S5E12. L'ascesa di una nuova generazione politica in Serbia
Dopo la tragedia del crollo della tettoia della stazione di Novi Sad, le proteste degli studenti contro la corruzione di regime stanno portando a stravolgimenti enormi. Intervista a Srđan Majstorović
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È da due mesi che decine di migliaia di studenti serbi scendono in piazza in tutto il Paese, soprattutto a Belgrado, per lottare per il loro futuro e per rivendicare i diritti democratici di tutti i cittadini.
Le proteste sono iniziate dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad avvenuto il 1° novembre 2024, che ha causato la morte di 15 persone. Questa tragedia ha scatenato un’ondata di manifestazioni anti-corruzione di massa.
Dopo l’aggressione degli studenti a Belgrado durante un tributo alle vittime (a ogni manifestazione vengono osservati 15 minuti di silenzio assoluto), il 22 novembre è iniziata l’occupazione della Facoltà di Arti Drammatiche, seguita immediatamente da quelle di altre facoltà e scuole superiori.
A due mesi di distanza, le proteste antigovernative non mostrano segni di stanchezza, nonostante i tentativi di repressione da parte delle autorità con violenze e intimidazioni giudiziarie.
Per questo motivo BarBalcani accoglie oggi Srđan Majstorović, presidente del board dell’European Policy Centre (CEP) di Belgrado e membro del Balkans in Europe Policy Advisory Group (BiEPAG).
Insieme a Majstorović esploreremo cosa rende queste proteste così diverse da quelle del passato, esaminando le richieste che stanno mettendo alle strette il regime. Ma anche il ruolo dell’Unione Europea e le potenziali conseguenze di questo nuovo movimento di piazza.
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Qualcosa sta cambiando
Perché il crollo della tettoia di una stazione ferroviaria ha scatenato una protesta di queste dimensioni?
«È molto semplice. Perché la corruzione diffusa ha iniziato a uccidere. Questa tragedia ha scatenato l’indignazione dei giovani, che ora si sono risvegliati. Si tratta di una nuova generazione che non ha mai partecipato alla vita politica nel modo e nei numeri che vediamo oggi.
Per la Serbia si tratta di un momento cruciale, che segna un cambio di generazione politica. Quella che è attualmente al potere è la stessa che ha governato negli anni Novanta, durante la disgregazione dell’ex-Jugoslavia, le terribili guerre e la transizione economica e sociale che ancora non è conclusa.
Questi giovani sono invece liberi da quell’esperienza. Sono più connessi e consapevoli di ciò che sta accadendo in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Nonostante abbiano una via d’uscita - se vogliono andarsene, possono farlo - hanno scelto di rimanere e di lottare per rendere la Serbia un posto migliore per il loro futuro. Hanno anche riconosciuto l’importanza di un principio fondamentale della democrazia: che dobbiamo essere tutti uguali davanti alla legge.
Sostengono lo Stato di diritto, indipendentemente dall’appartenenza o l’affiliazione a un partito politico, e chiedono che i responsabili delle 15 morti a Novi Sad siano chiamati a risponderne».
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Quali sono le loro richieste?
«Questa nuova generazione è stata particolarmente intelligente da evitare la trappola dell’ideologizzazione della questione, ed è stata capace di rimanere alla larga da argomenti politici tossici e divisivi.
Le loro richieste sono precise, dirette e semplici, il che rende estremamente difficile per il governo soddisfarle. E soprattutto si basano su principi democratici fondamentali.
In primo luogo chiedono la piena trasparenza dei progetti pubblici, attraverso la pubblicazione della documentazione completa sulla ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad. Ciò consentirebbe il pieno accesso a tutti i documenti, facendo sì che il governo non possa nascondere nulla.
In secondo luogo il ritiro delle accuse contro i manifestanti arrestati durante le prime proteste antigovernative di novembre. Molti manifestanti hanno subito violenze e sono stati accusati ingiustamente di reati che non hanno commesso.
Esigono inoltre che vengano formulate accuse penali nei confronti di coloro che li hanno aggrediti durante le proteste fuori dalla Facoltà di Lettere e Filosofia. Dal momento in cui è stato dimostrato che sono affiliate al partito al potere, queste persone devono anche dimettersi dagli incarichi pubblici. È un passo necessario per spezzare il circolo vizioso di un partito al potere che tiene in ostaggio uno Stato intero.
Infine i sindacati studenteschi chiedono un aumento dei finanziamenti statali per le università, che da anni soffrono per i grossi tagli».
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Che impatto stanno avendo queste proteste sulla società serba?
«Le proteste studentesche stanno avendo un impatto profondo, che è lento ma inesorabile. I cittadini cominciano a sentirsi liberati dalla paura e più al sicuro nell’esprimere critiche contro il governo.
Si tratta di uno sviluppo delicato ma significativo in una società dominata dal partito al potere, dove il 99% dei media è sotto il controllo del governo. In un ambiente del genere questo ritrovato senso di auto-liberazione è estremamente importante.
È una dinamica nuova portata dagli studenti, che sta amplificando l’impatto delle proteste in tutto il Paese».
La prospettiva di un nuovo futuro per la Serbia
Nel 2023 in Serbia sono scoppiate grandi proteste in seguito a due sparatorie di massa, ma non hanno portato a un cambiamento politico. Le attuali proteste rischiano di avere lo stesso esito?
«Le attuali proteste sono fondamentalmente diverse, perché i fattori principali della mobilitazione sociale sono cambiati.
