XIV. Same love, same Pride
Il Covid-19 ha fermato le marce LGBTI in (quasi) tutte le capitali balcaniche, ma non la lotta per i diritti civili. Dalla Croazia e dal Montenegro sono arrivati i primi segnali di un cambiamento
Ciao,
bentornata o bentornato anche oggi a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali alla vigilia dei 30 anni dall’inizio delle guerre nell’ex-Jugoslavia.
È un anno strano, in cui tutto sembra essere andato all’incontrario, storto, a caso. Ognuno di noi l’ha sperimentato, in un modo o nell’altro.
Tant’è, non ci si può fare niente…
Che ok, questo può valere per il Coronavirus o per tanti altri aspetti della vita. Ma non proprio per tutto tutto.
Per esempio la lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone e delle coppie omosessuali.
Ti sarai accorto che anche nella tua città quest’anno la marcia del Pride non ha colorato le strade e le piazze. Non avrai avuto difficoltà a capire il perché.
Ma se da noi le manifestazioni possono permettersi di fermarsi un attimo (continuando comunque le battaglie nella vita di tutti i giorni), sui Balcani è diverso.
Perché, a due bracciate a nuoto da casa nostra, i diritti LGBTI sono ancora tutti da conquistare.
Legge dopo legge, Pride dopo Pride.
Il coraggio croato
Dopo che in tutte le città dei Balcani sono state rimandate e poi cancellate le parate del Pride [edit: nel giorno in cui esce questa newsletter, sabato 26 settembre, è stato organizzato il Ljubljana Pride 2020], i croati hanno deciso che almeno Zagabria doveva resistere.
Con mascherine e a ranghi ridotti, i manifestanti si sono raccolti sabato 19 settembre in piazza Piazza San Marco, davanti ai palazzi del Parlamento, del governo e della Corte Costituzionale. La voce degli organizzatori si è levata chiara:
«Siamo qui per chiedere di abbattere i muri che ancora limitano i nostri diritti e che rendono i membri delle nostre famiglie cittadini di seconda categoria»
I croati sono scesi in piazza per due motivi. Per festeggiare, prima di tutto. E per battere il ferro, almeno finché è caldo.
«Ogni giorno in Croazia omosessuali, bisessuali, transgender, intersessuali e queer vogliono dar vita a una famiglia, con propri figli o senza. Ma non viviamo ancora nella piena uguaglianza di diritti e dignità. Questo deve cambiare»
E qualcosa, proprio a settembre di quest’anno, sembra che davvero stia iniziando a cambiare.
Il 6 settembre l’associazione delle Famiglie Arcobaleno (Dugine Obitelji) ha annunciato che per la prima volta una coppia omosessuale ha potuto adottare due bambini.
Loro sono Ivo Šegota, biologo molecolare, e Mladen Kožić, sociologo. Sono uniti civilmente dal 2015 e da allora hanno iniziato la loro battaglia per diventare genitori.
In Croazia le unioni civili sono equiparate al matrimonio dal 2014. L’adozione di eventuali figli del partner è consentita, ma l’affido di bambini è escluso.
Nel 2017 Ivo e Mladen hanno comunque fatto domanda alle agenzie governative. Per tre anni hanno ricevuto solo “no”, visto che dal 1° gennaio 2019 è entrata in vigore una nuova legge sulle adozioni, che esclude esplicitamente le coppie omosessuali.
I due però non hanno ceduto di un millimetro e hanno portato la causa fino in fondo, in sede giudiziaria. Enti sociali, tribunali, ministero Affari sociali.
E poi è arrivato il Tribunale amministrativo di Zagabria, che il 20 dicembre 2019 ha accolto il ricorso e ha annullato tutte le decisioni precedenti.
La parola fine l’ha pronunciata la Corte Costituzionale il 7 febbraio 2020:
«Sono da ritenersi discriminatorie e, dunque, costituzionalmente inaccettabili tutte le disposizioni escludenti un determinato gruppo sociale in materia di affido»
È stata la vittoria di Ivo e Mladen. È stata la vittoria di tutta la comunità LGBTI. E senza dubbio, possiamo dire che è stata la vittoria del popolo croato.
In un Paese fortemente conservatore, in cui la Chiesa cattolica esercita ancora una forte influenza, questo è un segno di progresso, che apre la strada a un futuro migliore per tutte le coppie unite civilmente.
Perché da quest’anno potranno contare su un precedente per rivendicare un loro diritto.
Il buco nero dell’arcobaleno
Sì, sui diritti LGBTI il punto di partenza nei Balcani occidentali è piuttosto basso. Per questo ogni conquista è una vittoria.
La situazione più rosea è nei due Paesi membri dell’Ue, Slovenia e Croazia. I primi Pride si sono svolti all’inizio del nuovo millennio, e le unioni civili sono equiparate ai matrimoni. Per affidi e adozioni, solo la Croazia ha sbloccato la situazione nel 2020.
Uscendo dall’Ue, inizia la discesa.
In Serbia ci hanno provato nel 2001 a organizzare un Pride. È finito tra le violenze dell’estrema destra (qui un servizio d’archivio). A Belgrado sono passati 13 anni prima di concludere pacificamente la prima marcia, ma dal 2017 anche la premier, Ana Brnabić, sfila ogni anno con la compagna.
