S2E3. L'estate in cui i Balcani sono bruciati
L'Europa sud-orientale è stata devastata da una serie di incendi, nel corso di una delle ondate di caldo più intense mai registrate. La colpa è dei cambiamenti climatici e delle decisioni dell'uomo
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
È stata un’estate bollente. L’estate più calda mai registrata in Europa, con i 48,8 gradi Celsius toccati a Floridia, alle porte di Siracusa.
Lo stesso è successo anche nei Balcani occidentali, con picchi di temperature che hanno sfiorato i 45 gradi.
Abbiamo aperto il primo capitolo di un libro che - ormai è innegabile - porta un titolo preciso.
Cambiamenti climatici.
Quello che ci stiamo leggendo dentro non è per nulla piacevole.
Fenomeni climatici estremi, siccità e incendi su scala regionale sono le manifestazioni più evidenti durante la stagione secca.
E, se non iniziamo a mettere un freno alle emissioni di gas serra nell’atmosfera, i prossimi capitoli saranno sempre più inquietanti.
L’estate del 2021 sarà ricordata come quella in cui le coste del Mediterraneo si sono tinte di rosso fuoco e nero cenere. Dall’Italia alla Turchia, dal Nord Africa alla Grecia.
L’estate in cui i Balcani sono bruciati.
Un mese d’inferno
Se nell’era dei cambiamenti climatici si può ancora usare l’espressione “tutto è iniziato con”, tutto è iniziato con gli incendi in Croazia del 10 luglio, al largo di Spalato, sull’isola di Bua (Čiovo).
Estesosi nel corso delle settimane seguenti nella regione dalmata, il solo maxi-rogo di Traù a inizio agosto ha mandato in fumo 400 ettari di macchia mediterranea.
Nello stesso momento bruciavano la Bosnia ed Erzegovina e il Montenegro.
L’ondata di caldo eccezionale che ha investito la penisola nelle prime due settimane di agosto ha reso i boschi un combustibile perfetto.
L’8 agosto si è aperta la crisi nella Bosnia occidentale, nei pressi di Tomislavgrad. A cavallo di Ferragosto ha raggiunto l’area attorno alla città di Mostar, a una cinquantina di chilometri più a sud.
Lo stesso giorno altri vasti roghi sono scoppiati nell’entroterra adriatico del Montenegro. Attorno a Nikšić e, ancora più a sud, fuori la capitale Podgorica.
Sud è la parola-chiave.
Più si scende di latitudine, più la situazione si aggrava.
Dal 20 luglio quasi tutto il territorio albanese è stato inghiottito da incendi, per centinaia di ettari di boschi, pascoli e oliveto arsi dalle fiamme e distrutti.
Spettrale lo scenario sul gruppo montuoso delle Prokletije, anche conosciuto come Alpi Albanesi o Creste maledette.
Per giorni i boschi lungo i confini tra Albania settentrionale e Kosovo occidentale sono stati spazzati via dalle fiamme. Una persona è morta cercando di salvare il bestiame.
Le immagini dei droni di Radio Free Europe registrate il 6 agosto vicino al villaggio di Shtupeq i Vogël (Kosovo) testimoniano il paesaggio devastato che i roghi hanno lasciato in eredità:
Ma è la Macedonia del Nord il Paese più ferito.
Dal 26 luglio al 19 agosto circa 120 incendi sono scoppiati a seguito di un’ondata di caldo che ha portato la colonnina del mercurio a toccare i 43 gradi.
Dal 3 agosto il governo di Skopje ha imposto il divieto assoluto di movimento nelle aree forestali del Paese, chiedendo ai cittadini di rimanere lontano dai boschi per incolumità personale e per prevenire ulteriori incendi.
Case, proprietà private e migliaia di acri di foreste di pini, faggi e querce sono andate distrutte.
Il 5 agosto è stato decretato lo stato di emergenza per un mese.
Un programma di emergenza della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa è stato messo in piedi con finanziamenti pati a quasi mezzo miliardo di dollari.
Anche la Serbia ha risposto alla richiesta di aiuto, con quattro canadair inviati in missione.
