S3E12. L'incantesimo pagano della vita e della morte
Magia bianca e nera, culto dei morti e rituali pre-cristiani costituiscono l'ossatura di una comunità compatta che ha affidato alle sciamane la mediazione spirituale: i valacchi della Serbia orientale
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
Dopo aver messo piede nel mondo del soprannaturale con i licantropi balcanici della serie Netflix Wednesday, abbiamo deciso di andare ancora più a fondo in questa realtà mistica, sociologica e un po’ magica.
Il Paese in cui approfondire alcune specifiche tradizioni culturali ancestrali che ancora sopravvivono alla modernità è la Serbia.
Più nello specifico la Serbia orientale.
Qui vive una comunità particolarmente coesa, che ha fatto della magia pagana il pilastro fondante della propria identità. E l’ha affidato alle donne.
Oggi apriamo la porta dei valacchi di Serbia e - rigorosamente in punta di piedi - andiamo a scoprirne i misteri.
Con un ringraziamento speciale a Marija Stevuljevic e Giorgio Fruscione.
Una comunità ancestrale
Valacco è un termine che affonda le radici nel germanico antico Walhōs - che significa “straniero” - dall’etnonimo della tribù celtica Wolkā.
Il termine, che inizialmente indicava un popolo specifico, mantenne il significato di “straniero”, confondendosi sempre più con “romano” nel gotico Walhs.
Nella loro discesa verso e oltre i confini dell’Impero Romano, tra il III e il VI secolo Ostrogoti e Visigoti utilizzavano la derivazione Welsch per indicare popolazioni sia celtiche sia romanze “straniere” rispetto a loro.
Durante le migrazioni del VII secolo gli Slavi adottarono lo stesso termine (volxъ in lingua proto-slava) per indicare i nativi della penisola balcanica, mentre le comunità di lingua romanza definivano se stesse “romani”.
Anche se le derivazioni di Walhōs nei millenni si sono diramate in tutta Europa - dall’inglese Wales (Galles) al neerlandese Waols (vallone) all’ungherese olasz e il polacco włoch (italiano) - è probabilmente il termine “valacco” quello che ha avuto più fortuna.
A partire dal XIII secolo tutti i popoli tra il Danubio e i Carpazi accettarono di riconoscersi sotto la radice comune “valacco”. E la regione Valacchia.
La Valacchia condivide con la Serbia la parte di confine meridionale dell’odierna Romania.
Nel XVIII secolo nella Serbia orientale (parte dell’Impero ottomano) si registrò un forte fenomeno migratorio verso l’Impero Austro-Ungarico. Interi villaggi abbandonati nella Serbia orientale furono così occupati dagli abitanti del Principato di Valacchia (ottomano), che portarono con sé la propria lingua madre romanza.
Ecco perché si affermarono due termini serbi per definire i valacchi: vlasi indicava prevalentemente quelli che abitavano aldilà del Danubio (le attuali Romania e Moldova), mentre rumuni per quelli aldiqua del Danubio (Serbia).
La pratica si rovesciò dopo l’unificazione tra il Principato di Valacchia e quello di Moldavia nel 1859 e con la formazione dei Principati Uniti Rumeni, il nucleo dello Stato nazionale rumeno, tre anni più tardi.
Fu così che tra la metà del XIX secolo e tutto il XX - compreso il periodo jugoslavo - sul territorio serbo si impose l’uso di “valacchi” per identificare la popolazione di lingua romanza ma, allo stesso tempo, negandole qualsiasi legame con la Romania.
Linguisticamente i valacchi sono divisi in due gruppi: gli ungureni sono più vicini al dialetto rumeno del Banato, mentre i țărani a quello della regione storica della Valacchia.
Secondo il censimento del 2002 in Serbia vivono 40 mila valacchi. Ma, come riportato in uno studio dell’Università di Novi Sad, si stima che possano arrivare a 250 mila, se si considera la lingua madre dichiarata dai cittadini della parte orientale del Paese.
Anche se il processo di assimilazione sta prendendo il sopravvento in quella che era una società basata sulla pastorizia nomade, oggi le comunità valacche della Serbia orientale continuano a mantenere vive la propria lingua e cultura nelle zone rurali.
Sciamane psicologhe
Niente caratterizza l’identità delle comunità valacche in Serbia come la cultura spirituale.
Nascita, crescita, vita e morte sono scandite da una serie di rituali magico-religiosi che sono ancora oggi molto diffusi in modo perlopiù inconsapevole o scaramantico.
Ufficialmente i valacchi appartengono alla Chiesa ortodossa. Anche se non riveste un ruolo identitario cruciale come nel resto della Serbia, ne rispettano le tradizioni e le combinano con pratiche pagane pre-cristiane e paleo-balcaniche.
Chi pratica la magia valacca si considera cristiano-ortodosso e non vede nessun elemento di contraddizione tra le due fedi.
