XL. Un calcio alla diplomazia
Come la strategia di Madrid per non riconoscere l'indipendenza di Pristina ha messo a rischio la partita Spagna-Kosovo, valida per le qualificazioni mondiali di Qatar 2022
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter che dà voce alle storie dai Balcani occidentali nel 30° anniversario dalle guerre nell’ex-Jugoslavia.
Questa settimana i campionati di calcio si sono fermati per la pausa-nazionali. Approfittiamo anche noi di questa occasione per fare un po’ di luce sugli intrecci tra calcio e politica internazionale.
Per ribadire che, quasi sempre, il calcio è molto più di un gioco.
Partiamo da qui. Quando due nazionali si confrontano in una competizione sportiva è un po’ come se si riproponesse una guerra tra Stati-nazione.
Pacifica, certamente, ma pur sempre uno scontro. In cui alla fine una vince, l’altra soccombe.
Si può dire che, spogliate della retorica guerrafondaia, le competizioni sportive siano l’ultima eredità più meno consapevole di una certa mentalità militaresca.
Anche - o forse soprattutto - nel calcio.
Sul campo “ci si dà battaglia”. Un “cecchino” tira “una fucilata sotto il sette”. Una squadra “assedia” l’altra, che “si arrocca” in difesa. L’attaccante “prende la mira” e “tira una cannonata”. E così via.
Cosa succede però se un esercito in calzettoni e parastinchi deve affrontare un girone pieno di avversari che non riconoscono l’esistenza di quello Stato?
Che probabilmente farà di tutto per rendere quella battaglia sul rettangolo verde un confronto tra pari.
Perché una “guerra convenzionale” tra due nazionali sportive può essere l’anticamera del riconoscimento diplomatico di uno Stato.
Spagna-Kosovo è già iniziata.
Qualificazioni con vista
Spagna, Grecia, Svezia, Georgia e Kosovo sono le cinque squadre che compongono il gruppo B delle qualificazioni valide per i Mondiali di calcio di Qatar 2022.
Per la nazionale kosovara si tratta di uno degli scenari peggiori. Non solo in termini di passaggio del turno - completamente fuori portata - ma soprattutto per le avversarie che si troverà davanti.
Su 4 sfidanti, 3 non riconoscono il Kosovo come Stato indipendente.
Si tratta di Spagna, Grecia e Georgia.
Cosa significa in termini pratici? Ce lo spiegano gli spagnoli, i primi avversari sul cammino del Kosovo.
Spagna-Kosovo si giocherà mercoledì 31 marzo.
La lista dei convocati del tecnico Luis Enrique è stata annunciata dal canale ufficiale della Federazione spagnola (RFEF) con un comunicato che ha creato polemica:
«[La nazionale, ndr] chiuderà la serie di partite mercoledì 31 marzo allo stadio ‘La Cartuja’ di Siviglia contro il territorio del Kosovo».
Il territorio del Kosovo.
La Federazione di calcio spagnola riflette la politica del governo di Madrid: il Kosovo non può essere altro che un territorio, una regione (della Serbia).
La scelta è caduta sulla parola più neutra possibile. Il problema è che anche la neutralità a volte è espressione politica.
Tanto più che il quotidiano sportivo Marca ha rivelato anche che, nelle intenzioni della Federazione, non si sarebbe dovuto mostrare la bandiera del Kosovo al fianco di quella spagnola e l’inno kosovaro si sarebbe dovuto presentare come “musica donata dal territorio del Kosovo”.
L’incidente diplomatico/sportivo è apparecchiato.
Con una nota ufficiale, la Federazione di calcio kosovara (FFK) ha preso una dura posizione:
«I criteri UEFA e FIFA sono chiari e la Spagna lo sa. Qualsiasi cosa detta e scritta non cambia né cambierà queste regole. Se vogliono giustificarsi davanti ai media nazionali è un loro problema, ma il Kosovo non farà alcuna concessione: giocheremo solo secondo i criteri e le regole rigorose della UEFA, con l’inno nazionale e la bandiera, altrimenti la partita non avrà luogo».
La Federazione kosovara si è fatta forte del fatto che dal 2016 è stata accettata come membro UEFA e che le organizzazioni internazionali di calcio riconoscono pari diritti a tutte le federazioni iscritte.
Un giorno più tardi, il 10 marzo, la Federazione spagnola ha fatto un passo indietro e ha confermato che la partita Spagna-Kosovo si svolgerà in conformità con i regolamenti FIFA e UEFA, dichiarando ospitalità alla nazionale kosovara.
Se questa è stata una vittoria di Pirro per il Kosovo, sarà solo il campo a dirlo.
A suon di parole
È chiaro che la questione non si limita a un mero confronto tra nazionali sportive.
Perché se il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia rimane un tema spinoso a livello internazionale [per un approfondimento, ti rimando alla 35ª tappa, Se ti lascio, ti cancello], per i Paesi membri dell’Unione Europea lo è un po’ di più.
