XLII. Ladri di biciclette
A Lubiana è stata sgomberata la Fabbrica Autonoma Rog, casa della cultura alternativa slovena. Mentre aumenta la pressione sulle istituzioni indipendenti o critiche verso il potere politico
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali nel 30° anniversario dalle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Non siamo a Roma, non siamo negli anni Quaranta e i protagonisti di questa tappa non sono né attacchini né piccoli malavitosi.
Ma pur sempre di Ladri di biciclette stiamo parlando.
Perché in Slovenia, nella capitale Lubiana, qualcosa è stato sottratto alla realtà popolare e qualcos’altro rischia di fare la stessa fine.
Con la prospettiva che la perdita sia irreversibile e ogni sforzo per rimediare, vano.
Di cosa stiamo parlando?
Lo scoprirai subito.
La fabbrica del dissenso
Lubiana, 7 del mattino di martedì 19 gennaio.
Nel triangolo delimitato dalle strade Trubarjeva, Petkovškovo e Rozmanova, gli agenti di una società di sicurezza privata - accompagnati dalle forze di polizia in assetto antisommossa - fanno irruzione nella Fabbrica Autonoma Rog.
Utilizzando un livello di violenza spropositato rispetto al necessario (una decina di feriti e 12 arrestati, con lacrimogeni utilizzati anche contro i cittadini radunati all’esterno), gli agenti sgomberano i locali occupati da più di un centinaio di persone.
Materiale sequestrato e tutti gli occupanti sfrattati.
Di fatto hanno posto la pietra tombale a 15 anni di esperienza del Centro Culturale Autonomo di Rog.
Uno spazio autogestito, nel quale hanno trovato rifugio migranti, circensi e cittadini che per scelta o imposizione si trovano ai margini della società.
Il Centro Culturale Autonomo di Rog nacque nel 2006 sulle ceneri del complesso di una fabbrica - la Rog Biciclette, attiva dal 1951 al 1991. Il sito era da 15 anni in stato di abbandono, nonostante il riconoscimento come patrimonio nazionale e l’acquisto del Comune di Lubiana nel 2002.
Sebbene privo di permessi di occupazione, il Centro Culturale ha creato negli anni spazi autogestiti dedicati all’arte, alla musica e allo sport, ma anche al sostegno di rifugiati e soggetti fragili.
C’erano una clinica medica per richiedenti asilo, una sala da concerto, un campo da calcio, il più grande skate park indoor dei Balcani, uno spazio per il circo, atelier e gallerie di artisti e un laboratorio di graffiti.
Il centro era la casa di molti gruppi, come Antifašistična Fronta (Fronte antifascista), Nevidni delavci sveta (Lavoratori invisibili del mondo) e un collettivo anarco-queer-femminista.
«Persone che non hanno ceduto ai dettami della cultura capitalistica», ha spiegato in un’intervista a OBC Transeuropa l’antropologa e anima del Centro Culturale, Zana Fabjan Blažič. «Persone che, nonostante le pressioni della capitale e della polizia, hanno saputo rendere questa città vivace, attiva e degna di essere vissuta».
Già dal 2010 il sindaco Zoran Janković minacciava lo sfratto, dissuaso più volte dal sostegno della comunità locale e delle organizzazioni di cittadini. L’ultimo tentativo era stato nel 2016, proprio nell’anniversario dei 10 anni dalla nascita della Fabbrica Autonoma Rog.
«Il comune di Lubiana non tollera il fatto che mostriamo lo specchio della loro politica, che sta mettendo il profitto davanti alle persone e sta trasformando la città in una Disneyland per i turisti», ha aggiunto Blažič.
Al centro degli attacchi c’è la modalità di riqualificazione dell’ex-fabbrica Rog da parte dell’amministrazione pubblica.
Nel 2010 la città di Lubiana aveva partecipato al progetto “A Second Chance: From Industrial Use to Creative Impulse”, con Norimberga (ex-fabbrica AEG), Lipsia (HALLE 14 dell’ex-Cotton Spinning Mill), Venezia (Arsenale) e Cracovia (deposito di tram).
Il progetto “Solidarietà” di Lubiana mira a trasformare l’ex-fabbrica di biciclette nel Rog Center for Contemporary Arts, uno spazio creativo di 8 mila metri quadrati da realizzare entro due anni.
L’obiettivo dei collettivi occupanti è sempre stato quello di combattere contro l’accelerazione della gentrificazione della città e le crescenti disuguaglianze della società slovena.
«I programmi sociali ed educativi che per anni hanno arricchito la città vengono spazzati via da decisioni arbitrarie e la cultura alternativa ha perso uno spazio di espressione e di vita», ha accusato il partito di opposizione Levica:
«A Rog, tutti potevano trovare il loro posto al sole. Anche quelli che la società moderna, concentrata su una crescita senza fine e profitti incommensurabili, descriveva come inutili, improduttivi, inappropriati. Chi a Lubiana è ossessionato da progetti megalomani, che nascondono dietro i muri ristrutturati i veri disagi, ha completamente dimenticato quelli che erano disposti a offrire un aiuto disinteressato. Quelli che sono stati cancellati dalla società, letteralmente e figurativamente».
Voci scomode
Se lo sgombero di un centro occupato può essere un tema controverso, è invece un fatto che negli ultimi mesi il settore culturale sloveno ha subito pressioni crescenti. Soprattutto quello indipendente o critico con il potere politico.
Uno dei casi più evidenti è il licenziamento di Zdenka Badovinac, direttrice del Museo di Arte Moderna di Lubiana (effettivo dal 24 dicembre 2020).
