S5E16. L'ombra del litio aleggia anche sulla Bosnia
Gli abitanti dell'area del massiccio di Majevica si stanno opponendo all'apertura di una nuova miniera nel cuore del parco naturale. Come in Serbia, si legano interessi economici e geopolitici
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C’è un nuovo pericolo per l’ambiente e la democrazia nella penisola balcanica.
È ancora alle battute iniziali, ma da come si imposterà l’inizio di questo processo dipenderà molto del destino di un parco conosciuto finora per i suoi panorami mozzafiato e le escursioni in mezzo alla natura incontaminata.
Da qualche mese il massiccio di Majevica è sotto i riflettori in Bosnia ed Erzegovina. E non solo perché potrebbe diventare un parco naturale protetto dall’Unione Europea.
Dopo la scoperta di un giacimento di litio a Lopare, nel cuore del parco naturale, si sta aprendo la caccia alla risorsa naturale più richiesta del millennio.
Ancora una volta gli interessi economici potrebbero essere messi davanti alla volontà delle persone che vivono sul territorio, prevaricando la richiesta dal basso di non stravolgere l’ambiente naturale per obiettivi politici e geo-strategici.
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Una storia già vista
Era marzo 2024 quando venivano resi pubblici i risultati delle ricerche geologiche condotte dalla società svizzera Arcore AG nell’area di Lopare, a una quindicina di chilometri da Tuzla, nel nord-est della Republika Srpska (l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina).
Si stima che sia presente un giacimento di 1,5 milioni di tonnellate di carbonato di litio, 94 milioni di tonnellate di solfato di magnesio e 17 milioni di tonnellate di boro.
Il luogo degli scavi per aprire la miniera di litio sarebbe proprio nel massiccio montuoso di Majevica, dove attualmente è in corso una procedura che potrebbe consentirne la classificazione come sito protetto Natura 2000.
Il parco naturale di Majevica è diventato una destinazione turistica in piena espansione, sia per gli escursionisti sia per viaggiatori alla scoperta di una regione ancora poco conosciuta per la sua ricchezza storico-culturale.
Il giacimento potrebbe rappresentare un fattore di svolta epocale per la regione di Tuzla e per tutta la Republika Srpska, al punto che il suo presidente Milorad Dodik - impegnato in una lotta incostituzionale per la secessione da Sarajevo - l’ha definito «un’opportunità di sviluppo da non perdere».
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Tuttavia, le conseguenze ecologiche potrebbero essere drammatiche. Majevica si trova nelle immediate vicinanze del bacino idrografico del fiume Gnjica, un affluente della Sava (a sua volta affluente del Danubio), e del fiume Janja, che sfocia nella Drina.
Oltre all’enorme quantità di acqua richiesta dal processo estrattivo del litio, l’inquinamento delle falde sotterranee porterebbe alla contaminazione dei principali corsi d’acqua della regione.
È per questa ragione che la comunità locale è in rivolta contro il progetto di sfruttamento del giacimento, attraverso una petizione contro l’assegnazione delle concessioni di estrazione.
Una storia che in fondo nei Balcani si è già vista.
In Serbia, nella valle di Jadar, è dal 2004 che la popolazione locale sta lottando contro l’apertura di una miniera di litio da parte del colosso multinazionale delle estrazioni minerarie Rio Tinto.
Una battaglia ambientale e sociale che si sta allargando a macchia d’olio in tutto il Paese, in quanto parte della protesta contro la corruzione del regime del presidente Aleksandar Vučić.
E che sta dimostrando quali e quanti interessi economici e geo-strategici si possono scoprire insieme a una miniera di litio.
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È sempre una questione europea
Dopo la Serbia, è ora la Bosnia ed Erzegovina ad attirare l’attenzione delle multinazionali dell’estrazione mineraria per i suoi giacimenti di litio. Secondo gli studi di Arcore AG, la miniera di Lopare potrebbe avere una durata di sfruttamento di 65 anni.
Il litio è un metallo la cui domanda è in continua crescita, e lo sarà ancora a lungo. Perché è la materia prima essenziale per le batterie non solo degli smartphone, ma soprattutto dei veicoli elettrici.
Insomma, il litio giocherà un ruolo essenziale per la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Ecco perché tutti gli attori internazionali stanno spingendo per garantirsi quanto più litio possibile. Inclusa l’Unione Europea, che ha un disperato bisogno di una risorsa mineraria indispensabile per la transizione verde del settore automobilistico.
Bruxelles lo ha dimostrato con il Memorandum d’intesa sul partenariato strategico Ue-Serbia sulle materie prime sostenibili, le catene del valore delle batterie e i veicoli elettrici, siglato a Belgrado nel luglio 2024.
Un’intesa che sta già mostrando come l’Unione possa facilmente scoprire il fianco ai ricatti ai leader autoritari, e dare priorità agli interessi economici più che al rispetto dei principi dello stato di diritto su cui l’intero progetto europeo si fonda.
«Se questo è vero, se i principi democratici fondamentali venissero compromessi in cambio di guadagni economici a breve termine, si tratterebbe di un approccio miope e neocolonialista», è l’accusa lanciata dall’eurodeputato sloveno Vladimir Prebilič (Verdi/Ale), in un’intervista rilasciata a BarBalcani. «Stringere accordi con autocrati solo per l'accesso alle materie prime non dovrebbe mai essere la strategia dell’Ue».
Al contrario «qualsiasi forma di assistenza o cooperazione deve essere radicata nei nostri valori democratici fondamentali», spiega Prebilič, ricordando che «sebbene le democrazie non siano perfette, sono di gran lunga superiori ai regimi autocratici».
Secondo l’eurodeputato sloveno, «se vogliamo rimanere onesti con i nostri partner, dobbiamo incoraggiarli a sostenere i principi democratici». In particolare nella regione balcanica, dove «qualsiasi deterioramento politico avrebbe conseguenze dirette» sul resto del continente. «Ignorarlo sarebbe estremamente imprudente».
Per questo motivo il Parlamento Europeo «non sosterrà mai» lo sfruttamento delle risorse «se questo è in contrasto con la volontà popolare e con i principi democratici», dalla Serbia alla Bosnia ed Erzegovina, mette in chiaro Prebilič.
Ciò che l’istituzione Ue può fare è «sensibilizzare l’opinione pubblica, sostenere coloro che lottano per i propri diritti e il benessere nazionale» e garantire che il percorso dei Paesi candidati all’adesione «sia in linea con i valori europei».
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Oggi il bancone di BarBalcani rimane nel cuore del parco naturale bosniaco, alla scoperta dei vigneti alle pendici del monte Majevica.
Gli antichi Celti chiamavano questa terra Lubnichi (Ljubniča), che significa “fruttuosa”. Le mappe austro-ungariche del XIX secolo attestano la fertilità del territorio, che forniva all’Impero varietà di uve di alta qualità per vini pregiati.
Dopo le guerre mondiali del XX secolo la tradizione della viticoltura è andata quasi perduta. Almeno fino al 2013, quando nel paese di Bukvik è stata fondata l’azienda vinicola Pajić, con i primi 1,5 ettari di vigneti piantati a Sauvignon Blanc, Merlot e Chardonnay.
L’obiettivo della famiglia Pajić è quello di recuperare questo patrimonio storico, come dimostrato dalle etichette dei suoi vini. Il design rappresenta un’antica mappa ritrovata negli archivi catastali di Vienna, a testimonianza dell’eredità vitivinicola di Bukvik.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la diciassettesima tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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