Nel 2023, i manifestanti appartenevano in gran parte alla generazione che ha vissuto l’epoca di Milosević, mentre mancava il nuovo slancio degli studenti che vediamo oggi.
Se queste proteste avranno la forza di portare a un cambiamento politico, dipenderà da quanto gli studenti saranno determinati a sostenere lo slancio e a mantenere alta la pressione.
In ogni caso, devono rimanere loro la principale forza trainante, mentre le generazioni più anziane devono aiutarli ad articolare le loro richieste e proposte. Anche il sostegno di professori, artisti, avvocati e altri professionisti è molto più esplicito rispetto al passato.
Un’altra grande differenza riguarda il numero di piccole città in cui la gente protesta contro il governo per la prima volta da decenni.
Questo regime si trova ad affrontare un gruppo di giovani risoluti, e la sua reazione di panico dimostra chiaramente che non sa come rispondere a un’ondata di idee e di energia fresca. Sono più ottimista ora di quanto non lo fossi solo un paio di mesi fa.
Se avremo successo insieme, la Serbia potrebbe diventare un luogo molto diverso nel giro di pochi anni. Potrebbe tornare al pieno rispetto dello Stato di diritto, ristabilire una chiara separazione dei poteri, ripristinare il sistema giudiziario e diventare un partner affidabile per l’Europa. La Serbia potrebbe unirsi al Montenegro e all’Albania come Paese più avanzato nel processo di adesione all’Ue e persino risolvere la questione dei rapporti con il Kosovo.
Se riusciremo a raggiungere questo obiettivo, la Serbia potrebbe emergere come leader nella regione, favorendo uno sviluppo positivo nei Paesi vicini, in particolare in Bosnia ed Erzegovina».
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Pensa che tutto ciò possa essere realizzato anche con il presidente Vučić ancora al potere?
«Penso che sia necessario un cambiamento. Aleksandar Vučić è al potere ininterrottamente da 13 anni e appare stanco. È ora che consideri il suo futuro al di fuori della politica per il bene del Paese e della società.
La maggioranza dei cittadini lo considera incapace di cambiare e di andare contro gli interessi del suo partito.
Chiaramente il cambiamento non avverrà nel giro di un giorno o un mese. Sarà necessario un processo di articolazione di proposte politiche sostenibili, negoziati all’interno della società e, forse, sostegno dall’estero per uscire da questa crisi».
Ultima chiamata per l'Ue
A differenza delle proteste di massa in Georgia, a Belgrado non sono visibili bandiere dell’Unione Europea. Perché?
«Questa è un’altra decisione intelligente presa dagli studenti. Hanno evitato di cadere nella trappola della divisione. Purtroppo l’adesione all’Unione Europea è uno dei temi divisivi in Serbia.
Non tutti gli studenti sono necessariamente favorevoli all’Ue o comprendono appieno cosa significherebbe per loro l’adesione all’Unione.
Questa esitazione deriva da oltre un decennio di rappresentazione tossica dell’Ue da parte del partito al governo. Gli studenti hanno scelto saggiamente di non sventolare alcuna bandiera con significati politici, a parte quella serba, perché stanno lottando per il rispetto dello Stato di diritto nel proprio Paese».
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Qual è il sentimento attuale in Serba nei confronti dell’Unione Europea?
«È un sentimento gravato dalle notizie distorte dei media, soprattutto quelli allineati con il governo.
Il 21 gennaio abbiamo celebrato l’11° anniversario dell’inizio dei negoziati di adesione all’Unione Europea. Tuttavia in questi 11 anni, da democrazia consolidata, la Serbia è diventata un regime ibrido.
Negli ultimi 13 anni questo governo non ha fatto nulla per migliorare la percezione del processo di allargamento dell’Ue o dei requisiti di integrazione.
Il sentimento dei cittadini verso l’Ue - meno del 50% di loro oggi la supporta - è il prodotto di un’artificiosa e sistematica campagna mediatica orchestrata e promossa dal governo.
Nessuno chiede all’Ue di interferire in questo processo. Quello che chiediamo - e che sarebbe vantaggioso per l’Unione stessa - è che Bruxelles chiami le cose con il proprio nome.
Quando la libertà dei media e la libertà di espressione vengono attaccate, quando gli attivisti della società civile vengono presi di mira, quando gli attivisti per l’ambiente subiscono violenze e quando gli attivisti per i diritti delle minoranze o di genere vengono oppressi, l’Ue dovrebbe affermare chiaramente che queste azioni sono inaccettabili.
Non reagendo e chiudendo un occhio, Bruxelles permette al regime di scampare alle proprie responsabilità. Perché il governo può affermare che la Serbia sta compiendo lenti progressi verso l’adesione.
Ma come ci si può aspettare che la Serbia adotti l’acquis dell'Ue, se non rispetta nemmeno la propria Costituzione e la propria legislazione?
I principi dello Stato di diritto sono l’essenza stessa del processo di adesione. Se l’Unione Europea rimane in silenzio, rischia di perdere anche la poca credibilità rimasta di garante della modernizzazione e dell’europeizzazione della Serbia».
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi al bancone di BarBalcani assaggiamo l’orahovača, un distillato particolarmente popolare in Serbia, ricavato a partire dalle noci.
L’orhovača appartiene alla famiglia della rakija, una categoria di alcolici ottenuti attraverso la fermentazione e distillazione di frutta, oppure dall’aggiunta di aromi naturali alla base di uva o prugne fermentate e distillate.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la tredicesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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