S4E2. La danza di Zorba per i 100 anni dell'Arena Opera Festival
Il balletto 'Zorba il Greco' ha fatto ritorno a Verona, per celebrare nel 2023 il traguardo storico della rassegna lirica più famosa al mondo. Con una storia - vera e balcanica - tutta da scoprire
Ciao,
bentornata o bentornato a BarBalcani, la newsletter (e sito) dai confini sfumati.
Il 2023 è un anno speciale per il mondo dell’arte. All’Arena di Verona, tempio mondiale della musica lirica, è andata in scena la centesima edizione dell’Opera Festival.
Una rassegna estiva che ha percorso quasi ininterrottamente tutta la storia europea dell’ultimo secolo - dal 1913 a oggi, con tre interruzioni dovute alle guerre mondiali e alla pandemia COVID-19 - e che quest’anno è stata celebrata con grandi sorprese.
Una di queste è arrivata da due mondi che solo all’apparenza sono distanti dal Festival lirico areniano. Il balletto e i Balcani.
In occasione di un altro anniversario di enorme importanza per la scena artistica mondiale, Zorba il Greco è tornato in scena sul palcoscenico veronese a 35 anni dalla première proprio nella città dell’Arena.
Dalla Grecia a Verona, passando dalle reali vicende di un uomo innamorato della vita e della danza, legato in modo indissolubile alla penisola balcanica.
È così che il cartellone dell’Arena Opera Festival 2023 ha regalato uno spettacolo unico per celebrare la sua centesima edizione. Rivelando una storia rimasta per troppo tempo nascosta negli annali del balletto.
Dalla Grecia a Verona
Ma cos’è - o meglio, chi è - Zorba il Greco?
Andato in scena in anteprima mondiale al Festival areniano del 1988, Zorba il Greco è un balletto in due atti creato dal compositore Mikis Theodorakis, figura di riferimento politica, civile e culturale della Grecia contemporanea.
Il balletto è sviluppato sui temi della colonna sonora dell’omonimo film del 1964. A sua volta il film si basa sul romanzo Zorba il Greco scritto nel 1946 da Nikos Kazantzakis.
Il balletto commissionato allora dall’Arena fu coreografato da Lorca Massine, che proprio quest’anno è stato chiamato a supervisionarne il ritorno sulle scene veronesi, dopo più di due decenni di assenza (le altre rappresentazioni sono state nel 1990 e nel 2002).
Lo Zorba di Theodorakis e Massine rappresentava il simbolo dell’euforia per l’inizio di una nuova era, che presagiva la fine della cortina di ferro. A 35 anni di distanza rimane nella trama, nella musica e nelle danze un inno a vivere la vita, a cercare la propria forza interiore e a superare le barriere culturali e le avversità.
Il balletto Zorba il Greco (che prende ispirazione sia dal romanzo del 1946 sia dal film del 1964) è ambientato in un luogo non meglio identificato in Grecia e racconta dell’amicizia tra Zorba, greco generoso e amante della vita, e John, turista straniero che vuole partecipare alle usanze locali.
John però si innamora di Marina, ragazza greca su cui ha già puntato gli occhi Yorgos, un ragazzo del luogo. È così che la tensione tra il gruppo etnico e ‘lo straniero’ monta sempre più. Dalla parte di John si schiera solo Zorba, uomo libero e benvoluto da tutti, espressione della saggezza e dell’altruismo popolare.
Un doppio dramma colpisce Zorba e John. Marina viene linciata dalla folla per aver ricambiato l’amore dello straniero, mentre la soubrette Hortensia amata dal greco muore di malattia. A salvarli è la danza, essenza dell’ebbrezza dionisiaca, che culmina nel crescendo del sirtaki finale: una manifestazione dell’energia di un popolo intero, che sopravvive a qualsiasi sventura.
Zorba il Greco racconta dell’incontro, scontro e fusione tra due civiltà: la modernità giovane e razionale - lo spirito apollineo - e l’impulso popolare fatto di passionalità e irrazionalità - lo spirito dionisiaco.
Zorba è l’incarnazione di un vitalismo estremo, che spera in un avvenire migliore. E così facendo trascina con sé in un unico abbraccio e movimento tutti i ballerini e le ballerine nel celebre sirtaki.
