XXXIX. Questo fiore è per Hyso
Per la 26ª Giornata della Memoria e dell'Impegno di Libera, la storia di Hyso Telharaj, ragazzo albanese di 22 anni ucciso dal caporalato in Puglia. Vittima innocente di mafia
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali nel 30° anniversario dalle guerre nell’ex-Jugoslavia.
È la vigilia del 21 marzo.
Il primo giorno di primavera. La Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
Anche la redazione di BarBalcani si unisce alla lettura dell’elenco delle 1031 vittime innocenti di tutte le mafie dell’associazione Libera e dedica questa tappa alla memoria di una di loro.
Il suo nome è Hyso Telharaj.
Un ragazzo albanese di 22 anni, assassinato per essersi rifiutato di chinare il capo ai soprusi del caporalato in Puglia.
Questo fiore - il simbolo della rinascita - è per Hyso.
Un ragazzo deciso
Hyso Telharaj nasce nel 1977 in un piccolo paese vicino a Valona, in Albania. Nella sua famiglia sono in sei fratelli e sorelle, cresciuti dalla madre che deve anche lavorare e badare al marito, costretto a letto per un grave incidente.
Hyso è bravo a scuola, impara in fretta e legge molto. Cresce con un forte senso di responsabilità, che lo spinge a partire per la Grecia a 13 anni per guadagnare un salario come muratore e aiutare la madre a mantenere la famiglia.
Il ragazzo è benvoluto dai colleghi e anche dal capo, che lo tiene in casa con sé. Sul lavoro fa passi da gigante: impara non solo a costruire le case, ma anche a progettarle.
Per anni manda i suoi risparmi in Albania per sostenere la famiglia. Ma nel 1999, dopo aver costruito la casa per i suoi genitori, decide di riprendere a studiare.
Vuole fare il geometra.
Per l’Albania sono anni difficili. Dopo la caduta della dittatura, l’assenza dello Stato spinge un intero popolo a scappare, a provare a ricostruirsi una vita altrove. Le coste italiane sono il teatro di quella fuga.
Hyso decide di seguire l’esempio di tanti suoi connazionali. Parte per l’Italia con il cugino 17enne, Simon Tragaj, ma non fa sapere alla famiglia come. Sicuramente su uno dei tanti gommoni.
Una volta sbarcato sulle coste della Puglia, Hyso vuole mettere da parte i soldi per iscriversi a scuola.
Inizia a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata.
Ma non sa che la vita dei braccianti agricoli pugliesi è scandita da regole ferree e che non può sfuggire al sistema di controllo del caporalato.
Che non è libero di scegliere per sé.
Hyso ha già lavorato per tanti anni. Non accetta di cedere ai ricatti dei caporali e si rifiuta di consegnare parte dei suoi guadagni.
Di certo non si rende conto che il suo gesto è un atto di ribellione estremo, perché la mafia non accetterà mai che qualcuno possa contestare chi comanda.
Hyso è in Italia da pochi mesi. I compagni dei campi lo avvisano che le persone a cui si è opposto lo stanno cercando. Gli viene suggerito di fuggire, ma lui non lo fa.
Una sera, a bordo di una Fiat Croma guidata da Addolorato Pompeo Todisco, imprenditore agricolo di Orta Nova, arrivano quattro persone: una donna polacca e tre uomini albanesi armati.
L’imprenditore e la donna rimangono in macchina. Vrapi Edmond, Celhaka Kuitim e Vrapi Lua entrano nel casolare in cui vivono Hyso e il cugino Simon.
I due ragazzi vengono picchiati e poi vengono sparati nove colpi di arma da fuoco: Simon viene gambizzato, Hyso morirà il giorno stesso per le ferite riportate.
È l’8 settembre 1999.
La notizia arriva in Albania. Viene informato il fratello maggiore di Hyso, Ayet Telharaj, ma per 20 giorni non dice nulla a nessuno. Non vuole causare un dolore straziante ai genitori e alle sorelle prima dell’arrivo della salma.
Tra il 25 e il 26 settembre il corpo senza vita di Hyso viene riportato nel paesino vicino a Valona.
Il ragazzo viene sepolto nella sua terra e per anni di ciò che è successo in Italia non ne parlerà più nessuno in famiglia.
Memoria concreta
Passano 13 anni.
È il 2012 quando Ajada, una ragazza di origine albanese, partecipa a un campo di E!State Liberi! a Mesagne (Brindisi), nella villa confiscata al boss della Sacra Corona Unita, Donato Screti.
Un pomeriggio un volontario di Libera racconta la storia di Hyso. Ajada rimane colpita. Vuole che anche in Albania si sappia che la memoria del ragazzo è ancora viva nei racconti dell’associazione antimafia italiana.
Alla fine del campo Ajada porta con sé una bottiglia di vino che porta il nome “Hiso Telaray” (al tempo non si conosceva la giusta ortografia, senza documenti né testimonianze). Ajada vuole rintracciare la famiglia e consegnargliela.
Dare un nome ai morti restituisce loro umanità e unicità.
