S2E11. La vena nera dell'Europa
I movimenti neo-fascisti del continente si sono ritrovati a Belgrado per attaccare la «tirannia sanitaria» e per appoggiare gli ultra-nazionalisti serbi contro il Kosovo indipendente
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter dai confini sfumati.
C’è del marcio in Europa e non lo scopriamo certo oggi.
Tuttavia, come hanno dimostrato gli ultimi casi di risveglio dei movimenti fascisti, le democrazie europee rischiano di sottovalutare problemi sì contenuti, ma intollerabili nella loro natura.
Lo si è visto con l’assalto squadrista alla sede della CGIL a Roma lo scorso 9 ottobre, conseguenza della degenerazione armata della manifestazione No Green Pass.
A guidarla, i vertici della formazione neo-fascista Forza Nuova. In primis, il leader Roberto Fiore, tra gli arrestati per le violenze di Corso Italia 25.
Solo due settimane prima Fiore si era però reso protagonista di un altro episodio inquietante, nel cuore dei Balcani.
Il Congresso nero
La vena nera dell’Europa ha pulsato l’ultima volta il 26 settembre a Belgrado.
L’estrema destra nazionalista e fascista del continente sta cercando di organizzarsi e si è data appuntamento all’Hotel Moskva per il Congresso dell’Alleanza per la pace e la libertà (APF).
Oltre Roberto Fiore di Forza Nuova, c’erano Yvan Benedetti del Partito Nazionalista Francese, nato dallo scioglimento nel 2013 dell’Œuvre Française (dichiarata fuorilegge per propaganda antisemita e razzista) e Yiannis Zografos della formazione greca Elasyn, sorta dopo lo scioglimento della fuorilegge Alba Dorata.
Dalla Spagna, Manuel Andrino della Falange Spagnola, che si proclama diretta discendente del movimento fascista degli anni Trenta, e Gonzalo Martín García di Democracia Nacional.
Presente una delegazione russa - tra cui diversi veterani di guerra - e il rumeno Cristi Grigoraș di Noua Dreapta.
Tutti ospiti di Misha Vacic, leader della nuova destra ultra-nazionalista serba.
Per intenderci, l’Alleanza per la pace e la libertà è anche la casa dei neonazisti del Partito Nazionaldemocratico di Germania.
Politicamente sono tutti movimenti irrilevanti, fatta eccezione per il Partito Popolare Slovacchia Nostra, che prima della sua crisi di gennaio 2021 esprimeva 17 deputati all’Assemblea Nazionale e un eurodeputato (Milan Uhrík).
Un altro eurodeputato era il neonazista greco Ioannis Lagos, arrestato ed estradato dopo la revoca dell’immunità da parte del Parlamento Europeo lo scorso 27 aprile.
Al Congresso di Belgrado uno dei punti all’ordine del giorno è stata la «necessità di dare vita in tutta Europa a un movimento di opposizione contro i diktat della tirannia sanitaria, che in Italia e in Francia cercano di distruggere la dignità e la salute dei popoli», si legge sul sito dell’APF.
Eccolo il collegamento con le violenze di Roma e l’assalto alla sede nazionale della CGIL.
Ma non c’è solo questo.
L’allegra combriccola neo-fascista, neo-nazista, ultra-nazionalista - chiamala come meglio credi - a Belgrado si è fatta immortalare mentre faceva il saluto “alla serba”, con le tre dita (pollice-indice-medio) sollevate e le altre chiuse.
Il simbolo religioso preso in prestito prima dai paramilitari cetnici durante le guerre nell’ex-Jugoslavia, dagli ultras di estrema destra poi.
E un motivo c’è, nel saluto di Fiore & Co. al fotografo.
I movimenti neri di tutta Europa si sono schierati contro l’indipendenza del Kosovo, al fianco del nazionalismo serbo:
«Siamo a favore di un Kosovo serbo non più asservito alle potenze internazionali e non occupato dagli eserciti della Comunità europea».
Il saluto “alla serba” è sinonimo di supremazia etnica. O, come si legge spesso sulle magliette degli ultras serbi, del poco equivoco “non si fanno prigionieri”.
Soprattutto in Kosovo.
Ci mancavano solo i fascisti
Già, di estremisti che soffiano sulle tensioni tra Belgrado e Pristina proprio non se ne sentiva il bisogno.
È da un mese che le relazioni tra i due Paesi hanno raggiunto uno dei punti più bassi degli ultimi anni, in un diminuendo di affinità dal giorno dell’insediamento del premier kosovaro Albin Kurti (ne abbiamo parlato a BarBalcani a febbraio).
Tutto è iniziato sei giorni prima del Congresso di Belgrado (e non è un caso se i neofascisti europei hanno ribadito il loro supporto al Kosovo serbo).