Spagna, Grecia, Slovacchia, Romania e Cipro.
Sono questi gli Stati UE che non condividono la posizione comunitaria di facilitare il cammino europeo di Pristina e spalleggiare in maniera implicita la sua indipendenza.
Il 25 marzo il Parlamento Europeo plenaria ha approvato in sessione la relazione della commissione Esteri: i 5 Paesi sono stati invitati a cambiare posizione quanto prima e ad allinearsi agli altri 22 Stati membri [lo trovi spiegato più approfonditamente in questo articolo di Eunews].
Ma Madrid non sembra mostrare alcun segno di cedimento.
Come evidenziato da Pol Vila Sarriá e Agon Demjaha nel documento programmatico Kosovo e Spagna a livello UE: una battaglia di semantica, «la posizione spagnola è stata estremamente legalistica in termini di riconoscimento statale».
Le ragioni del mancato riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo sono diverse, ma «si possono ricondurre alle dinamiche interne alla Spagna».
Vale a dire al rapporto del governo di Madrid con l’autonomia della Catalogna e dei Paesi Baschi.
Non si tratterebbe dunque solo di questioni riguardanti un Paese terzo (la Serbia) e una sua regione secessionista (il Kosovo).
Perché lo stesso Stato-nazione spagnolo si ritrova in casa dinamiche molto simili.
Riconoscere l’indipendenza del Kosovo rappresenterebbe un segnale sgradito nei confronti delle regioni irrequiete, di poter tentare la stessa via. O comunque sarebbe molto difficile da spiegare in patria.
Per questo motivo attenersi al diritto internazionale è diventato per Madrid uno strumento irrinunciabile.
«La Spagna continua ad applicare una politica dura nei confronti del Kosovo a livello comunitario, poiché sostenere il processo di adesione comporterebbe il riconoscimento de facto della sua statualità».
Questo significa condurre una nuova battaglia non tanto (o non solo) sui campi da calcio, ma soprattutto a livello semantico.
Per Madrid, ‘adesione’ (all’UE) e ‘prospettiva’ (europea) hanno significati e connotazioni differenti. Il primo concetto implica «un chiaro riconoscimento delle aspirazioni all’adesione all’Unione», mentre il secondo «ha un significato più vago, un semplice impegno dell’UE nella regione».
Nella prospettiva spagnola - che si attiene scrupolosamente al Trattato sull’Unione Europea - solo gli Stati europei possono aderire all’UE.
Ma il Kosovo non è uno Stato riconosciuto da tutti.
È così che Madrid è diventata custode della neutralità dello status dell’Unione Europea nel dialogo tra Pristina e Belgrado, garantendo al Kosovo solo lenti progressi nel suo cammino europeo.
In altre parole, Bruxelles deve stare sempre bene attenta a non prendere né le posizioni della Serbia, né quelle del Kosovo.
«Quando ciò non è stato garantito in passato, la Spagna ha espresso la sua preoccupazione», ma soprattutto «non ha esitato a porre il veto a dichiarazioni e risoluzioni che non rispettavano la neutralità dello status».
In questo modo si segue una duplice via.
Fintanto che il processo di integrazione del Kosovo nell’Unione Europea «non mina la posizione spagnola e la neutralità dell’UE», non viene ostacolato (come nel caso dell’Accordo di stabilizzazione del 2016).
Appena questo processo «rischia però di assumere connotazioni di riconoscimento statuale», Madrid veste i panni dell’ostruzionista, del garante dei trattati internazionali.
È certamente vero che le battaglie diplomatiche si sviluppano e si articolano dentro i palazzi del potere.
Ma dimenticare l’importanza di quelle giocate dentro gli stadi potrebbe portare direttamente a una Caporetto.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Come sempre, davanti a una partita di calcio serve una buona pinta di birra. Per l’occasione, il nostro oste di fiducia ci consiglia una Sabaja Pils.
Sabaja è il primo birrificio artigianale del Kosovo, fondato a Pristina da Etida Zeka e il marito Alex Butler nel 2013.
La missione su cui si è basata l’esperienza del micro-birrificio è portare un’ondata di novità nel panorama kosovaro delle birre, introducendo per la prima volta nel Paese stili Ale come IPA, Porter e Imperial Stout.
La Pils rimane comunque il cavallo di battaglia, per amanti di birre fresche e di alta qualità, prodotte in maniera artigianale.
Sabah è un termine assorbito dal turco nella lingua albanese e significa “mattina”.
Il nostro oste probabilmente ci sta suggerendo che per i birrifici kosovari, per la nazionale di calcio e per il Paese intero potrebbe essere arrivata l’alba di un nuovo giorno.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra una settimana, per la quarantunesima tappa!
Un abbraccio e buon cammino!
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Io come sempre ti ringrazio per essere arrivato fino a questo punto del nostro viaggio. Se vuoi saperne di più sul rapporto tra calcio e Kosovo, ti consiglio di recuperare la nostra prima tappa (qui invece puoi trovarle tutte):
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