Una danza che diventa espressione di saggezza, fratellanza e accoglienza. Le ostilità si dileguano e la musica trascinante riempie ogni vuoto precedentemente creato.
Una magia rimasta intatta a 35 anni di distanza da quella première in Arena.
Una storia balcanica
Ma in tutto questo cosa c’entrano i Balcani?
Perché è vero che ‘Balcani’ è un termine la cui interpretazione è molto discutibile - e l’ha spiegato chiaramente la sociologa Chiara Milan nella scorsa stagione di BarBalcani - ma questa newsletter segue una linea ben precisa: Paesi ex-jugoslavi e Albania.
Eppure, aldilà dell’interesse per uno Stato strettamente intrecciato alla cultura e alla storia della regione, in Zorba il Greco c’è molto di più.
Come ben analizzato in un articolo di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, «ebbene sì, è esistito davvero». E la sua è davvero tutta balcanica, sotto molti punti di vista.
Leggi anche: S3E19. Perché i Balcani si chiamano Balcani
“Giorgio Zorba 1869-1941”.
La tomba si trova nel cimitero di Skopje, in Macedonia del Nord e questo già ci fornisce molti elementi di riflessione. In primis l’inizio e la fine della parabola di vita di Giorgio Zorba, che poi nel romanzo di Kazantzakis sarebbe diventato Alexis.
Zorba nacque ai piedi del monte Olimpo, in quella parte di Grecia che - fino alle guerre balcaniche del 1912-1913 - apparteneva all’Impero Ottomano. E morì a Skopje durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la Macedonia era inclusa nella Vardarska Banovina del Regno di Jugoslavia.
Settantadue anni di vita che hanno percorso alcune delle pagine più concitate della storia della penisola balcanica: la caduta di un Impero centenario, i moti anti-ottomani e poi le lotte intestine nella Lega Balcanica, la Grande Guerra e gli avvicendamenti dal Regno dei Serbi, Croati e Sloveni a quello di Jugoslavia, l’espansionismo del Regno di Bulgaria alleata della Germania nazista.
Zorba non è un personaggio immaginario, ma un uomo legato alla vita dell’autore del romanzo pubblicato a 5 anni dalla sua scomparsa. Giorgio morì a Skopje, Alexis in un villaggio serbo (tale era la capitale macedone dopo la Prima Guerra Mondiale).
Kazantzakis e Zorba si conobbero nel 1915 e le loro vicende ispirarono fortemente la trama di Zorba il Greco. Anche se con alcune modifiche per evitare allo scrittore di farsi trascinare in tribunale dalla famiglia dell’amico, come raccontato da una pro-nipote serba di Zorba al quotidiano Ethnos:
«Era accusato di infangare la memoria di loro padre. Ma penso che tutti noi dobbiamo molto a Kazantzakis. Perché ha descritto un esemplare umano eccezionale, un filosofo che era sì semi-analfabeta, ma la cui saggezza derivava dall’esperienza di vita».
L’incontro tra lo scrittore e l’amante della vita e della danza avvenne alle pendici del monte Olimpo nel 1915, quando Kazantzakis assunse Zorba come capomastro per un giacimento di lignite a Kardamyli, nel sud del Peloponneso.
Zorba si trovava lì perché il padre Fotis, dopo la morte della moglie e prima di salire sull’Olimpo a farsi monaco, aveva lasciato al figlio campi e greggi a Katafygi. Ma a causa di una pandemia le pecore morirono tutte, e Giorgio si ritrovò a lavorare in una miniera di proprietà di una compagnia francese.
Si innamorò della figlia del gestore greco, Elena Calcunis, che lo ricambiava. Dopo essere rimasta incinta, scapparono insieme e si sposarono in segreto. Nacquero due gemelli, dei quali sopravvisse Andrea, il primo di sette figli. La fama di donnaiolo riportata anche in Zorba il Greco iniziò solo dopo la morte di Elena nel 1910.
Cinque anni più tardi incontrò Kazantzakis, che si era rifugiato sull’Olimpo fra i monaci per evitare l’arruolamento durante la Prima Guerra Mondiale. Francia e Regno Unito stavano pressando re Costantino I di Grecia per entrare nel conflitto contro l’Impero Ottomano.
A saldare i destini dei due uomini fu una legge che esentava i lavoratori delle miniere dalla leva militare, perché fornire carbone all’esercito era già un servizio alla patria. È così che Kazantzakis acquistò una miniera dismessa ed entrambi si trasferirono nel Peloponneso meridionale.
