripreso e sostituito le pagane Ambarvalia (che propiziavano il buon esito dell’annata agraria).
E dall’altra i riti propiziatori dei popoli balcanici: la tradizione slovena/croata dello Zelený Juraj (‘Verde Giorgio’) associata alla festa di San Giorgio il 23 aprile si svolge con modalità simili a quelle del Molise, inclusa la figura folkloristica del fantoccio ricoperto di erbe e fiori e dai caratteri antropomorfi.
Oggi la Festa del Maja non è solo un ricordo di tradizioni del passato, ma ha un significato cruciale per un piccolo paese che soffre fenomeni sociali diffusi in tante comunità dell’entroterra, in particolare del Mezzogiorno.
Come testimonia il membro di Naš Život, «negli ultimi anni questa festa ha preso talmente tanto piede che attira gente da fuori, ma soprattutto chi se n’è andato» da Acquaviva Collecroce: «Quasi tutti fanno in modo di tornare apposta, per stare insieme».
In altre parole, il senso di appartenenza che deriva dalla Festa del Maja «dà nuova vitalità a un piccolo paese in via di spopolamento, con pochi giovani, e quei pochi che ci sono, che spesso emigrano».
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Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi al bancone di BarBalcani troviamo solo ciò che i cittadini di Acquaviva Collecroce condividono durante tutta la giornata di festa.
«Sicuramente il vino, la bevanda che storicamente si beveva in queste zone», spiega Vetta, raccontando un aneddoto dell’edizione 2025.
«Come due anni fa, abbiamo realizzato le magliette con la stampa del Maj, ma invece di nere stavolta sono bianche. La gente si è lamentata perché così si vedrà che la maglietta è macchiata di vino!»
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Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la ventesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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