L’Unione Europea è intervenuta con il suo meccanismo di protezione civile, sia in Macedonia del Nord sia in Albania, coordinando i vigili del fuoco provenienti da diversi Paesi membri, compresa la Slovenia.
Ma le conseguenze di questa estate d’inferno saranno pagate per decenni a venire.
Ogni foresta persa avrà un effetto negativo sul clima locale, ogni pascolo distrutto minaccerà la sussistenza degli agricoltori.
E le colline, che ora sono completamente nude, nascondono un nuovo pericolo: frane e inondazioni improvvise.
L’uomo e i cambiamenti climatici
L’estate di fuoco nell’Europa sud-orientale è stata osservata anche dagli “occhi” di Copernicus, il programma dell’Unione Europea di osservazione della Terra.
Il monitoraggio satellitare offre dati su fenomeni naturali e sull’ambiente, a beneficio di diversi programmi nell’ambito europeo.
Come per esempio il Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi (EFFIS), che supporta i servizi incaricati della protezione delle foreste dagli incendi sul territorio comunitario e nei Paesi vicini.
Questa la situazione fotografata dal 10 luglio al 27 agosto:
L’ondata di caldo estremo è una delle cause immediate dello scoppio di questa quantità impressionante di incendi.
Ma allo stesso tempo è effetto di un fenomeno più grande.
I cambiamenti climatici.
Lo aveva confermato già nel 2018 lo Study on climate change in the Western Balkans region, commissionato dal Consiglio di cooperazione regionale e finanziato dall’Unione Europea:
«Sotto l’impatto del riscaldamento globale, l’aumento della temperatura osservato di 1,2 gradi centigradi è destinato ad aumentare ulteriormente dagli 1,7 ai 4 gradi, a seconda dello sforzo globale nella riduzione delle emissioni di gas serra».
Alcune delle conseguenze dell’impatto dei cambiamenti climatici mostrano segnali evidenti in tutta la regione: «Aumento della durata e della frequenza delle ondate di calore, della siccità e del rischio di inondazioni, degrado delle foreste legato all’aumento della diffusione degli incendi».
In generale, i cambiamenti climatici «mostrano l’intrusione del clima sub-tropicale sempre più a nord, lasciando le zone costiere e meridionali molto calde e secche durante la stagione estiva».
Non solo si prevede che «la stagione estiva si prolunghi di uno o due mesi entro la fine del secolo», ma i fenomeni estremi «tenderanno a intensificarsi nel prossimo futuro».
Tutto ciò si inserisce nel quadro fornito dal Climate Change 2021: The Physical Science Basis, la prima parte del sesto rapporto dell’IPCC (gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici).
Coincidenza ha voluto che il duro rapporto fosse pubblicato mentre gli incendi devastavano i Balcani, il 6 agosto.
A meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a circa 1,5 o addirittura 2 gradi centigradi sarà completamente fuori portata.
L’essere umano, con le sue attività, si è già reso responsabile del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.
Ma se non fosse sufficientemente chiaro che c’è la mano dell’uomo dietro ai fenomeni estremi che hanno messo a ferro e fuoco le coste e l’entroterra del Mediterraneo, possiamo individuare altre prove più evidenti.
Prima di tutto c’è l’atteggiamento irresponsabile o criminale. È stimato che l’80% degli incendi siano causati da azioni umane.
Dopo due settimane di fiamme, il 10 agosto la polizia albanese ha arrestato 15 persone per incendio doloso, che ha distrutto centinaia di ettari di ambiente forestale nel Paese.
In Kosovo 20 persone sono già state arrestate. La polizia ha comunicato che «sono stati identificati 109 casi di incendio doloso, 71 di pericolo generale e 95 incidenti di incendio che hanno messo in pericolo la vita dei cittadini».
In Macedonia del Nord 14 persone hanno confessato di aver causato alcuni tra gli incendi più estesi nel Paese. Vicino alla capitale Skopje, un anziano è stato arrestato per aver acceso delle stoppie che hanno causato un piccolo incendio.
E qui va fatta una considerazione più profonda.
In un momento di crisi ambientale, accendere stoppie in una zona boschiva secca è un atto ingiustificabile.