Al contrario, i valacchi hanno introdotto elementi del cristianesimo nei rituali pagani: si fanno il segno della croce quando iniziano, invocano i nomi di Gesù e Maria negli incantesimi e parlano di concetti come il peccato.
Ma l’aspetto pagano è molto più caratterizzante e, secondo la maggioranza degli etnografi, queste pratiche hanno come radice comune il culto degli antenati e lo sciamanesimo, basato sulle antiche divinità dei Traci, Greci e Romani.
La conservazione di questo patrimonio culturale è stata resa possibile dalla tradizionale endogamia delle comunità valacche, che per secoli ne ha portato i membri a non mescolarsi con altri gruppi sociali.
Quella dei valacchi di Serbia rimane così una delle forme di spiritualità più antiche di tutta Europa.
Nella cultura valacca il villaggio può essere considerato come una comunità socio-religiosa, in cui sciamani e maghi rivestono un ruolo centrale.
Anzi, sciamane e maghe.
Perché l’elemento magico si tramanda attraverso il lato femminile della famiglia. Formule e rituali rimangono un segreto custodito all’interno del nucleo familiare, in una sorta di società spiritualmente matriarcale.
Ed è per questo motivo che le donne sono il fulcro dei riti della propria comunità, almeno a partire dal momento in cui raggiungono una determinata età (solitamente i 60 anni) e possono guidare le cerimonie.
Le sciamane sono figure in un certo senso misteriose, che trasmettono messaggi e appelli attraverso rituali basati sull’energia del sole, della luna e delle stelle.
Si crede possiedano conoscenze e abilità mistiche per la prevenzione e la cura delle malattie, la mediazione tra la sfera naturale e quella soprannaturale e soprattutto tra i vivi e le anime degli antenati.
Vita e la morte sono un binomio fondamentale nella cultura valacca, secondo cui un defunto deve trascorrere sette anni come anima errante sulla terra prima di poter andare in paradiso.
I villaggi sono divisi in aree destinate ai vivi e altre ai morti, spesso divise da un fiume, e in molti casi non esistono cimiteri. Familiari e cari del defunto possono accedere al “regno dei morti” per portare cibo e fiori all’anima che si sta purificando.
La magia valacca può essere bianca o nera. Quella bianca ha lo scopo di allontanare le forze del male (come incidenti e malattie) e di garantire felicità e salute. Quella nera di acquisire poteri soprannaturali per mettersi in contatto diretto con i defunti.
Per esempio alcune maghe in trance sarebbero in grado di parlare con i morti di cose note solo ai membri più stretti delle rispettive famiglie e di prevedere il futuro. Ma, una volta risvegliatesi, non sarebbero consapevoli di ciò che hanno visto o detto.
Eppure, se si analizza da vicino la figura delle sciamane - che ormai praticano quasi esclusivamente la magia bianca - sembra di avere a che fare con psicologhe o terapeute.
Quando si ha bisogno di parlare con qualcuno - di un’infatuazione, di un problema, di un lutto - basta andare fino all’estremità del villaggio e bussare alla porta dell’anziana, senza dimenticare un dono con cui omaggiarla.
Con la maga si parla della propria vita, facendo emergere aspetti magari inesplorati. Il rituale prevede canti, filastrocche, incantesimi, cibo e intrugli che appartengono al patrimonio culturale esclusivo dei valacchi, a cui si appartiene.
La propria individualità entra così nel grande schema mistico che solo le sciamane sono in grado di decifrare. E dalla casa dell’anziana del villaggio si esce più sicuri di se stessi e più saldi nell’appartenenza alla comunità valacca.
La linfa vitale di una società sì compatta, ma che deve affrontare le sfide di un Paese in radicale cambiamento.
Mitologia e riti valacchi
A cura di Marija Stevuljevic
In Serbia orientale ci sono numerose storie, tradizioni, leggende, costumi e credenze. Tra le altre cose, si crede nella vita dopo la morte e in creature mitiche come vampiri o licantropi (vukodlaci), rusaljke o rusalje.
La caratteristica principale di questa zona della Serbia è che il processo di cristianizzazione non si è mai completato e le credenze mostrano un misto di cultura sia cristiana sia pagana, che si osserva in particolare nei costumi e nelle tradizioni paesane.
In questa parte della Serbia, i valacchi sono il gruppo minoritario più numeroso e la cultura valacca è associata a usanze legate a cicli importanti della vita: nascita, matrimonio e morte.
Vampiri e licantropi:
Tra i valacchi è particolarmente importante che quando qualcuno muore, nessun animale – sia esso un insetto, una farfalla o un gatto – non passi al di sopra del corpo della persona morta, poiché si ritiene che l’animale possa impossessarsi dello spirito del defunto e che quest'ultimo diventi un vampiro (povampiriti se).