I Pride negli altri Paesi sono tutti recentissimi: Tirana 2012 (Albania), Podgorica 2013 (Montenegro), Pristina 2017 (Kosovo), Skopje 2019 (Macedonia del Nord), Sarajevo 2019 (Bosnia ed Erzegovina).
Per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti, siamo ancora all’insufficienza piena.
Prima di tracciare il quadro, puoi esserci utile la mappa interattiva curata da Alfredo Sasso per Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, che ha più o meno questo aspetto:
La legalizzazione delle unioni civili è in stallo nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina (croata-bosniaca). Zero nell’altra entità, la Repubblica Srpska.
Zero anche in Macedonia del Nord, in Albania e in Kosovo. In stallo in Serbia la proposta di riconoscere la convivenza di coppie omosessuali.
Solo dal Montenegro arrivano segnali di speranza per i Balcani occidentali extra-Ue. Come in Croazia, anche qui proprio nell’anno 0 dell’era Covid-19.
La speranza divampa
È una notizia del 1° luglio 2020 a scrivere una nuova pagina per la comunità LGBTI del Montenegro.
In un mercoledì sera di metà estate il Parlamento ha approvato la legislazione che legalizza le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Le coppie omosessuali hanno ora gli stessi diritti di quelle eterosessuali.
È un momento storico. Perché?
Perché per la prima volta in un Paese balcanico extra-Ue viene sdoganato un tema spinoso come quello dei diritti delle coppie omosessuali, a livello politico e legislativo.
Certo, c’è ancora molto su cui lavorare: la possibilità di adottare bambini è ancora esclusa. Un po’ come in Croazia, prima della sentenza del 7 febbraio.
La strada è comunque quella giusta.
A dire il vero, una notizia positiva arriva anche dall’Albania. Non a livello politico, ma quantomeno sul piano della società civile.
L’Ordine degli psicologi ha annunciato il 18 maggio che sarà proibito offrire qualsiasi tipo di “terapia di conversione” per cercare di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona.
Una pratica che influisce sulla pressione che i ragazzi e le ragazze omosessuali avvertono da parte della società e che determina un aumento dei casi di suicidio (studio dell’American Academy of Pediatrics)
E intendiamoci, non stiamo parlando di una pratica da Paese sottosviluppato, anzi.
Da anni la World Psychiatric Association ha criticato queste terapie, definendole «del tutto immorali», e anche il Parlamento Ue si è pronunciato chiaramente a riguardo nel 2018.
Peccato che in Europa, a oggi, solo Germania e Malta abbiano attuato una norma simile a quella albanese a livello di Ordine nazionale.
Tanto per intenderci, dall’altra parte dell’Adriatico - stavolta da noi, in Italia - ancora nel 2019 l’associazione ProVita&Famiglia propagandava questa pratica anti-scientifica [perdona l’assenza di link, ma non me la sento di contribuire alle loro views].
Insomma, non sarà ancora abbastanza per l’impianto dei diritti LGBTI. Ma da qualche parte si dovrà pur cominciare.
In Albania, così come in tutta la penisola.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
E così, tra alti e bassi, siamo arrivati alla fine di questa tappa. Siamo partiti dalla Croazia e con la Croazia concludiamo il nostro racconto.
Al bancone del bar croato ci siamo già stati una volta, per assaggiare le tre birre tipiche.
Oggi tocca al vino, grande specialità del luogo.
Se la produzione di vino bianco domina la maggior parte del Paese, in realtà le due regioni vinicole più famose si trovano sulla costa, al confine con l’Italia: Istria e Dalmazia.
Se scendi da Trieste lungo l’Adriatico orientale, il paesaggio che ti circonda è dominato dai vigneti di Plavac Mali, terrazzati sulle scogliere che si stagliano sul mare.
Quest’uva è piccola, simile al mirtillo, ma molto concentrata grazie all’elevata esposizione al sole. Questo le conferisce un alto potenziale alcolico, che può raggiungere anche i 16 gradi durante la fermentazione.
La versatilità di questo vino è incredibile. Appena imbottigliato, è perfetto per accompagnare aperitivi e serate tra amici, grazie al gusto fruttato e fresco al palato.
Ma con l’invecchiamento salgono in cattedra le note più sanguigne, avvolgenti e intense. Ideale per discussioni animate a tavola, accompagnate da buon cibo.
Plavac in croato significa “blu”. Blu come i chicchi d’uva della costa dalmata. Blu come uno dei colori dell’arcobaleno LGBTI.
Nomen omen, avrebbero detto millenni fa.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quindicesima tappa! Un abbraccio e buon cammino!
«I might not be the same,
but that's not important.
No freedom ‘til we’re equal
Damn right, I support it»- “Same Love”
Macklemore & Ryan Lewis, feat. Mary Lambert -
Grazie per essere arrivata/arrivato fino a questo punto. Se ti fossi perso qualche tappa, qui puoi recuperarle tutte. Ti segnalo, per la Croazia, quella sul #BlackLivesMatter europeo e, per il Montenegro, quella sulla gestione del potere interno.
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