Ma il fatto che a commetterlo sia stata una persona anziana, può mettere il dubbio che non ci fosse dolo nella sua azione.
Anzi, che al contrario fosse espressione - seppur incosciente, per le condizioni attuali della natura - di prassi un tempo comuni. Vale a dire attività umane competenti nelle foreste, che ormai sono andate perse quasi totalmente.
Tra queste anche gli incendi controllati o il fuoco prescritto, che hanno come obiettivo proprio quello di evitare i grandi incendi.
Il meccanismo è semplice.
Le foreste che si sono adattate alle attività umane nel corso dei millenni stanno diventando uniformi: si riempiono di materia secca e strati di vegetazione che permettono alle fiamme di raggiungere le chiome più alte.
La vegetazione si è evoluta in modo tale da richiedere inevitabilmente le cure umane. Il fuoco prescritto, praticato per secoli dalle popolazioni autoctone dai Balcani all’Australia, era una forma di attenzione e pulizia del bosco
Le cure sono però venute meno per diverse ragioni, rendendo ormai dannosi anche gli incendi prescritti.
In primis, per una volontà “colonizzatrice” dell’uomo e la pretesa di fare delle foreste una natura incontaminata - che praticamente non esiste - a vantaggio del turismo.
E poi per una gestione della prevenzione degli incendi boschivi che negli ultimi decenni è stata quantomeno discutibile, se non del tutto immorale.
Basta un solo un esempio, nel Paese balcanico più martoriato quest’estate.
Nel 2020 una ricerca dell’ONG Center for Civil Communications ha rivelato che le unità antincendio della Macedonia del Nord sono gravemente sottofinanziate, con personale insufficiente ed età media dei veicoli di 28 anni.
Nelle operazioni vengono ancora mandate autopompe (i camion dei Vigili del Fuoco) prodotte nel 1966. Invece i tre Canadair in possesso dello Stato non possono essere utilizzati, perché privi di manutenzione per due anni e non idonei al volo.
Ciò che è stato osservato nel 2021 è solo l’anteprima di un dramma estivo che tenderà a peggiorare ogni anno.
Lo sappiamo per certo. Bisogna agire ora.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Ti sorprenderà - ma fino a un certo punto - scoprire che sul bancone di BarBalcani oggi c’è… acqua. Un bicchiere d’acqua.
E non solo come associazione mentale inversa rispetto al fuoco degli incendi.
Ma anche per ricordarci un’altra minaccia che incombe.
I modelli climatici per i Balcani occidentali prevedono non solo l’aumento delle temperature medie, ma anche una diminuzione della disponibilità di acqua potabile del 10/13% entro il 2060.
Nello scenario peggiore entro la fine del secolo alcuni bacini fluviali perderanno un quarto della loro portata idrica.
E mentre succede questo, l’uomo dimostra di essere incapace di gestire le risorse che ha a disposizione.
Buchi nelle condutture, difetti di progettazione collegamenti allentati determinano nelle otto capitali balcaniche uno spreco di acqua potabile pari a 250 milioni di metri cubi all’anno.
Come riempire 100 mila piscine olimpioniche. Messe una in fila all’altra porterebbero da Lubiana a Kabul (a proposito della crisi in Afghanistan).
Ogni anno.
Una quantità quasi inimmaginabile. Il record lo detiene Zagabria, con quasi 64 milioni di metri cubi persi (25.582 piscine).
Ma nella prospettiva di un futuro con sempre meno acqua potabile è importante sottolineare la percentuale di spreco.
In questo caso nessuno fa peggio di Sarajevo, con 6 litri persi ogni 10 che passano dalle condutture. Subito dietro ci sono Zagabria (52%), Podgorica (49%) e Pristina (48%).
Circa un quarto dell’acqua condotta dai sistemi di Lubiana (28%), Belgrado (25%) e Skopje (22%) va sprecata. Tirana riesce invece a salvare 9 litri su 10.
Quando le temperature superano i 40 gradi in estate, in alcune città balcaniche l’approvvigionamento di acqua potabile è già messo a dura prova. E il problema può solo peggiorare in futuro.
Anche su questo aspetto bisogna agire immediatamente.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarta tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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