Per evitare la trasformazione in un vampiro, venivano utilizzate diverse pratiche, come recidere i tendini dei piedi affinché il cadavere non si alzasse, o altre usanze che prevedevano l’impiego di vino, aglio o una croce.
Leggi anche: I licantropi balcanici di Mercoledì Addams
Matrimonio nero:
È una tradizione che veniva praticata fino agli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, e veniva celebrata se moriva una persona giovane che non si era ancora sposata. Per non andare nell’altro mondo senza un coniuge, prima del funerale si celebrava un “matrimonio nero”. Un vero e proprio sposalizio con un coniuge vivo (celibe/nubile), seguito da una festa, dopo la quale si procedeva con i rituali funebri e la sepoltura del defunto. La tradizione serviva per assicurare che la persona nell’altro mondo avesse un/una partner.Slava:
È una ricorrenza cristiana praticata in tutta la Serbia, che commemora il santo patrono della famiglia. Nel giorno della slava il capofamiglia porta in chiesa il pane tradizionale kolač, farro, vino e una candela per la benedizione, dopodiché si continua la celebrazione a casa con amici e parenti, per un pranzo festivo.
In Serbia orientale si festeggia con una piccola aggiunta, ovvero la glorificazione dei morti. La tradizione varia da paese a paese. Nel piccolo paese Krepoljin oltre alla tavola principale dove siedono tutti gli ospiti, viene preparata un’altra tavola consacrata e dedicata ai morti, sulla quale si mettono tutte le pietanze e le bevande accompagnate da una candela accesa.
Il capofamiglia prende il kandilo (incensiere con incenso liturgico) e lo fa girare tre volte intorno al tavolo creando il fumo, dopodiché dice: «Questa tavola e tutto quello che c’è sulla tavola» - elencandolo - «si mostra a...» e si nominano tutti i defunti della famiglia che dovrebbero riunirsi nell’altro mondo e pranzare insieme in quel santo giorno. Dopodiché si prega Dio per la salute e il benessere della famiglia, offrendo il cibo a simboleggiare il sacrificio. Tutti i membri della famiglia e gli ospiti prendono dal centro della tavola la proja (pane tradizionale di farina di mais) e cominciano a passarsela, ciascuno staccandone un pezzo: chi rimane con quello più grande avrà più denaro e prosperità.Rusaljke o rusalje:
Erano donne veggenti che comunicavano con gli spiriti dei defunti durante la Festa degli spiriti. Con l’aiuto di musica, basilico ed incenso cadevano in trance, mentre giravano in cerchio, e ricevevano informazioni dagli antenati.Strndžanje:
Era un rito di iniziazione (che non si sa se sia realmente esistito o sia solo un mito) in cui i giovani, sotto il controllo dei genitori, si preparavano per entrare nel modo degli adulti. La pratica consisteva in flirt e petting tra ragazzi e ragazze, in modo che fossero pronti per la vita coniugale e per i primi rapporti sessuali.
Questa tradizione (se realmente esistita) si può considerare come uno sfogo della pressione sociale per quanto riguarda azioni proibite. Ma anche come una forma di controllo patriarcale in particolare sulle ragazze. Le giovani che non venivano “scelte” durante lo strndžanje venivano marginalizzate e considerate “di scarso valore”, nonché un disonore dalle rispettive famiglie.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Sul bancone di BarBalcani oggi non troviamo un consiglio su qualcosa da bere, ma un invito a partecipare a un evento per incontrarci di persona, scambiare due chiacchiere e berci una birra.
Grazie alle ragazze e ai ragazzi di Arci Bruxelles, sabato 11 febbraio ci daremo appuntamento al centro culturale Elzenhof per raccontare questi due anni e mezzo di progetto BarBalcani (qui tutti i dettagli).
Come è nato, come si sta sviluppando e quali sogni di crescita ha ancora in serbo.
Parleremo di questa newsletter che va alla ricerca di storie originali da tutti i Paesi balcanici, del podcast mensile che ripercorre la tragedia delle guerre nell’ex-Jugoslavia - proprio quel mese, 30 anni fa - degli eventi organizzati e da organizzare e dei viaggi per seguire gli appuntamenti politici tra UE e Balcani Occidentali.
Ma soprattutto sarà un’occasione per spiegare quanto tutto questo non potrebbe essere possibile senza un interesse crescente dei lettori e delle lettrici, delle sottoscrittrici e dei sottoscrittori, nei confronti di una regione che - come hai potuto scoprire oggi - è culla di luoghi e culture tutte da scoprire.
Perciò ci vediamo presto al bancone di BarBalcani, questa volta fisicamente, in trasferta a Bruxelles per un apéro un po’ balcanico!
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la tredicesima tappa… e l’appuntamento con Arci Bruxelles!
Un abbraccio e buon cammino!
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