A Kardamyli però non durò molto. Nel 1917 Kazantzakis dovette partire per la Svizzera per curarsi di una malattia nervosa e la miniera di carbone chiuse. L’attività andò male, tanto nella vita vera quanto nel romanzo e nel film.
Due anni dopo lo scrittore inviò una lettera all’amico per organizzare per conto del governo il rimpatrio di profughi greci dal Caucaso in fuga dalla rivoluzione bolscevica: «Ho risposto che vado solo se vieni anche tu». Zorba accettò.
Tornò in Grecia nel 1920. Poi il destino separò i due amici per sempre.
Dal 1920, all’età di 51 anni, Zorba si stabilì definitivamente a Skopje, dove trascorse l’ultimo periodo della sua vita. E qui ritorna un’altra connessione tra la storia balcanica e quella nascosta dietro Zorba il Greco.
L’ex-minatore ottenne dall’allora Regno dei Serbi, Croati e Sloveni - succeduto a quello di Serbia solo un anno prima - lo sfruttamento di cinque miniere in quella che allora era conosciuta come Serbia meridionale.
A testimoniarlo è un documento del ministero delle Miniere e Foreste del Regno di Jugoslavia (nato nel 1929). Giorgio Zorba compare tra i soci di Radomir-Rasa Pašić, figlio del più volte premier serbo, Nikola Pašić.
A Skopje Zorba era conosciuto da tutti, soprattutto nei locali dove passava le serate a suonare il santouri (caratteristico strumento greco a corde percosse) e danzare in compagnia. Viveva in albergo e si rifiutava di vivere con i figli stabilitisi a Skopje.
In un giorno del 1941, quando l’Europa era di nuovo in guerra e la Vardarska Banovina (la regione che comprendeva l’attuale capitale macedone) occupata dal Regno di Bulgaria, a Kazantzakis arrivò un telegramma nella sua casa sull’isola di Egina (al largo di Salonicco):
«Le ultime parole di Zorba sono state per voi. Poi si è alzato dal letto ed è andato vicino alla finestra. Ha guardato i monti e, di colpo, si è messo a ridere, a impennarsi e correre intorno come un cavallo. La morte l’ha trovato così, in piedi».
Così spirò - quasi danzando - Giorgio Zorba. Che sarebbe rinato cinque anni più tardi sotto il nome di Alexis, in un romanzo conosciuto in tutto il mondo e base per un altrettanto celebre film.
E poi ancora in un balletto che ha consacrato la figura quasi mistica di un uomo in grado di insegnare l’essenza della vita, dell’inclusione e della sopportazione delle avversità attraverso la danza.
Dalla Grecia a Verona, dall’inizio Novecento al 2023. In una storia tutta balcanica.
Fine tappa. Sul bancone di BarBalcani
Siamo arrivati alla fine di questo tratto del nostro viaggio.
Per celebrare questa tappa con Zorba - che sia quello vero, quello del romanzo, del film o del balletto - sul bancone di BarBalcani oggi troviamo ciò che meglio rappresenta lo spirito greco insieme al sirtaki.
A fine pasto o per una bevuta in compagnia non può mancare l’ouzo, la rakija greca.
È un distillato ottenuto da una base di mosto d’uva fresca e passa, che riceve il suo forte aroma dall’aggiunta di anice in fase di fermentazione (insieme a bacche ed erbe aromatiche). Il composto viene distillato più volte, prima di essere lasciato riposare per mesi e diluito con acqua. La gradazione alcolica è attorno al 40%.
La nascita dell’ouzo è incerta, ma è verosimile che derivi dal rakı, distillato di origine ottomana (a base di uva, mais, patate o prugne, e aromatizzato con anice e menta) dalla simile gradazione alcolica. La rakija balcanica tocca invece 65/70%.
Il processo di produzione moderno con distillatori in rame cominciò a diffondersi in Grecia dopo l’indipendenza dall’Impero Ottomano, ottenuta ufficialmente nel 1830. Dal 1932 questa tecnica è diventata quella standard per la produzione di ouzo.
Riprende il viaggio di BarBalcani. Ci rivediamo fra due settimane, per la terza tappa.
Un abbraccio e buon cammino!
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