Il nome di Hyso è scandito ogni anno durante la Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera. Il nome di Hyso è stato scelto per intitolare la prima cooperativa pugliese Libera Terra, il primo vino prodotto dai vigneti che un tempo appartenevano alla mafia. Al nome di Hyso è stato dedicato il presidio di Libera di Cerignola.
Ma Hyso per tanti anni in Italia ha avuto un nome, ma non un volto.
Servono 4 anni ad Ajada per riuscire a rintracciare la famiglia. Nel 2016 si mette in contatto con Polikseni Telharaj, una delle sorelle di Hyso, a cui scrive una lunga lettera.
Durante l’estate va a conoscere tutta la famiglia in Albania. Grazie alla forza della testimonianza e alla concretezza della bottiglia di vino - che ha messo un punto fermo nella memoria collettiva - convince i genitori, il fratello e le sorelle a intraprendere il viaggio in Italia.
Nell’autunno del 2016 i familiari di Hyso portano in Puglia le fotografie del ragazzo e il suo passaporto, consegnato direttamente da Ayet nelle mani di Daniela Marcone, vicepresidente di Libera.
Sotto gli ulivi confiscati alla mafia cerignolana, il nome di Hyso torna ad avere un volto.
Negli stessi giorni viene approvata la legge numero 199 del 29 ottobre 2016: “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”.
La giustizia non si ferma
Riavvolgendo il nastro, dopo la spedizione punitiva, il 24 novembre 1999 tutti e cinque i responsabili ricevono un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio volontario e lesioni personali aggravate.
Il 24 novembre 2009 in primo grado la Corte d’assise di Foggia condanna i tre albanesi a 21 anni ciascuno, mentre Todisco a 14 anni per concorso anomalo in omicidio.
L’8 febbraio 2011, in appello a Bari viene confermata la condanna per i tre esecutori, mentre l’accusa di concorso in omicidio per l’imprenditore pugliese viene derubricata in quella di favoreggiamento, reato prescritto.
Luan Vrapi, accusato e condannato come autore del reato, è però riuscito a fuggire in Albania.
Ma grazie alla costante collaborazione tra la polizia italiana e quella albanese, il 9 luglio 2020 l’omicida 47enne viene rintracciato nella capitale Tirana dal Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (SCIP) ed estradato in Italia.
Un’operazione che conferma la sinergia tra Italia e Albania nella lotta all’illegalità, dal traffico di droga alla tratta di esseri umani. Ma anche che Hyso non è mai stato dimenticato, come ha sottolineato il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro:
«È la concretezza della giustizia. Noi il nostro dovere lo avevamo fatto condannando i responsabili, ma non avevamo dimenticato. E questo conferma il momento particolarmente positivo sul nostro territorio nel contrasto all’odioso fenomeno dello sfruttamento, col massimo impegno della magistratura e delle forze dell’ordine, come dimostrano le tante operazioni contro imprenditori e caporali».
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio in memoria di Hyso Telharaj, vittima innocente del fenomeno mafioso.
Un ragazzo che è arrivato in Italia con il desiderio di studiare e costruirsi un futuro, e che invece ha dovuto pagare con la vita il suo NO ai soprusi e alla violenza della mafia.
Ma che ha trovato anche - nonostante non potrà mai saperlo - una comunità che porterà avanti la sua memoria e che ha impresso il suo nome nelle terre che un tempo erano proprietà dei boss della Sacra Corona Unita.
Hiso Telaray è infatti il nome dell’attività vitivinicola della Cooperativa Sociale Terre di Puglia, che opera sui beni confiscati alla criminalità organizzata pugliese.
La cooperativa gestisce 25 ettari a vigneto nella provincia di Brindisi, nei comuni di Mesagne, Torchiarolo e San Pietro Vernotico.
Il vitigno principe é il Negroamaro, utilizzato per vini dallo stile elegante, che rendono giustizia alle caratteristiche di questa varietà autoctona salentina.
Che rendono giustizia anche alla storia di Hyso, grazie al vino rosso e rosato a lui dedicati.
Etichette che portano impresse nel loro nome la memoria delle vittime innocenti e l’impegno della lotta antimafia.
Ogni giorno.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarantesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
«Perpetuando il suo nome, si è fatto il suo ritorno alla vita, anche se non fisicamente. Oggi l’Italia è il Paese della sua seconda rinascita, dal momento che lì non sarà mai dimenticato.
In questi anni ho spesso immaginato la famiglia e la casa che Hyso ha sempre desiderato ma che non è riuscito a costruire per se stesso. Mi è mancata quella casa, l’ho pensata e questo pensiero mi ha perseguitato per 17 anni.
Adesso quella casa io l’ho trovata, lì nel terreno che porta il suo nome. Lì mi sembrava di poter respirare finalmente con leggerezza, è come se avessi trovato un pezzo di lui. Mi è sembrato come se Hyso mi guardasse dall’alto, non riuscendo tuttavia a parlarmi.
Saremo grati per tutta la vita a tutti quanti voi per aver reso immortale il suo nome».
Polikseni Telharaj
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