Il 20 settembre è scoppiata una crisi sul confine settentrionale del Kosovo: la cosiddetta battaglia delle targhe.
Il casus belli è stato la decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. I reparti speciali di polizia sono affluiti ai valichi di frontiera e hanno fermato auto e camion.
La minoranza serba in Kosovo, concentrata nel nord del Paese, ha creato blocchi stradali e le frange più violente si sono scontrate con la polizia.
Con l’intervento dei due governi nazionali, la tensione è cresciuta esponenzialmente.
Per il presidente serbo, Aleksandar Vučić, si è trattato di un attacco diretto contro la minoranza serba e un tentativo di destabilizzare la regione. Per questo alcuni contingenti militari sono stati messi in stato di allerta.
Il premier kosovaro Kurti ha invece dichiarato che vale il principio di reciprocità: da tempo vige l’obbligo per gli automobilisti del Kosovo di coprire la propria targa con una temporanea rilasciata dalle autorità serbe, quando valicano il confine.
È dovuta intervenire anche Bruxelles, per non mandare all’aria il dialogo decennale per la normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado mediato dall’Unione Europea.
L’escalation di tensione ha accompagnato tutta la durata del viaggio della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, nelle sei capitali balcaniche.
Ma proprio nelle sue ultime ore di permanenza, i negoziatori hanno raggiunto un accordo (lo trovi spiegato in questo articolo per Eunews).
Sono stati rimossi i blocchi stradali e le postazioni di polizia e, dal 21 ottobre, a Bruxelles sono iniziati i lavori di un gruppo di esperti per cercare una soluzione definitiva.
Neanche il tempo di esultare al vertice UE-Balcani Occidentali per l’accordo definito «un successo» (qui per saperne di più), che nel nord del Kosovo si sono riaccese le tensioni.
Il 13 ottobre un’operazione anti-contrabbando condotta a Mitrovica (ma anche a Peć e Pristina) ha provocato nuove violente proteste da parte della popolazione locale.
La resistenza nella città settentrionale del Kosovo ha provocato la reazione delle forze speciali con lacrimogeni e bombe assordanti. Negli scontri sono rimasti feriti sei agenti e una decina di manifestanti.
Subito è montata la polemica politica. Belgrado si è detta pronta a sostenere i serbi del Kosovo in caso di violenze contro di loro, ma ha anche cercato di non aizzare oltre misura gli animi.
Il governo di Pristina ha invece accusato alcuni media serbi, «che sostengono la criminalità, la corruzione e il contrabbando», di voler ingannare la popolazione, politicizzando inutilmente l’intera vicenda.
Dopo alcuni giorni la tensione si è ridimensionata. Ma se i rapporti tra Pristina e Belgrado rimangono molto freddi, il nord del Kosovo sembra poter esplodere da un momento all’altro.
Ecco. Se in tutta questa polveriera - che si regge su un equilibrio delicatissimo - lasciassimo operare liberamente anche i neofascisti, potremmo dire addio alla riconciliazione nella regione e a un futuro di pace.
Di solito, sono i primi principi del vivere civile che gli estremisti di destra e gli ultra-nazionalisti vorrebbero abbattere.
Nei Balcani, in Europa e ovunque nel mondo.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi sul nostro bancone non c’è nulla.
Perché con i fascisti non si condivide nemmeno una birra.
Qui non c’è posto per chi predica violenza, odio, intolleranza, razzismo e supremazia.
Punto.
BarBalcani sarà sempre un presidio di apertura, di contaminazione, di fratellanza, di legalità e di antifascismo.
Ed è per questo che oggi - come ogni giorno - alziamo i calici al cielo e cantiamo il più bell’inno di libertà, intonato dall’immenso compositore bosniaco, Goran Bregović:
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la dodicesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
BarBalcani è una newsletter settimanale gratuita. Dietro però si nasconde molto lavoro.
Se vuoi permettere a questo progetto di esistere, ti chiedo di valutare la possibilità di fare una donazione. Ogni secondo mercoledì del mese riceverai un omaggio sulla storia della dissoluzione della Jugoslavia.
Un’anteprima di BarBalcani - Podcast puoi ascoltarla ogni mese su Spreaker e Spotify.
Attenzione! Potresti trovare la newsletter nella cartella “Spam” o, se usi Gmail, in “Promozioni”. Se vuoi riceverla in automatico nella cartella “Principale”, spostala lì. In alto, in un box giallo, apparirà l’opzione per far arrivare le successive in “Principale”.
Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Qui puoi trovare tutte le tappe passate.
BarBalcani è anche su Facebook, Twitter e Instagram. L’archivio aggiornato su Linktree.