Dal 1993 Badovinac ha guidato lo sviluppo dell’istituzione culturale, rendendola una delle più progressiste di tutta la regione e promuovendo nuove letture dell’avanguardia jugoslava nel XX secolo.
Uno sviluppo culturale che ha pestato i piedi al governo nazionalista e conservatore di Janez Janša (al suo terzo mandato complessivo).
In un’intervista per la rivista Apollo, l’ex-direttrice ha descritto la sua rimozione come «assolutamente politica», confrontando i tentativi del governo sloveno di reprimere l’espressione artistica a quelli già messi in atto in Ungheria e Polonia:
«Accanto ai contesti culturali dell’arte contemporanea, o di qualsiasi altro che ospiti critiche sociali, noi - e intendo la comunità artistica - siamo visti come una minaccia».
Nello stesso mese in cui è stata allontanata dalla direzione del Museo, Badovinac ha ricevuto il prestigioso Igor Zabel Prize per il suo “eccezionale contributo alla storia dell’arte”.
E a conferma che la minaccia è percepita in maniera diffusa, il 17 novembre più di mille professionisti della cultura ed esponenti di spicco della società civile slovena hanno recapitato una lettera aperta al ministro della Cultura, Vasko Simoniti:
«Il settore della cultura è stato gravemente colpito dall’epidemia di Coronavirus ed è stato ulteriormente influenzato dalle decisioni del Ministero, che minacciano il patrimonio vivente, la professionalità e l’autonomia degli organi decisionali e delle istituzioni culturali».
Più esplicitamente, gli oltre mille firmatari hanno denunciato il licenziamento sia di Badovinac sia di Matevz Celik, direttore del Museo di architettura e design dal 2010.
Ma c’è di più. È stata brutale la condanna della creazione di nuove istituzioni, come il Museo dell’indipendenza della Slovenia: «Un progetto ideologico al servizio del potere», proprio nel momento in cui vengono tagliati i fondi pubblici alla cultura.
C’è infine un altro chiaro esempio di pressione indiretta sulle voci alternative rispetto al megafono del governo nazionalista.
È quello che coinvolge Radio Študent - una delle più antiche emittenti radiofoniche studentesche indipendenti di tutta Europa - che trasmette programmi musicali e informativi su temi trascurati dagli altri media e forma nuove leve del giornalismo.
L’emittente, con i suoi 200 collaboratori, garantisce 17 ore di programmazione live al giorno e più di 5.500 contributi editoriali ogni anno.
Nonostante ciò “l’editore”, l’Organizzazione studentesca dell’Università di Lubiana (ŠOU), lo scorso 5 gennaio ha spiazzato i rappresentanti di Radio Študent con un aut aut: privatizzare o rassegnarsi all’autosufficienza.
La scelta dipendeva da un’imposizione di base, cioè il taglio dei fondi. In altre parole, il bilancio per il 2021 dell’Organizzazione studentesca non prevedeva la voce di co-finanziamento per l’emittente radiofonica indipendente.
L’allarme per la sopravvivenza è stato lanciato l’11 gennaio dalla direttrice, Ana Kandare, e dal caporedattore responsabile, Matjaž Zorec, in conferenza stampa:
«Si tratta di una strumentalizzazione politica della ŠOU, che ci vorrebbe privare di ogni possibilità di co-finanziamento nell’ambito dei progetti europei. Siamo chiaramente un peso di cui sbarazzarsi il prima possibile. Ci chiediamo allora fino a che punto la ŠOU rappresenti gli interessi della comunità studentesca in generale, dal momento in cui sono evidentemente disturbati dalla cronaca critica e dall’opposizione democratica».
C’è da riconoscere che l’editore studentesco copre solo il 25% del budget di Radio Študent. Tuttavia, togliere proprio quel quarto dei fondi - in concreto, 120 mila euro all’anno - mette in serio pericolo anche l’intera struttura di co-finanziamento attraverso progetti nazionali ed europei.
Il 12 marzo è arrivata una notizia solo parzialmente positiva. Radio Študent ha sì evitato di perdere completamente il finanziamento dalla ŠOU, ma quest’anno saranno tagliati i fondi del 30% rispetto al 2020.
Significa quasi 40 mila euro in meno. Gli 84 mila euro totali non saranno sufficienti per far funzionare le attività giornalistiche senza ripercussioni, hanno fatto sapere dall’emittente indipendente.
Per questo motivo, «i piani di sviluppo della radio dovranno lasciare il posto a strategie di sopravvivenza innovative, a causa della riduzione dei finanziamenti da parte dell’editore».
Le minacce per il settore culturale e giornalistico indipendente in Slovenia pendono come una spada di Damocle.
Lo spirito di resistenza sembra però tutt’altro che sopito.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Per salutarci, ci facciamo consigliare qualcosa di coerente con l’atmosfera.
Il nostro oste di fiducia mette sul bancone di BarBalcani alcune bottiglie del birrificio artigianale di Lubiana Tektonik.
Un birrificio che prende estremamente sul serio la propria missione di instaurare un confronto con i coltivatori, selezionare materie prime di alta qualità e creare una gamma di ricette originali che nulla hanno a che fare con la produzione industriale.
Un approccio moderno, con tecnologie all’avanguardia, che hanno permesso di affinare la padronanza anche di pratiche birrarie inglesi, belghe e tedesche.
Dalla Hercule witbier alla Wayne pale ale, dalla Nelson India black ale alla Bergkönig’s Triger lager.
C’è un mondo di birre artigianali pronte per essere stappate a Lubiana, alla salute della cultura libera e indipendente. Contro tutti i ladri di biciclette.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarantatreesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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